SEI INVALIDO? ALLORA TI LICENZIO

Redazione di Operai Contro, La lotta contro i licenziamenti di quattro operai all’Hitachi di via Argine a Napoli Hitachi di via Argine a Napoli. Ex Ansaldo, circa millequattrocento dipendenti, di cui quasi la metà operai, fabbrica di componenti ferroviari. Non è un’azienda in crisi. Si stanno facendo assunzioni di giovani interinali che dovrebbero raggiungere oltre duecento unità. Nonostante questo la fabbrica licenzia. Un giochetto ormai usuale, si mettono fuori operai con contratti pre job act e si inseriscono giovani con i nuovi contratti “a tutele crescenti”, cioè meno pagati e licenziabili in qualsiasi momento. In questa ottica, Hitachi ha […]
Condividi:

Redazione di Operai Contro,

La lotta contro i licenziamenti di quattro operai all’Hitachi di via Argine a Napoli

Hitachi di via Argine a Napoli. Ex Ansaldo, circa millequattrocento dipendenti, di cui quasi la metà operai, fabbrica di componenti ferroviari.

Non è un’azienda in crisi. Si stanno facendo assunzioni di giovani interinali che dovrebbero raggiungere oltre duecento unità. Nonostante questo la fabbrica licenzia. Un giochetto ormai usuale, si mettono fuori operai con contratti pre job act e si inseriscono giovani con i nuovi contratti “a tutele crescenti”, cioè meno pagati e licenziabili in qualsiasi momento. In questa ottica, Hitachi ha messo fuori quattordici operai su quarant’otto del reparto logistica. Erano tutti operai “somministrati”, cioè formalmente dipendenti da una società esterna, controllata in qualche modo, all’epoca, da Finmeccanica, da cui dipendeva Ansaldo. Il solito giochino delle scatole cinesi, in questo caso, prima era la Fata, da qualche anno la Quanta.

Dei diciotto espulsi, quattro vengono trasferiti alla Leonardo, altra controllata Finmeccanica, e ai quattro si fa la “proposta” di andare a lavorare presso la Fincantieri di porto Marghera, sempre in “somministrazione” e chiaramente con nuovo contratto a “tutele crescenti”, che verrà applicato, detto per inciso, a tutti i quarant’otto operai. E’, il trasferimento dei quattro, un licenziamento a tempo. Se accettano, al tavolo delle “trattative”, presenti Hitachi, Quanta e sindacati, tutti dalla stessa parte, dovranno firmare un’impegnativa con la dicitura finale di “nulla a pretendere” nei confronti delle aziende coinvolte.

Perché proprio questi quattro operai? Qualcuno doveva essere “smaltito” definitivamente e loro, per le condizioni personali e familiari, non potevano assicurare la piena produzione ai ritmi attuali di sfruttamento, dovevano quindi essere sostituiti con “carne fresca”. Due sono invalidi e uno di loro ha una figlia di un mese al Gaslini di Genova con un tumore al cervello. Un altro utilizza la 104 per la grave invalidità della figlia. Il quarto ha 59 anni e, nella fabbrica moderna, è praticamente un vecchio. Una volta, queste condizioni assicuravano una certa copertura, nella farsa della società civile e impregnata di solidarietà cristiana verso gli ultimi, l’invalido era tutelato, oggi è motivo di licenziamento.

Come in centinaia di altri casi, anche l’Hitachi e i suoi sindacalisti, si aspettavano un’operazione liscia e pulita. Tutti avrebbero accettato “le decisioni dell’azienda” e sarebbero stati zitti e quieti. D’altra parte, senza una organizzazione propria, indipendente dal padrone, e senza più neanche la memoria delle lotte passate, che anche all’Ansaldo di via Argine una volta avvenivano, gli operai sono completamente sottomessi al padrone.

L’Hitachi però, ha sbagliato i suoi conti. I quattro non si sono piegati e, prima di tutto non hanno firmato la liberatoria proposta dall’azienda e si sono rivolti ad un avvocato del lavoro, tra l’atro il migliore sulla piazza di Napoli. Poi hanno chiesto aiuto al gruppo operaio più combattivo e attivo della zona, quello di Mignano, memori della battaglia che questo gruppo ha fatto per essere riassunto alla FIAT.

E così è partita la lotta. Presidi, volantinaggi, azioni eclatanti per coinvolgere stampa e opinione pubblica. Per l’Hitachi una brutta figura generale. L’azienda che spende milioni di euro per sostenere la propria immagine, subisce un duro colpo. Che gente è quella che licenzia quattro operai di cui due invalidi, destinando alla miseria quattro famiglie a cui i problemi già non mancavano?

Se gli operai avessero avuto una propria organizzazione all’interno dello stabilimento, la questione sarebbe stata risolta in altro modo. Con quattro licenziamenti, sarebbero bastati pochi giorni di sciopero e l’azienda si sarebbe piegata. Questo attualmente non c’è. Gli operai dell’Hitachi, circa settecento, stanno dimostrando la loro solidarietà nei confronti dei compagni in più occasioni, ma non sono ancora arrivati a una mobilitazione generale contro i licenziamenti.

La strada esterna della lotta, fatta di gesti plateali, come il tentato volantinaggio a piazza San Pietro a Roma, subito bloccato dalla polizia, o la salita sul palazzo dirigenziale della fabbrica da parte di Lucia, moglie di uno dei quattro, rappresenta in queste circostanze una via obbligata.

Gli operai, anche in questa circostanza, stanno dimostrando la loro capacità di reagire al padrone, con strategie appropriate alla situazione reale. Un gruppo determinato di operai aiutato da pochi militanti di estrazione sociale diversa che si battono a fianco degli operai, una strategia frutto di ragionamento, e la chiarezza che il padrone è il nemico, hanno dato vita a un’esperienza di lotta estremamente importante da cui tutti gli operai ne potranno trarre insegnamento.

F. R.

Condividi:

Comments Closed

Comments are closed. You will not be able to post a comment in this post.