Redazione di Operai Contro
Il libero mercato, in tempi di crisi, non piace più?! Anche nel mercato mondiale dei prodotti agroalimentari tira aria di protezionismo, di dazi, barriere e dogane.
Gli agricoltori e le industrie agroalimentari vogliono ancora il libero scambio? Sì e no! Vogliono l’export, la libertà di esportare senza limiti, ma non vogliono l’import, anzi!
È quanto emerge dalle reazioni del cosiddetto mondo agricolo italiano ed europeo alla politica neoprotezionistica del presidente Trump che, secondo Coldiretti, metterebbe a rischio ben il 9,6% delle vendite all’estero dei prodotti made in Italy “Doc” diretti negli Usa, il principale cliente dell’Italia fuori dall’Ue.
A parole nessun esponente di rilievo del settore, così come nessun politico, si dice protezionista nel commercio agroalimentare, ma nei fatti quasi tutti lo sono. Tutti hanno esaltato la globalizzazione quale meccanismo di facile approdo delle merci proprie o del proprio paese in tutto il mondo. Ora, più realisticamente, senza rinunciare al mercato globale per sé, chiudono le porte ai prodotti esteri. In Italia un esercito di cuochi, critici gastronomici o sedicenti tali, puristi del ruralismo a tutti i costi, intransigenti del km zero, sofisti delle “nostre eccellenze che il mondo ci invidia e ci copia”, lavora subdolamente a favore di un protezionismo strisciante che protegga le merci italiane.
Gli altri nel mondo non stanno a guardare. In tale contesto, non sorprende che – come certificato dal centro studi indipendente Gta (Global Trade Alert) – nel commercio in generale (compreso quello agricolo-agroalimentare) le misure protezionistiche, i dazi, le tariffe all’import, gli aiuti di Stato siano esplosi dal 2009 in poi con oltre 4mila misure di barriere al commercio, ad opera in particolare dei paesi del G7 più l’Australia. In altri termini è partita la corsa a proteggersi sia da parte dei paesi economicamente più forti sia da parte delle economie emergenti (i Brics, cioè Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).
Così per agricoltori e industriali che vogliano esportare le eccellenze agricole e agroalimentari italiane la vita sarà sempre più dura. Anzi Trump la farà diventare durissima. Ma Trump parla a nome degli interessi dei padroni statunitensi. Interessi inconciliabili con quelli dei padroni italiani e di quelli, più in generale, europei. Nell’agosto 2016 era fallito il Ttip – Transatlantic Trade and Investment Partnership, Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, proprio per l’inconciliabilità delle posizioni di Ue e Usa. Ma allora c’era forse Trump!
Se oggi i governi, degli stati nazionali e di organismi sovranazionali come l’Ue e altri, adottano politiche protezionistiche per contrastare la concorrenza estera a sostegno dell’intera produzione interna o, anche, di particolari settori di essa, scoraggiando le importazioni e incoraggiando le esportazioni, se tutti vogliono primeggiare e comandare, non si tarderà ad arrivare al punto di rottura. La guerra commerciale non è l’anteprima della guerra militare? Già oggi sono molte le crepe nel “castello dell’apparente concordia” del capitalismo mondiale.
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