VENTIMIGLIA: LA STRADA DELLA MORTE

Redazione di Operai Contro, a Ventimiglia il campo dei migranti non è mai stato smantellato nonostante le deportazioni di Alfano. A ventimiglia si misura l’accoglienza dello stato dei padroni italiani. Da Ventimiglia partono le strade per assassinare i migranti. In italia i muri costruiti dai padroni sono tanti. Un giovane di Ventimiglia dal corriere di Marco Imarisio VENTIMIGLIA (Imperia) I gendarmi francesi la chiamano route de la mort. Ma sono tante strade diverse, ognuna ormai con la sua lapide. La A10 è controllata dai passeur maghrebini. Si parte solo con il loro permesso, ma a Mentone è come se […]
Condividi:

Redazione di Operai Contro,

a Ventimiglia il campo dei migranti non è mai stato smantellato nonostante le deportazioni di Alfano. A ventimiglia si misura l’accoglienza dello stato dei padroni italiani. Da Ventimiglia partono le strade per assassinare i migranti. In italia i muri costruiti dai padroni sono tanti.

Un giovane di Ventimiglia

dal corriere di Marco Imarisio

VENTIMIGLIA (Imperia) I gendarmi francesi la chiamano route de la mort. Ma sono tante strade diverse, ognuna ormai con la sua lapide. La A10 è controllata dai passeur maghrebini. Si parte solo con il loro permesso, ma a Mentone è come se avessero rimesso la frontiera, ormai non passa nessuno. Poi ci sono i sentieri, dove ci provano gli afghani, guidati dalla cieca fiducia nella propria capacità di camminare su rocce a strapiombo. Al commissariato dicono che negli anni passati soprattutto sul Col de mort ne sono caduti tanti. Venivano trovati dai turisti, magari dopo giorni. Altri sono stati inghiottiti dalle gole di granito. I binari della ferrovia e la sua massicciata sono diventati l’unica possibilità, quasi per esclusione. Chi non ha i soldi per pagare i trafficanti, chi ha paura del buio e dell’altezza, non ha altra scelta che seguire le traversine di acciaio, entrando nelle gallerie che sbucano finalmente in Francia. Dal 2014 i conduttori dei convogli hanno l’obbligo della cosiddetta «marcia a vista». L’ultima vittima di questa tragedia a bassa intensità non ha ancora un nome. Era un migrante, forse proveniva dall’Africa centrale, forse aveva tra i 25 e i trent’anni. Non aveva alcun documento con sé, al centro di accoglienza nel Parco Roja non lo aveva visto nessuno. È morto ieri mattina nella galleria Dogana, l’ultima dopo Latte. A pochi metri dal confine francese, investito dal treno transfrontaliero partito da Cannes alle 5.18. Alla vigilia di Natale quello stesso tratto fu fatale a un ragazzo algerino di 23 anni.

Per mesi in attesa

La strada della morte non è un’unica strada. Con questa definizione i gendarmi francesi indicano una specie di imbuto malefico creato dalle loro autorità. Adesso sono i treni, ieri era l’autostrada. Il 7 ottobre 2016 un camion aveva travolto e ucciso una minorenne eritrea, due settimane dopo un suo coetaneo sudanese aveva subito la stessa sorte pochi chilometri più in là, appena entrato in Francia. Ventimiglia è il collo di questa strettoia. A parole, la conoscono tutti, è quel posto lassù dove finisce l’Italia. Ma questa estrema periferia è diventata ormai il nostro confine più sofferto. È la porta per la Francia, l’ingresso per un Paese che non vuole i migranti giunti soprattutto da Sudan, Eritrea ed Etiopia. A loro l’Italia non gli interessa, l’Italia è un effetto collaterale, uno strumento. Si fermano qui, e aspettano. Per mesi. Ventimiglia è diventata una piccola capitale del traffico di esseri umani, come ha dimostrato una recente inchiesta dell’Antimafia milanese. Da qui partono almeno venti spedizioni al giorno, furgoni stipati all’inverosimile, colonne di poveracci in marcia lungo le rotaie, che pagano centinaia di euro per fare gli ultimi chilometri del loro viaggio. Come per tutte le periferie, da quassù arrivano notizie scarse e frammentate, quasi sempre in occasione di queste disgrazie. «La distanza e l’isolamento hanno un ruolo in questa situazione» dice Enrico Ioculano, il giovane sindaco del Pd. «Non possiamo gridare ogni giorno che da soli siamo impotenti. E così proviamo a tappare la falla con le mani. Ma senza accordi che riducano gli arrivi continueremo a essere spettatori impotenti di queste disgrazie. Con il rischio di diventare prima o poi una piccola Calais italiana». Il paragone con la città francese dove sorgeva l’accampamento perpetuo dei migranti diretti in Inghilterra non è campato in aria. Neppure nella stagione più tranquilla dell’anno. Oggi il centro nel Parco Roja ospita solo 270 persone, l’estate scorsa era arrivato a 1.230. Sul greto del fiume si vedono alcune tende, destinate ad aumentare con i primi caldi. La chiesa di Sant’Antonio, quasi un secondo punto di accoglienza, è sempre piena.

I cittadini divisi

Ma l’inverno non ha raffreddato gli animi. Le dinamiche sono le stesse di Calais. La popolazione è sempre più divisa tra chi dà una mano oppure tollera e chi invece è esasperato per la presenza dei profughi nelle vie. «La situazione è ingestibile già adesso» sostiene Enzo Ambesi, presidente del comitato di quartiere che ha raccolto qualche migliaio di firme per «testimoniare lo stato di malessere in cui vive la nostra gente», come si legge dal testo della petizione popolare. «Figurarsi quando ricominceranno ad attraversare il Mediterraneo». Il centro del Parco Roja ha sospeso l’accoglienza dei richiedenti asilo. La versione ufficiale è che la struttura necessita di manutenzione. «Quella di ieri è una tragedia annunciata» dice Maurizio Marmo, direttore della Caritas diocesana. «Il blocco francese alla frontiera rende il viaggio più pericoloso. Non abbiamo strutture per le donne e i bambini. Le istituzioni italiane devono aiutarci a dare una risposta umana a chi è in viaggio». Anche a Calais cominciò così. E l’inverno prima o poi finisce. Attenti a Ventimiglia.

Condividi:

Comments Closed

Comments are closed. You will not be able to post a comment in this post.