Caro Operai Contro,
la fabbrica, Stampi Group di Monghidoro, doveva ripartire dopo che per un anno i 63 operai l’avevano occupata opponendosi ai licenziamenti. Invece all’improvviso è arrivata la “scoperta” che non è possibile per colpa delle nuove regole legate al Jobs Act. La “scoperta” suona come una presa in giro per gli operai. Proprio quando l’obiettivo sembrava a portata di mano, dovranno invece correre per iscriversi ed avere diritto alla Naspi, quindi licenziamenti collettivi e sussidio di disoccupazione.
Il sindacato, il vescovo, il presidente della Regione, il curatore fallimentare, i nuovi padroni pronti a subentrare, avevano raccontato e/o lasciato credere agli operai, che i licenziamenti sarebbero rientrati con la ripartenza della fabbrica con nuovi padroni. Operai impariamo dalle sconfitte. Impariamo a verificare e passare al setaccio tutto quello che ci raccontano e ci propinano. Basta con la delega acritica e totale.
Saluti operai
Articolo dal Corriere di Bologna
BOLOGNA – Non c’è stato il lieto fine nella lotta dei lavoratori della Stampi Group di Monghidoro. E ormai, per il licenziamento collettivo degli ultimi 63 dipendenti che per un anno hanno difeso la loro fabbrica, è questione di ore: il curatore fallimentare Antonio Gaiani deve attivare la procedura collettiva entro il 31 marzo, per permettere ai lavoratori di usufruire della Naspi. È l’epilogo, amarissimo, di una vertenza iniziata a marzo dell’anno scorso, con un’occupazione portata avanti nove mesi da un gruppo di operai che si sono dati il cambio, giorno e notte, prima per ricevere gli stipendi e poi, capito che l’imprenditore Elvio Turchetto non li avrebbe mai pagati, per impedire che i macchinari fossero portati via. Una situazione talmente paradossale da portarli a esultare per un fallimento arrivato a dicembre, che sembrava aprire la possibilità di nuove strade. La svolta era arrivata quasi due mesi fa, quando gli industriali Alberto Vacchi e Maurizio Marchesini, rispettivamente presidente di Unindustria e di Confindustria Emilia-Romagna, si erano fatti avanti con la proposta di una newco che facesse ripartire lo stabilimento, anche attraverso una riconversione produttiva: dieci-quindici dipendenti sarebbero stati impiegati fin da subito, gli altri avrebbero potuto usufruire della cassa integrazione straordinaria per un po’ di tempo prima di tornare sulle linee (in parte) o di essere licenziati. Ma con le nuove leggi sugli ammortizzatori sociali la cassa può essere concessa solo con la continuità aziendale e con il riassorbimento di una grossa fetta dei lavoratori. Due elementi che hanno reso impossibile l’attuazione del progetto in questi termini. Inutili i tentativi dei sindacati negli ultimi due giorni: il destino della Stampi Group era segnato. Resta da capire cosa sarà del piano di Vacchi e Marchesini, per un’attività che mantenga un presidio produttivo a Monghidoro. Si chiude così, nella maniera più amara possibile, una vicenda che è diventata, dopo la Saeco, il simbolo della crisi industriale dell’Appennino bolognese, con un presidio che ha sfidato pioggia e neve da marzo a dicembre dell’anno scorso. A trovare i lavoratori di Monghidoro, che per nove mesi sono rimasti davanti ai cancelli, era salito anche il vescovo Zuppi, attivo dietro le quinte per tutta la durata della vertenza. Ma i lavoratori, nel corso della loro battaglia, hanno incrociato anche tanti altri: il loro concittadino Gianni Morandi, il presidente della Regione Stefano Bonaccini, l’ex premier Matteo Renzi. Ne valeva la pena? Rosaria Ciccardi, una delle protagoniste della vertenza, è convinta di sì: «Almeno noi possiamo dire che le abbiamo provate tutte. Ora speriamo che non ci siano degli intoppi con la Naspi, perché per come siamo fortunati noi tutto può essere». I sindacati hanno informato i dipendenti che non c’era più nulla da fare la sera del 29, ma la bandiera bianca era largamente attesa: «Il segretario della Fiom Bruno Papignani ci aveva già spiegato le cose in assemblea, era lampante che ormai non c’erano più speranze». Resta la tristezza per l’impossibilità delle istituzioni a risolvere la situazione: «La Regione – attacca Rosaria – ha fatto solo promesse. A ottobre ci hanno concesso la cassa in deroga solo perché siamo scesi ed eravamo disposti a stare lì davanti notte e giorno coi sacchi a pelo».
Comments Closed