Caro Operai Contro,
le condizioni di sfruttamento che gli operai della Amazon denunciano in una intervista rilasciata a La Stampa, sono micidiali. Senza aggiungere altro riporto qui sotto alcune loro dichiarazioni. Rammento quello che scrive spesso Operai Contro, sulla necessità degli operai di organizzarsi in un proprio Partito.
1) “Ci spremono come limoni. Dopo 5 anni offrono 5000 euro per andarcene. Hanno bisogno di personale fresco”.
2) “Il lavoro è ripetitivo come una catena di montaggio. Le patologie al tunnel carpale, al collo o alla schiena non si contano”.
3) “ Si trotta tra gli scaffali: “Almeno 20 chilometri al giorno. Non c’è pausa per il caffè. Per andare in bagno devo chiedere al caporeparto. La pausa pasto è di mezz’ora ma si conta da quando si lascia il reparto, tra andare e tornare dal posto più lontano se ne vanno 8 minuti”.
4) “Certi reparti sembrano le catene di montaggio degli Anni 50”.
5) “Dicono che i neoassunti o gli interinali, i dipendenti hanno un badge blu gli altri verdi, i primi 5 mesi li fanno al turno di notte”.
Saluti da un lettore
Estratto da: La Stampa 4 marzo 2017
L’unica sede italiana del colosso on line di Jeff Bezos è a Castel San Giovanni vicino a Piacenza. Dopo 7 anni ci lavorano in 2000, i lavoratori interinali sono 700, sfornano oltre 400 mila pacchi al giorno da consegnare in pochi giorni a volte in meno di 24 ore. «Ma tutto questo ha un prezzo che paghiamo noi. Il lavoro è ripetitivo come una catena di montaggio. Le patologie al tunnel carpale, al collo o alla schiena non si contano. Quando si tratta di stilare il foglio che registra il malessere, i manager fanno pressione perché non si scriva che è correlato al lavoro», racconta Beatrice Moia, delegata sindacale, una delle addette al processo di lavorazione con mansioni sindacali anche in tema di sicurezza.
Le denunce sono quelle di sempre. Da quando il colosso di Seattle è sbarcato a Piacenza. All’inizio nel 2011 ci lavoravano in 60. Adesso sono un esercito spalmato su un’area grande come 15 campi da calcio. Franck Kouassi viene dalla Costa d’Avorio, anche lui trotta tra gli scaffali: «Almeno 20 chilometri al giorno. Non c’è pausa per il caffè. Per andare in bagno devo chiedere al caporeparto. La pausa pasto è di mezz’ora ma si conta da quando si lascia il reparto, tra andare e tornare dal posto più lontano se ne vanno 8 minuti. Per 1200 euro al mese». Dicono che i neoassunti o gli interinali, i dipendenti hanno un badge blu gli altri verdi, i primi 5 mesi li fanno al turno di notte. Non c’è Natale né Capodanno. Chi non vuole lavorare il 24 dicembre lo chiede ma non è gradito chiederlo. Cesare Fucciolo assicura che la vita in reparto è dura e assai breve: «Ci spremono come limoni. Dopo 5 anni offrono 5000 euro per andarcene. Hanno bisogno di personale fresco».
Eppure dopo 6 anni anche qui nella bassa piacentina, terra di aziende agricole e prossimamente di droni per la consegna a domicilio più veloce, qualcosa sta cambiando. In fabbrica sono entrati i sindacati per vedere se c’è spazio per un contratto integrativo interno che manca da sempre. L’azienda per la prima volta si è seduta al tavolo delle trattative. Francesca Benedetti (Cisl): «Certi reparti sembrano le catene di montaggio degli Anni 50». Pino De Rosa dell’Ugl parla di un’azienda fino ad oggi sorda: «Non danno dati su infortuni e provvedimenti disciplinari».
Il capo del personale a Castel San Giovanni Carlo Franzini declina l’invito a commentare. Risponde Elena Cottini che cura la comunicazione di Amazon: «In questi anni ci siamo impegnati a creare un ambiente di lavoro attento con particolare cura al problema della sicurezza. Il salario dipendenti è nella fascia alta della logistica. Tra i benefit offriamo l’assicurazione sanitaria privata. Ogni volta che è possibile offriamo ai dipendenti opportunità di avanzamento interno. A chi vuole terminare la fase lavorativa con noi proponiamo “The offer” un aiuto economico per intraprendere altre strade. Ma il tasso di abbandono è basso. Il 3,05% nel 2015 e il 2,55 nel 2016». Si capisce che i punti di vista tra azienda e lavoratori sono diametralmente opposti. Fiorenzo Molinari (Cgil) fa l’ottimista: «Ci sono tutti gli estremi per arrivare allo scontro. Preferiamo capire se c’è ancora dialogo».
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