Spesso anche alcuni compagni e attivisti mi fanno notare che la lotta che
conduco insieme ad altri non produce granché, in fondo sto con 4 operai
fuori una fabbrica. Sì, sto con 4 operai fuori alle fabbriche, talvolta 10,
talvolta 20, ma comunque non tremila o trentamila, e proprio per questo non
mi faccio illusioni rispetto a imminenti scenari rivoluzionari. Però gli
stessi che sono disfattisti e pensano che per queste vie non si possano
raggiungere risultati, li ritrovo compatti su un programma che trae
ispirazione da ciò che storicamente non può che essere un compromesso (lo
stato sociale) della lotta permanente tra il movimento operaio e la
borghesia: vogliono un sistema fiscale progressivo, la sanità pubblica, un
reddito minimo, la dignità del lavoro (che non so cosa voglia dire) etc.
Scusate, ma come pensate di arrivarvi, ammesso che oggi un compromesso sia
possibile ed è ciò di cui avremmo bisogno, se io sto con 4 operai fuori una
fabbrica? Attraverso il voto? Ma neanche quando questo compromesso si è
realizzato, si è giunti per vie parlamentari.
Mi dicono: ma questo programma serve per farsi ascoltare, far avanzare
alcune parole d’ordine e cementare una coscienza di classe. A parte che se
queste sono le parole d’ordine avrei molto da ridire, parole che portano il
proletariato a capire che ha bisogno di più costituzione tendono solo
all’ordine vigente, quindi neanche ci sarebbe bisogno di noi, ma poi dubito
che da un programma si determini una coscienza di classe. Semmai un
programma è il frutto di una compiuta coscienza di classe. È l’espressione
della sua organizzazione. Ancora una volta la scorciatoia non è il tentativo
di uscire dal pantano. La scorciatoia è un pantano.
A.B.
Esempio universale: la via parlamentare del dialogo/confronto ha portato il PCI, in poco più di mezzo secolo, a ciò che rappresentano oggi le varie siglette della sinistra democratica.
Loro il nulla assoluto, gli operai a lavorare più di quanto facevano a quel tempo.