Per il dibattito
La formazione dello Stato nazionale è strettamente connessa alla nascita e allo sviluppo del modo di produzione capitalistico. Lo Stato ha la funzione di centralizzare la vita giuridica della nazione e di omologare il mercato, eliminando diversità, autonomie e «privilegi».
Tutto ciò è avvenuto in Europa nel corso dei secoli XVII-XIX. Quanto è avvenuto dopo, in Europa e nel mondo, è stato una tragica caricatura.
Paradossalmente, l’Unione europea si è assunta questo scopo fuori tempo massimo, ovvero quando il modo di produzione capitalistico era entrato in una fase di declino irreversibile.
Da un decennio, l’aggravarsi della crisi sistemica ha avviato processi di disgregazione sociale e, via via, politico-nazionali; la causa prima è la contrazione dell’interscambio commerciale a livello mondiale.
In poche parole, sono venute meno le forze centripete, il cui motore è l’espansione del mercato, e hanno preso il sopravvento le forze centrifughe, sotto forma di protezionismo, autonomismo, localismo: ognuno per sé e il mercato per tutti.
A livello europeo, il primo grande passo è la Brexit, con la spina nel fianco scozzese.
A livello mondiale, il primo grande passo è il protezionismo yankee (America First), con tante spine nel fianco.
Quanto sta avvenendo in Catalogna è un nuovo importante passo verso la disgregazione del sistema di relazioni capitalistiche europee.
La vagheggiata formazione di uno Stato catalano indipendente sarebbe una tappa verso un accentuato protezionismo, destinato a sfociare in conflitti militari. In primis, con la Spagna che, perdendo la sua regione più ricca, si troverebbe a navigare in acque sempre più agitate, con la spina nel fianco basca.
Oggi, con l’intervento di Madrid, si profila una situazione che porterà inevitabilmente a una crescente stretta repressiva (e non solo in Catalogna), fomentando tensioni sociali, la cui evoluzione potrebbe anche essere la lotta armata.
In un caso o nell’altro, gli operai spagnoli e catalani non hanno nulla da guadagnare ma tutto da perdere, oggi come ieri, sarebbero solo carne da cannone.
Con questa prospettiva, parlare di autonomia proletaria mi sembra doveroso ma anche retorico.
Certo, la crisi attuale pone decisamente in primo piano gli interessi degli sfruttati. Mentre, ogni riferimento all’indipendenza nazionale è solo un ricordo di un passato ormai remoto che non può tornare, se non al prezzo di nuovi e maggiori disastri.
A mio parere, invece di un’estemporanea indipendenza nazionale, oggi più che mai la lotta proletaria dovrebbe difendere la propria autonoma politica e teorica, sostenendo le differenze, contro ogni omologazione mercantile e statalista.
Dino Erba, Milano, 25 settembre 2017
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