C’è la concreta possibilità di tornare al lavoro per i circa mille operai tessili del Bangladesh licenziati perché avevano osato chiedere un aumento del loro salario da fame. In alternativa, riceveranno la liquidazione insieme a tutti gli stipendi non percepiti. Sono state ritirate anche le denunce penali che avevano condotto all’incarcerazione di alcuni sindacalisti e costretto altri a nascondersi per evitare l’arresto. È il frutto di un accordo raggiunto nel paese asiatico grazie all’impegno del sindacato internazionale IndustriAll che ha messo intorno a un tavolo la casa madre, cioè il colosso svedese H&M, e i dirigenti di sei fornitori che operano per conto della multinazionale.
Tutto comincia lo scorso dicembre, quando in decine di migliaia scendono in piazza dopo un primo licenziamento di 121 colleghi. A motivare la protesta è il salario ridicolo, pari a nemmeno due euro al giorno, largamente insufficiente per garantire una vita dignitosa. Per tutta risposta, parte la pesante repressione dell’attività sindacale con incarcerazioni e licenziamenti a raffica. A quel punto il sindacato IndustriAll e i suoi affiliati lanciano una campagna globale richiamando un accordo internazionale, il Gfa. E il colosso dell’abbigliamento decide di intervenire ponendo tre condizioni ai fornitori dell’area di Ashulia: ritirare le denunce, reintegrare chi era stato ingiustamente lasciato a casa, favorire nuove relazioni industriali costantemente monitorate da un osservatorio nazionale.
L’intesa è stata raggiunta dopo un lungo negoziato cominciato a marzo con i rappresentanti delle sei fabbriche coinvolte (Artistic Design, Windy Apparels, Rose Dresses, Sharmin Apparels, Fountain Garments e Dekko Design). Laddove non fosse possibile reintegrare i lavoratori – è scritto – saranno comunque pagati i salari non percepiti e le liquidazioni. “Un risultato importante – commenta la responsabile per il tessile di IndustriAll, Christina Hajagos-Clausen: “Questo accordo garantisce un gran numero di persone, ma il nostro impegno non si ferma qui”.
In effetti, se un risultato è stato raggiunto, resta ancora molto da fare in Bangladesh per i diritti umani e quelli dei lavoratori. Human rights watch ricorda in un recente dossier che le forze dell’ordine negli ultimi 4-5 anni hanno arrestato illegalmente centinaia attivisti dell’opposizione, tenendoli segretamente in carcere. Soltanto nel 2016 sono state almeno 90 le vittime di sparizioni forzate. E mentre la maggior parte di esse sono state portate davanti a un giudice dopo settimane o mesi dall’arresto, esistono prove di 21 casi di detenuti uccisi e nove di cui non si sa più nulla.
Anche sul fronte sicurezza sul lavoro qualcosa si sta muovendo, ma il cammino è lungo. Lo dimostra quanto accaduto lo scorso 3 luglio nella capitale Dacca. Al mattino, la notizia di un importante accordo tra Uni Global Union (la federazione internazionale che unisce i sindacati del settore servizi) e diversi marchi e distributori dell’abbigliamento. Poche ore dopo, l’ennesimo incidente: l’esplosione di una caldaia difettosa ha provocato la morte 13 di lavoratori e il ferimento di altri cinquanta. Luogo dell’incidente lo stabilimento della Multifabs Ltd, fornitore di confezioni per clienti in Svezia, Danimarca, Germania, Russia, Spagna, Paesi Bassi e Gran Bretagna, tra cui Littlewoods, uno dei più antichi marchi inglesi di vendita al dettaglio.
(M.M.)
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