Esportare materiali bellici fa bene all’economia italiana; la trasparenza invece può nuocere. E’ ciò che si evince dalla “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” riferita all’anno 2015 inviata alle Camere lo scorso 18 aprile per conto del governo Renzi, dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti. Il documento in due volumi, che da oggi è disponibile sul sito del Senato, riporta cifre impressionanti sull’incremento delle licenze all’esportazione: nel 2015 i valori sono più che triplicati ed hanno raggiunto la cifra record dal dopoguerra di oltre 8,2 miliardi di euro (erano stati meno di 2,9 miliardi di euro nel 2014).
DECOLLANO GLI AFFARI
Valori di cui fanno parte i quasi 3,2 miliardi di euro relativi ai programmi di cooperazione intergovernativa che riguardano principalmente i paesi Nato e Ue: programmi che il Ministero degli esteri e della cooperazioni (MAECI) considera un tutt’uno insieme alle reali autorizzazioni all’esportazione (denominate “Esportazioni definitive”) contribuendo così a falsare le percentuali delle licenze all’esportazione per paesi e per zone geopolitiche: se non si conteggiano – come veniva fatto fino a qualche anno fa – i valori relativi ai programmi di cooperazione intergovernativa, la ripartizione nei grafici che il MAECI ha inserito nel Vol. 1 da p. 924 appare molto diversa. Per capirlo occorre leggere attentamente le cifre riportate nel Vol. 1 alla Tabella 16 (p. 833): come si nota, il principale paese destinatario delle autorizzazioni all’esportazione non è (come indurrebbe a pensare il grafico di p. 925) il Regno Unito (poco più di 130 milioni di euro), ma la Norvegia (389 milioni), seguita da Singapore (381 milioni), Stati Uniti (344 milioni) e Emirati Arabi Uniti (304 milioni). Piccoli trucchi contabili che servono a gettare un po’ di fumo negli occhi dei lettori frettolosi e inesperti e soprattutto a gonfiare le percentuali di ripartizione dei “paesi alleati” (Nato e Ue) rispetto a quelle delle zone a rischio (Medio Oriente, Asia, Africa).
Le autorizzazioni all’esportazione di sistemi militari, escluse quindi quelle per programmi intergovernativi di cooperazione, nel 2015 sono state di quasi 4,7 miliardi di euro (€4.699.362.476), valore che si avvicina alla cifra record del 2009 (4,9 miliardi, qui il grafico) alla quale aveva contribuito la torbida commessa e il via libera del Regno Unito all’esportazione di 72 Eurofighter Typhoon all’Arabia Saudita. Ma il dato più preoccupante sta in una riga della Relazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri: “l’Italia nel 2015 non ha emesso dinieghi all’export” (p. 8). In altre parole, nessun diniego e poche restrizioni pur di far cassa. Se si tiene presente che – come riporta la Relazione del MAECI (p. 21) – le aziende che hanno ricevuto le commesse più consistenti fanno parte del gruppo Finmeccanica (adesso “Leonardo“), che è controllato per il 30,2% dal Ministero del Tesoro, appare evidente l’interesse del Governo Renzi a chiudere più di un occhio sulle operazioni delle industrie del gruppo. E a non rendere troppo note nel dettaglio le operazioni che riguardano i paesi a rischio, in zone di tensione e soprattutto con i regimi autoritari che forniscono petrolio e affari all’ENI (dove ha trovato impiego l’ex viceministro agli Esteri, Lapo Pistelli, che aveva la delega per l’esportazione di armamenti).
CROLLA LA TRASPARENZA
Lo avevo già scritto lo scorso anno e purtroppo devo confermarlo. La Relazione che da due anni viene inviata alle Camere è ormai praticamente inutile per conoscere in dettaglio le operazioni autorizzate e svolte per esportazioni di armamenti. Tranne i valori monetari complessivi e i generici materiali militari suddivisi per paese (si veda nel Vol.1 la già citata Tabella 16, p. 883), la Relazione non dice nemmeno quest’anno quali siano i paesi destinatari dei materiali militari delle 2.775 autorizzazioni rilasciate e che sono tutte singolarmente riportate nella Tabella A1 del MAECI; ben 366 pagine di operazioni autorizzate di cui non si sa ciò che invece andrebbe saputo: il paese destinatario. Lo stesso vale per le operazioni effettuate, cioè le consegne di materiali militari (denominate “Esportazione Definitiva” e riportate nella “Tabella M” dell’Agenzia delle Dogane): 215 pagine di singole operazioni senza alcun riscontro del paese destinatario.
Mentre fino a qualche anno fa, incrociando le numerose tabelle fornite dai vari ministeri, era in qualche modo possibile ricostruire alcune delle operazioni autorizzate e svolte, oggi è praticamente impossibile. Tutto questo non solo rende gran parte della Relazione un mero esercizio burocratico e di facciata, ma soprattutto mina alla radice il controllo parlamentare e della società civile. Quella società civile che è stata la promotrice della legge n. 185 del 1990 dopo gli scandali delle esportazioni di sistemi militari degli anni ottanta, coperte in gran parte dal segreto di Stato che, in vigore dai tempi del fascismo, ha regolato per 60 anni questa materia.
A nulla sono dunque valse le reiterate richieste al governo Renzi delle associazioni della Rete italiana per il disarmo presentate, oltre che in uno specifico documento, in una conferenza stampa tenutasi alla sala stampa della Camera lo scorso luglio (il video è qui). E nemmeno le proposte presentate lo scorso settembre dalla Rete Disarmo al Sottosegretario agli Esteri, Benedetto della Vedova, intese a promuovere maggior trasparenza e controllo.
Il fatto “curioso” è che di questa mancanza di trasparenza stanno approfittando, oltre che le aziende del gruppo Finmeccanica, soprattutto le banche estere. E tra queste in modo particolare quelle banche, come Deutsche Bank e BNP Paribas, che non hanno mai emanato delle direttive per il controllo delle operazioni finanziarie sugli armamenti convenzionali e sulle armi leggere.
Nonostante tutto ciò alcune informazioni si possono ricavare dalla Relazione. E sono informazioni preoccupanti. Come le 5.000 bombe partite dalla Sardegna inviate in Arabia Saudita e utilizzate dalla Royal Saudi Air Force per bombardare lo Yemen. O gli oltre 3.600 fucili della Benelli inviati lo scorso anno alle forze di sicurezza del regime di Al Sisi e di cui l’Osservatorio OPAL di Brescia ha dato notizia. Ma migliaia di operazioni restano in una vaga nebulosa. Alla faccia della trasparenza sbandierata dal governo Renzi. A proposito: dopo la nomina del sottosegretario Vincenzo Amendola al MAECI, adesso chi ha la delega per il controllo dell’esportazione di armamenti? Guarda caso è l’unica delega che non è riportata sul sito della Farnesina.
Giorgio Beretta
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