Caro Operai Contro,
sciopero confermato il giorno di Pasqua, per i 1.500 lavoratori dell’Outlet di Serravalle. Padroni e padroncini dei 200 negozi dell’Outlet, stanno manovrando per il fallimento dello sciopero, loro a Pasqua possono anche andare a spasso, nel negozio ci sono i dipendenti che lavorano per arricchirli. Il ricatto dei padroni sullo sciopero, pesa su alcuni lavoratori, ed invece di una radicale battaglia contro il lavoro festivo, dichiarano che: “Almeno paghino di più”.
Una buona riuscita dello sciopero di Pasqua, potrebbe rappresentare un’inversione di tendenza per i lavoratori di centri commerciali e supermercati, un primo campanello d’allarme contro gli orari selvaggi, le aperture notturne, i sabati e le festività considerate dai padroni alla stregua di comuni giorni lavorativi.
Saluti da una lettrice
Mando un articolo preso da La Stampa
Outlet di Serravalle, la battaglia di Pasqua
I lavoratori confermano lo sciopero. “Basta precariato e liberalizzazioni”. “Almeno paghino di più”
«Sa cosa davvero non mi è andato giù? Quella mail in cui l’outlet comunicava l’apertura di Pasqua per “agevolare le famiglie alla visita del centro”. Era una cosa del genere no? – guarda le colleghe cercando conferme la titolare di un negozio di abbigliamento -. Beh, una presa in giro. E le nostre di famiglie, valgono meno?».
All’outlet di Serravalle oltre 200 negozi si preparano alla battaglia di Pasqua: ognuno è un piccolo quartier generale con regole proprie. C’è quello che procede compatto verso lo sciopero di sabato e domenica con la benedizione dell’azienda, quello che proverà ad aprire arrivando un’ora prima del picchetto delle 9 di sabato (quando i lavoratori che aderiscono all’agitazione cercheranno di bloccare le due rotonde di accesso sulla provinciale 35 bis dei Giovi), e quello in cui ci si divide.
All’indomani dell’assemblea di lunedì, in cui è stato confermato lo sciopero di due giorni proclamato dai sindacati contro la decisione della McArthurGlen Serravalle Designer Outlet di tenere aperto, per la prima volta, il giorno di Pasqua, si respirano rabbia ma anche rassegnazione. Se i negozi saranno aperti o meno lo si vedrà solo nel weekend, anche se molti («Si lavora, ci siamo» si limita a dire la responsabile di L’Oréal Carlotta Ricagno), assicurano di sì.
«Non scriva il mio nome – chiede una commessa mentre piega i capi provati dai clienti di questo caldo martedì – ad ottobre mi scade il contratto, tre anni tra vari rinnovi. Significa dentro o fuori. Mi capisce? Poi io sono sincera, bisogna lavorare a Pasqua? Ok, però che sia pagato bene non come una banale domenica». D’accordo la dipendente di un ristorante, delegata sindacale: «La mia è un’opinione personale ma credo che in questo settore sia normale lavorare quando è festa, però va alzata la paga». Secondo il contratto del commercio, «Pasqua è pagata come una domenica – spiega Fabio Favola, segretario Filcams-Cgil di Alessandria (all’outlet in subbuglio ha da poco fatto visita anche la leader Cgil Susanna Camusso) -. Questa è la prima mobilitazione vera e le ragioni vanno oltre Pasqua: precariato, liberalizzazione selvaggia, lo spaccato di un mondo che è la nuova frontiera». La Chiesa? Il parroco di Serravalle Scrivia, don Francesco, si limita a «confermare il pensiero del vescovo», detto addolorato ma non sorpreso dall’apertura pasquale.
«Noi scioperiamo tutte – spiegano le commesse di Villeroy & Boch, fra le poche ad esporsi – e l’azienda è d’accordo. Spero saremo molti ma sinceramente non so». «Noi siamo assunte a tempo indeterminato, la nostra è un’azienda seria, ma qui tante hanno contratti a termine e sono ricattabili, scioperiamo anche per loro – aggiungono le colleghe di un altro negozio -. Non siamo lavative ma perché dobbiamo privarci di uno dei pochi giorni da passare con i figli? Almeno ci venissero incontro. Si era parlato di un asilo per le dipendenti e non se n’è fatto nulla».
Tra i lavoratori c’è chi se la prende con la direzione dell’outlet e chi con lo Stato: «La colpa è della liberalizzazione delle aperture – osserva una commessa -. Un outlet deve stare sul mercato, è lo Stato che deve stabilire regole che tutelino anche la vita delle persone». «Vedrà, questo di Pasqua sarà un test – dice Lia Lucchese, titolare del furgoncino I ravioli di Pia – se va bene ci proporranno anche Natale e Capodanno, gli ultimi due giorni di chiusura rimasti. Io lavorerò, ma sono contraria». «Sono tutti arrabbiati, sciopererebbero se potessero – le fa eco una commessa in pausa pranzo – ma tutti vogliamo lavorare». «Noi veniamo – si aggiunge la cameriera di un bar – poi se bloccano le strade…».
I clienti, intanto, passeggiano per piazzette e negozi. «Se sono arrabbiati li capisco – osserva Fabio Caprino, di Vercelli – io a Pasqua non faccio shopping». I visitatori stranieri, invece, parlano di un altro mondo. Da Naoufal Mofha, marocchino di Tétouan in visita con la moglie, a Kasumi, giapponese, alla famiglia Rusin, di Mosca: «Da noi i negozi sono aperti nei festivi. Abbiamo così tante religioni che se dovessimo
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