Aggiornamento dai cancelli della Innse del 22 dicembre 2017.

  Ieri  mattina (21 dicembre ) davanti al tribunale del lavoro di Milano si sono svolte due udienze. La prima; quella sul licenziamento di Massimo Merlo incentrata sul reclamo contro la sentenza emessa (la Fornero prevede che prima dell’appello si faccia un reclamo davanti allo stesso giudice che ha emesso la sentenza) si è conclusa con il fatto che il giudice ha chiesto alla parte avversa di allungare a 24 mesi il risarcimento. Massimo  ha detto che si riservava il diritto di pensarci. Il nostro avvocato ci ha fatto sapere che l’avvocato dell’azienda oggi lo aveva chiamato per chiudere […]
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Ieri  mattina (21 dicembre ) davanti al tribunale del lavoro di Milano si sono svolte due udienze.

La prima; quella sul licenziamento di Massimo Merlo incentrata sul reclamo contro la sentenza emessa (la Fornero prevede che prima dell’appello si faccia un reclamo davanti allo stesso giudice che ha emesso la sentenza) si è conclusa con il fatto che il giudice ha chiesto alla parte avversa di allungare a 24 mesi il risarcimento.

Massimo  ha detto che si riservava il diritto di pensarci.

Il nostro avvocato ci ha fatto sapere che l’avvocato dell’azienda oggi lo aveva chiamato per chiudere con una sorta di concilazione  sia la causa di Massimo che quella che riguarda anche la causa di Dario Comotti (la mia causa), accennando al fatto che si potesse andare verso un possibile accordo sulla base del fatto che l’azienda non sarebbe andata in appello contro la sentenza che giudica illegittimi i nostri licenziamenti.

Illegittimità che l’azienda  non digerisce affatto e tenta in tutti i modi di contrastare.

Il nostro punto di vista è sempre stato questo: se volevamo conciliare non avremmo avuto di certo la necessità  di andare davanti ad un giudice impugnando il licenziamento.

Per conciliare il licenziamento sarebbe  bastato  incontrare in azienda la controparte e di fatto avremmo portato a casa più soldi di quelli che il tribunale ha stabilito.

Ma questo non è mai stato il nostro obiettivo.

Il nostro obbiettivo è sempre stato quello di essere reintegrati al lavoro, e non quello di farci pagare per essere epulsi dalla fabbrica. Se per effetto della legge 300/70 (legge Fornero) non siamo stati riammessi al lavoro ciò non toglie che i giudici hanno comunque dichiarato illegittimo il nostro licenziamento, concordare una qualsiasi conciliazione vorrebbe dire  venire meno al principio di reintegrazione al lavoro.

Seconda udienza che riguarda la fase finale del licenziamento di  Enzo Acerenza (il dibattito tra avvocati)

Finalmente i nostri avvocati sono riusciti in udienza a ribaltare la tesi degli avvocati del padrone che sostenevano che Enzo non era in grado di fare l’elettricista e che per questo fatto l’azienda ha sempre dovuto rivolgersi ad imprese esterne per la manutenzione del macchinario ( una trivialità  senza limiti; 40 anni di lavoro come elettricista di manutenzione su macchinari complessi e questi hanno la spurodatezza di sostenere che Enzo  non è mai stato in grado di svolgere la mansione di elettricista  che per tutta la vita ha fatto).

I nostri avvocati nel dibattimento hanno sostenuto con vigore la tesi della discriminazione sindacale, aggiungendo nel dibattito che oltretutto l’azienda non ha per nulla rispettato la procedura della legge Fornero, procedura  che tra l’altro prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione davanti all’ufficio provinciale del lavoro. I nostri  avvocati hanno chiaramente  sostenuto che quella fu proprio una scelta deliberata, non fu affatto un errore dovuto a “superficialità”, ma fu una chiara scelta perseguita di proposito nel tentativo di saltare questa procedura.

L’avvocato dell’azienda oltre a vomitare volgarità dicendo che gli operai della Innse agivano come un unico corpo: “pensi sig. Giudice sia nelle lettere di contestazione che alla gerarchia aziendale rispondevano tutti allo stesso modo” (come se tutto questo non sia una normale pratica sindacale) è scaduta addirittura nel ridicolo sostenendo che: ” insomma il sig. Acerenza faceva il nonno e avrebbe dovuto scegliere se fare il nonno o continuare lavorare” un commento che si commenta da se. Comunque l’udienza si è conclusa con la riserva del giudice di andare a sentenza. A questo punto aspettiamo solo quello che il giudice deciderà.

Ricordiamo a tutti coloro che vogliono contribuire per sostenere materialmente la nostra lotta, che è attiva una pagina web “http://www.giulemanidallainnse.it” destinata alla raccolta di fondi per far fronte alle spese legali.

Il presidio davanti ai cancelli della Innse come sempre continua ( questo è il 10 mese di presidio), l’appuntamento è per lunedì 8 gennaio 2018 ( la fabbrica chiude per 2 settimane) dalle ore 7.00.

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