dal fattoquotidiano
Situazione simile nell’impianto della Combine Will, a Dongguang, dove in 2700 sono impiegati nella produzione di giocattoli per le confezioni dell’Happy Meal (il pasto creato da McDonald’s appositamente per i bambini), pupazzi di Hello Kitty e matite ispirate ai personaggi della DreamWorks, così come presso lo stabilimento della Shenzhen Wei Lee Fung Plastic Products Co., da cui si riforniscono Disney e Fisher Price. Gli stipendi sono rispettivamente di 1,2 e 1,3 euro l’ora. Uno degli infiltrati di CLW ha affermato di essere stato persino costretto a firmare un documento in cui si dichiarava disposto ad accettare qualsiasi punizione da parte della società.
“Ogni giorno gli operai impiegati nelle fabbriche di giocattoli sono sottoposti a un pesante carico di lavoro, in cambio di paghe estremamente basse. Ma anche loro hanno dei figli”, spiega Li Qiang, direttore esecutivo dell’ong che si batte per i diritti sul lavoro. “Chi guadagna producendo giocattoli lo fa opprimendo gli interessi dei lavoratori, e questa loro colpa deve essere sottoposta a condanna pubblica e morale. Non possiamo tollerare che i sogni dei bambini si basino sugli incubi dei lavoratori”.
Le accuse sono state prese molto seriamente dall’ICTI (International Council of Toy Industries), incaricata di promuovere gli standard di sicurezza internazionale dei giocattoli, che ha promesso “investigazioni approfondite”, pur riconoscendo i propri limiti. “La realtà è che, in generale, la stragrande maggioranza delle fabbriche opera oltre i confini della legge cinese, e i limiti legali sono quasi universalmente ignorati,” ha dichiarato Mark Robertson, direttore della ICTI Care Foundation. “Noi siamo per la trasparenza. Vogliamo sapere quante ore si lavora nelle fabbriche, in modo da poter essere in grado di assicurare che ogni minuto di lavoro venga retribuito”.
Sullo stesso spartito i comunicati rilasciati dalle aziende coinvolte. McDonald’s e Mattel hanno fatto sapere di essere intenzionate a migliorare gli standard ambientali e di lavoro presso i propri fornitori, in tandem con la Fondazione.
L’inchiesta di China Labor Watch arriva in un momento particolarmente delicato per le multinazionali operanti in Cina. Lo scorso mese la cessione delle attività cinesi di Coca Cola, Danone e Sony a partner locali ha innescato una nuova ondata di scioperi, in aumento del 20 per cento nel primo semestre del 2016. Il timore è che, per rendere redditivi gli impianti, i nuovi padroni decidano di avviare ristrutturazioni con tagli del personale e abbassamento degli stipendi. Se poi i nuovi padroni sono cinesi, le condizioni di lavoro rischiano di diventare anche peggiori che nelle ditte straniere.
di Alessandra Colarizi
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