Redazione di Operai Contro,
Il “piano Marchionne” è stato il modo di organizzare la fabbrica di fronte alla crisi. E’ stato applicato prima allo stabilimento FIAT di Pomigliano, poi è stato generalizzato varcando di fatto i confini FIAT e diventando il credo generale del padronato italiano.
Quando bisognava opporsi non è stato fatto. Gli operai non avevano e non hanno una organizzazione indipendente per mettere in discussione il sistema dei padroni. I sindacati si dividevano tra sindacati apertamente filopadronali, come FIM e UILM, oppure “riformisti”, cioè moderati, come la FIOM e la stessa area dei sindacati alternativi, con l’aggravante per questo secondo gruppo di una concorrenza tra sigle molto spesso tanto agguerrita da superare ampiamente, nella esclusione e nello scontro, i rapporti, molto meno conflittuali, che avevano con l’azienda.
Con questa attrezzatura insufficiente, gli operai hanno affrontato i primi dieci anni di crisi economica. Il risultato è stato che tutti gli operai più combattivi sono stati espulsi dalle fabbriche FIAT attraverso il licenziamento diretto, i reparti confino, la cassa integrazione. Quelli che sono rimasti in fabbrica erano gli elementi più malleabili, i giovani inesperti che sono aumentati con inserimenti ad hoc di carne da macello fresca. Questi “privilegiati” non hanno avuto vita facile. E’ su di loro che il padrone ha puntato per affrontare la crisi e la concorrenza aumentando in modo esagerato la produttività e riducendo drasticamente i costi. Le fabbriche FIAT sono diventate così veri e propri campi di lavoro forzato, dove la produzione viene tirata fino a quando le forze psicofisiche degli uomini tengono, e spesso anche oltre.
Circa dieci anni di questa cura hanno però colmato la misura. Nonostante i ricatti, la repressione, l’azione di contenimento dei sindacati filopadronali, coadiuvata dall’incapacità di reagire dei pochi operai FIOM e dei sindacati alternativi sopravvissuti, stretti dalla pressione aziendale da una parte e dalle mediazioni dei vertici tutte tese a riconquistare un “posto alle trattative” nel caso FIOM, o al ricorso esclusivo alle “cause legali” per gli alternativi, gli operai, nonostante tutto dicevamo, hanno cominciato a dare segni di risveglio.
Dal consenso, che inizialmente diversi hanno manifestato di fronte al “rilancio” dell’azienda con il piano Marchionne, si è passati poi ad una diffusa insoddisfazione, e la pura sottomissione attuale è frutto della paura, della mancanza di consapevolezza della propria forza collettiva, della inesperienza e della quasi mancanza di operai combattivi esperti capaci di far partire le lotte negli stabilimenti.
Come ripartire oggi?
Solo una rottura all’interno delle fabbriche può rimescolare le carte.
Se in uno stabilimento parte una lotta significativa degli operai, si riapre la discussione sull’organizzazione. Dopo il fallimento di tutte le organizzazioni politiche che dicevano di rappresentare gli operai e i limiti manifesti delle varie parrocchie sindacali divise tra loro su interessi di bottega (tessere), la questione del “partito operaio” prende consistenza e attualità.
Ma una rottura significativa come la si crea?
La realtà più interessante in questa fase è Pomigliano. Da una parte gli operai che lavorano a ritmi impossibili da dieci anni non ce la fanno più. Quelli fuori con gli “ammortizzatori sociali” lo stesso sono stufi di vivere di miseri sussidi.
Di fronte alle chiacchiere sindacali sulla richiesta di nuovi “piani industriali”, che la FIAT comunque non concede, gli operai scalpitano. Dalla fabbrica arrivano segnali precisi sull’insofferenza operaia. Il gruppo di operai combattivi stretto intorno a Mignano e alcuni militanti esterni che collaborano fattivamente con questo gruppo, stanno ormai costantemente da cinque mesi all’esterno dello stabilimento riportando in parole d’ordine, quello che è un flusso ormai ininterrotto di insofferenza che viene dalla fabbrica che alimenta con informazioni da dentro la denuncia all’esterno.
E’ in questo clima che è maturato il grande sciopero degli operai in trasferta a Cassino e alcuni scioperi sulle linee di montaggio, ed erano dieci anni che non si scioperava!
Maturano le condizioni della rivolta all’interno e cresce la capacità di ragionamento, organizzazione, orientamento del gruppo di Mignano all’esterno. L’unico limite, non da poco, è che questi operai sono fuori forzatamente dalla fabbrica, pagati per non lavorare, contro le sentenze dei giudici, nonostante la richiesta pressante di essere reintegrati. Non a caso.
Nell’azione martellante a Pomigliano, attraverso la vertenza dei trasfertisti, la questione si è allargata da Pomigliano a Cassino, vero stabilimento strategico della FIAT in Italia. A Cassino c’è lo stesso clima di Pomigliano, la stessa insofferenza contro i ritmi impossibili, le pause ridotte, i pochi soldi. A questo si aggiunge il problema degli interinali su cui Marchionne, spalleggiato da Renzi, ha fatto propaganda, individuando le nuove assunzioni come il frutto delle politiche aziendali vincenti della FIAT negli ultimi dieci anni.
Ebbene oggi, con il rallentamento della produzione dei nuovi modelli Alfa, su cui si basava il rilancio, i primi che rischiano di saltare sono proprio gli interinali. Voci insistenti dallo stabilimento parlano di licenziamento a fine contratto.
E’ in questo clima che matura la manifestazione del 30 giugno a Cassino. Osteggiata da buona parte dei sindacati alternativi e accettata infine non da tutti per la pressione della base.
Manifestazione che proclama apertamente il superamento delle esclusioni e contrapposizioni sulla base delle sigle sindacali.
“Il sindacato è uno strumento di lotta non di divisione tra gli operai”.
Superamento che già pone un problema di organizzazione superiore rispetto al solo sindacato, organizzazione degli operai sui propri interessi di classe. Il programma minimo della manifestazione del 30 giugno, proposto dal gruppo di Mignano in un appello agli operai FIAT, è già un programma che assume una valenza politica. Non ci vuole molto a capire che una rottura sui cinque punti non sarebbe solo una rottura di tipo sindacale.
Ci sembra un ragionamento semplice, comprensibile pure ai dottrinari che credono che sia la loro semplice volontà a creare per incanto la realtà. Eppure c’è ancora gente che invece di cercare di comprendere e sostenere questo concreto percorso operaio verso l’indipendenza politica, con arroganza e presunzione tratta come semplici trovate pubblicitarie gli obiettivi elencati dal gruppo di Mimmo. Sono così lontani dalla realtà di fabbrica questi guardiani di sion del “puro pensiero rivoluzionario”, da non sapere neanche che tutti questi punti sono all’ordine del giorno delle discussioni e lamentele operaie nelle fabbriche FIAT. Secondo l’ideologismo di questi signori, gli operai dovrebbero abbandonare queste questioni per lottare unicamente per il partito e per abolire il lavoro salariato. Ma come potrebbe mai nascere il partito operaio in assenza di una accanita lotta di resistenza degli operai contro lo sfruttamento? Tanto per usare un linguaggio comprensibile a loro (ammesso che conoscano, la teoria, anche se difficilmente la comprendono), ricordiamo che secondo Marx “se la classe operaia cedesse per viltà nel suo conflitto quotidiano con il capitale, si priverebbe essa stessa della capacità di intraprendere un qualsiasi movimento più grande”. Ma forse sarebbe bastato loro per non cadere in questo grossolano errore comprendere veramente quanto affermato dagli operai della INNSE sul partito operaio informale: “Organizzarsi ed agire come operai è già un programma, nel momento in cui gli operai, come tali, si riuniscono e cercano una via d’uscita dalla loro precaria condizione sociale trovano già, in questa ricerca, i mezzi e i modi per attuarla. Non hanno bisogno di un programma già pronto, elaborato in tutti i particolari, un elenco di obiettivi a metà strada fra grandi fanfaronate e piccoli effimeri risultati. … Il partito operaio gestisce la resistenza degli operai oltre il vecchio sindacalismo collaborazionista”. Se invece di masturbarsi nella loro vuota fraseologia rivoluzionaria, i guardiani di sion avessero cercato di comprendere la realtà, avrebbero colto la novità presente nella scadenza del 30: il tentativo di alcuni gruppi operai di collegarsi a prescindere dalle parrocchie sindacali di appartenenza. E non è un caso che questo tentativo da un lato ha visto la fiera e dichiarata avversione di alcuni sindacati “alternativi” e dall’altro ha ridotto a mera comparsa la presenza dei dirigenti degli altri sindacatini. E’ normale che, in questo percorso, in cui muovono i primi passi in proprio, i gruppi di operai di Pomigliano, Cassino, Termoli e Mirafiori possano cadere in errori e forzature, ma questo non può farci sottovalutare l’importanza del segnale che ci hanno dato. Ecco perché l’iniziativa del 30 è stata apertamente sostenuta dalla sezione di Operai Contro di Napoli.
Per una maggiore documentazione alleghiamo l’appello del gruppo di Mignano.
APPELLO DEL SI COBAS FCA DI POMIGLIANO A TUTTI GLI OPERAI FIAT
Sezione AsLO – Operai Contro di Napoli
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