Caro Operai Contro,
un passo importante, le operaie e gli operai dell’Ikea di Corsico vicino a Milano, hanno scioperato perché la misura è colma. Sui cartelli hanno scritto: «Ci trattano come mobili da smontare e rimontare» e ancora: «Non siamo più uomini e donne. Solo numeri».
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il licenziamento di Marica l’operaia che lavorava all’Ikea da 17 anni. Prima del suo licenziamento l’azienda si era accanita in tutti i modi contro di lei, per costringerla ad autolicenziarsi. Ma la resistenza di Marica e ieri lo sciopero dei compagni di lavoro, hanno fatto venire in luce il sistema di oppressione e sfruttamento nei confronti degli operai dell’Ikea, che a Corsico conta 450 dipendenti. Una condizione operaia che ha covato sotto la cenere, ed ora è venuta allo scoperto con uno sciopero che spezza la subalternità alla paura delle ritorsioni del padrone.
Ikea dopo Amazon: anche dalle cattedrali dei servizi arrivano chiari segnali di ribellione operaia, contro la schiavitù del lavoro salariato. Un passo importante. Avanti!
Saluti operai
Articolo da La Stampa del 5/12/2017
Reintegrate la mamma licenziata”, i dipendenti Ikea di Corsico in sciopero
La rabbia dei colleghi della donna: «Ci trattano come mobili da smontare e rimontare»
I dipendenti di Corsico hanno esibito cartelli con su scritto «Pessima Ikea»
«Ci trattano come mobili da smontare e rimontare. Per loro siamo solo numeri senza diritti». Davanti allo stabilimento Ikea di Corsico alle porte di Milano sono in più di 200. Hanno le bandiere del sindacato e pure dei Cobas. Cartelli con su scritto «Pessima Ikea» e tanta rabbia in corpo. Sono qui a protestare per il licenziamento dopo 17 anni di lavoro di una loro collega, Marica Ricutti, mamma separata e con 2 figli di cui uno disabile, che non sarebbe riuscita a garantire i turni di lavoro dovendo accudire i figli. Al presidio c’è anche lei in un mare di lacrime: «Vi ringrazio tutti. A questa azienda ho dato la vita. Ho avuto un problema. Non ho mai chiesto privilegi ma solo un aiuto. Tutti noi vogliamo lavorare ma al di là del lavoro abbiamo una vita che vogliamo tenere in considerazione».
Della sua vicenda si occuperà la magistratura del lavoro. Ma le proteste tra chi lavora nel colosso multinazionale svedese sono continue. «I nostri turni di lavoro sono regolati da algoritmi. Non siamo più uomini e donne. Solo numeri», giura una signora assai battagliera in mezzo a chi ha aderito a questa fermata tra i 450 dipendenti dello store di Corsico.
Da Ikea replicano che lo sciopero non sarebbe andato poi così bene ma è il solito balletto di numeri, visto che secondo la Cgil l’adesione all’agitazione è stata del 70%. Numeri che contesta il colosso svedese: «Nelle sedi milanesi di Ikea su 1407 dipendenti in 47 hanno aderito allo sciopero». Ma si sa che in altri store come a Sesto Fiorentino in Toscana altri lavoratori hanno incrociato le braccia in solidarietà con Marica e con un loro collega barese licenziato per essere rientrato con 5 minuti di ritardo dalla pausa pranzo. Da Ikea minimizzano poi sull’utilizzo dell’algoritmo per stabilire i turni di lavoro: «Smitizziamo questa storia dell’algoritmo. È impensabile che nel 2017 si possano ancora fare a mano i turni di 6500 persone. La prassi dei cambi di turno tra colleghi concordati con i responsabili è normale. A Corsico dove ci sono 450 dipendenti si registrano circa 1800 cambi turni al mese».
Flessibilità è la parola d’ordine nella logistica e nel commercio su grande scala, le catene di montaggio del Terzo Millennio. Ma la modernità del lavoro ha le sue vittime anche tra i dirigenti. Francesca ha 25 anni di Ikea alle spalle. Da addetta alle vendite è salita nella catena di comando fino a diventare responsabile del reparto mobili, uno dei punti nevralgici del colosso svedese: «Prima mi hanno trasferito a Napoli e poi a Bari. Non volevo ma ho accettato per spirito di servizio. Quest’estate mi hanno annunciato il licenziamento a causa di una ristrutturazione aziendale. È stato umiliante perchè mi hanno chiesto di uscire dal negozio mentre ero in servizio. Mi hanno offerto una buona uscita ma ho rifiutato. Erano disposti a tenermi solo se mi fossi spostata a Cagliari con un contratto part time di 20 ore e 3 livelli in meno di retribuzione». Anche lei si è rivolta a un giudice in questo mondo del lavoro che cambia. E sempre in peggio ricorda Massimo Bonini il segretario della Camera del Lavoro di Milano: «Se vogliono le aziende 4.0 devono garantire anche diritti 4.0. Il lavoro con le nuove forme contrattuali degli ultimi anni è stato completamente dimenticato dalla politica e questi sono i risultati».
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