Che cosa c’è nell’accordo?
Per i mesi da gennaio a marzo, 100 € in un solo versamento, ossia meno dell’1% della retribuzione media nella metallurgia. A partire dal 1° aprile, i salari aumenteranno del 4,3%. A luglio 2019 al più tardi, ci sarà un ulteriore versamento di un «supplemento del 27,5% di un salario mensile». Vi si aggiunge un fisso di 400€. Quest’ultimo sarà «integrato alla griglia nel 2020 e verrà messo in conto dal contratto nel volume dell’aumento aggiuntivo». Ne risulterà quindi una modifica della scala salariale, che comporterà un aumento un po’ maggiore per le categorie più basse. Un pochino di più.
Ma il primo intoppo viene fuori con il fisso di 400€: in caso di «cattiva situazione economica», l’impresa, con l’accordo dell’IG Metall, può rimandare il pagamento, ridurlo o sopprimerlo del tutto. In passato, per quel che riguarda tanto gli aumenti quanto la riduzione del tempo di lavoro, abbiamo già conosciuto un numero incalcolabile di tali concessioni da parte dell’IGM. Il cosiddetto accordo di Pforzheim del 2004, aveva concesso ai «partner sociali» (delegati del Comitato d’impresa e direzione) il diritto di derogare all’accordo regionale, ciò che ha contribuito non poco a rendere porosi i contratti collettivi.
Nella metallurgia e nell’elettronica, se si prende il caso migliore, ciò dà per quest’anno un aumento medio del 3,7% (che rappresenta oggi per il salario medio 3418€) e per il 2019 un po’ più del 3% (circa il 3,6% se i 400€ sono pagati integralmente). Riferito ai 27 mesi di durata dell’accordo, si arriva, per una remunerazione media, a un aumento del 3,5% all’anno, un po’ di più per le categorie più basse (ma sempre a condizione che i 400€ siano versati). Con una previsione di aumento dei prezzi del 2%, si supera il tasso di inflazione, ma non si integrano gli aumenti di produttività.
▲ Riduzione del tempo di lavoro?
In molti commenti è la questione che spicca. Nei fatti, si è assistito a un odioso mercato che ha dato di più al capitale che a/i/lle salariat/i/e. Infatti, quella che è stata negoziata è solo una riduzione individuale (fino a 28 ore) di durata determinata, con il diritto di tornare alle 35 ore. Il prezzo da pagare è la possibilità, accordata ai datori di lavoro, di moltiplicare le assunzioni a 40 ore che già praticano attualmente: attualmente siamo al 13% su scala nazionale (18% nel Baden-Württenberg, il Land che funge da regione pilota), e si potrà scegliere di salire al 30% con un accordo di impresa in caso verificato di mancanza di manodopera qualificata, e fino al 50% («quota strutturale») per le imprese di tecnologie di punta, anche qui con un accordo d’impresa, se almeno il 50% de/i/lle salariat/i/e è a coefficienti elevati (gruppo salariale 12 del contratto Baden-Württenberg, prima EG14). Il comitato d’impresa può fare uso del suo diritto di veto ai tre livelli di quote, ma per il primo (13-18%) solo quando è superato del 4%.
A ciò bisogna aggiungere che le imprese hanno ormai la possibilità di passare dal sistema delle quote a quello del «volume globale del tempo di lavoro nell’impresa». Tale volume collettivo è stato fissato a 35,9 ore settimanali medie sulla base del 18% del personale a 40h e l’82% a 35h. In questo sistema, ogni salariat/o/a a tempo parziale apre la possibilità di stabilire nuovi contratti a 40h. Così, una persona a 20h (15h di meno), implica potenzialmente 3 assunzioni a 40h (3x5h di più).
E per fare buon peso, le imprese avranno in futuro, d’accordo con il comitato d’impresa, la possibilità di ritirare fino a 50 ore dai conti risparmio-tempo e di retribuirle (ciò che corrisponde a un prolungamento del tempo di lavoro di più di un’ora a settimana). Uno strumento supplementare per legalizzare il non rispetto della settimana di 35 ore.
▲ Che cosa pensare del risultato d’insieme?
– Complessizzazione
Questo negoziato ha spinto all’estremo la complessizzazione dei contratti salariali, in atto da anni. Il risultato è che i lavoratori i/le sindacalizzat/i/e non possono più sapere quali sono i punti che li riguardano direttamente, e su quali aspetti dell’accordo possono appoggiarsi. In molte imprese piccole e medie, anche de/i/lle delegat/i/e si ritrovano rapidamente superat/i/e. E in molte piccole fabbriche dove non ci sono per niente delegat/i/e è ancora peggio. Là, anche quando l’impresa riconosce il contratto ed è legata da questo, il padrone può trarre partito da questo groviglio per fare quasi ciò che vuole.
– Differenzazione
Con le nuove regolamentazioni per gli orari, il gioco sulle quote differenziate e il loro eventuale superamento, il sistema del volume globale, la protezione delle imprese contro i «sovraccarichi», gli effetti diversificati del «tempo di lavoro settimanale individuale» (IRWAZ), ecc., i padroni dispongono di una gamma ottimale di registri per accentuare ancor più gli scarti tra le categorie di salariat/i/e. Per non parlare del fatto che per i/le delegat/i/e del comitato d’impresa, la verifica del rispetto degli accordi è diventata ancora più complessa: come stabilire in modo certo una «mancanza di manodopera qualificata» che giustificherebbe il superamento della quota fissata per il numero di salariat/i/e a 40h, o ancora: che cosa è una «impresa di tecnologia di punta»? Chi determina la definizione? Su quali criteri oggettivi si stabilisce che un/a salariat/o/a ha una «qualifica chiave», e che la direzione d’impresa può dunque rifiutargli la riduzione della durata del suo tempo di lavoro?
Ancora più di prima, il bisogno di regolamentazione è spostato verso le imprese, ciò che non solo riduce sempre più la portata e il contenuto del contratto collettivo, ma pone inevitabilmente i/le delegat/i/e in una situazione sempre più difficile. Molto spesso, non solo non hanno il livello di competenza che sarebbe necessaria, ma non hanno i mezzi per stabilire un rapporto di forza (non possono, ad esempio, fare appello allo sciopero).
– Dispositivi collettivi sempre meno protettivi
Al contrario di quanto affermano i grandi media, in questo accordo non si trova alcuna riduzione del tempo di lavoro. Quando de/i/lle salariat/i/e isolat/i/e riducono individualmente il loro tempo di lavoro, il padrone può farne lavorare altri più a lungo nella stessa misura. Con la regola del 13% (o 18%) si era già visto come questa poteva essere utilizzata massicciamente e spesso superata. Ora, il padrone trova sempre delle vittime che non osano opporsi alla sua volontà. In questo modo si aggrava la tendenza al sempre più ampio allargamento del ventaglio del tempo di lavoro.
La compensazione salariale esiste solo in un numero ridotto di casi, per quelli e quelle che riducono momentaneamente a 28 ore per occuparsi dei bambini o delle faccende domestiche, ma ancora solo in dosi omeopatiche: soltanto 2 degli 8 giorni di ferie che possono prendere durante l’anno gli sono pagati. Accettando questo, l’IG Metall ha abbandonato la rivendicazione della compensazione salariale completa, cosa che era implicita e prevedibile, dato il carattere estremamente limitato della rivendicazione iniziale.
In conclusione, non c’è riduzione del tempo di lavoro per l’insieme del personale. Si tratta solo di modificazioni nella ripartizione dei tempi, gli sforamenti illegali delle quote sono ora legalizzati e si spalanca la porta per permettere ulteriori sforamenti. Il negoziatore capo di Südwest-Metall (organizzazione padronale del settore nel sudovest), Stefan Wolf, non aveva torto nel dichiarare: «Abbiamo ottenuto molto, e precisamente molte aperture verso l’alto per il tempo di lavoro».
▲ Che cosa resta?
Il solo raggio di luce in questa campagna di negoziati tariffari, è che con il ricorso a giornate intere di sciopero da parte della direzione sindacale (e non solo azioni mirate e molto limitate come di solito), molti lavoratori e molte lavoratrici hanno potuto vivere per la prima volta qualche cosa che assomiglia a una piccola esperienza di lotta (nel solo Baden-Württenberg, 190.000 persone). Visto il ridotto numero di giorni di sciopero in Germania, questa buona notizia, per quanto modesta, merita di essere citata, anche se ancora una volta gli/le iscritt/i/e di base dei sindacati non possono dire la loro sulla decisione di firmare.
Ma i punti negativi sono veramente molto pesanti. In primo luogo, con un accordo esteso a 27 mesi, la porta è ben chiusa a una lotta per una vera riduzione del tempo di lavoro. Lo sparpagliamento del personale nelle categorie più diverse (con tempi di lavoro diversi) non è precisamente fatta per favorire il sentimento di appartenenza a un collettivo. Perché si operi una svolta nel modo in cui sono condotti i negoziati, (e non solo da parte dell’IG Metall) abbiamo ancora, come si dice in tedesco, «delle assi molto spesse da forare»[molto lavoro da fare].
* Jakob Schäfer è un militante dell’ISO (Internationale Sozialistische Organisation)
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