I CARC CONTRO IL PARTITO OPERAIO
di Enzo Acerenza
scarica l’articolo in formato pdf I CARC contro il partito operaio
Fa uno strano effetto essere criticati di bordighismo dagli stalinisti e di stalinismo dai bordighisti. Siamo imprendibili. I preti di queste piccole chiese si affannano per azzannarci. Cercano di rendere inattuali le nostre posizioni, lanciando contro di noi antiche maledizioni ad uso dei propri fedeli. Niente di più terribile per coloro che si rifanno alla tradizione staliniana accusare qualcuno di essere un seguace di Bordiga, niente di più oltraggioso accusare gli avversari di stalinismo per coloro che fanno parte della tradizione della sinistra comunista. Ma non ci sfiorano nemmeno lontanamente, siamo impegnati in una operazione che va oltre la diatriba fra diverse tendenze teologiche, perché le piccole chiese, a questo hanno ridotto il marxismo, a questo hanno ridotto la critica dell’economia politica, il comunismo operaio. Hanno ridotto tutto ad una forma di religione alla quale aderire come fedeli. Non è cosa strana, anche il marxismo, in mano a qualche professore abituato a trattare le idee come fondate in sé, può ridurre questa teoria rivoluzionaria ad una serie di precetti inoffensivi e inefficaci.
Il comunismo non è una concezione del mondo di tipo religioso, una serie di principi speciali su cui voler modellare il movimento proletario, “il comunismo non è per noi un sistema, che debba essere introdotto o un ideale in base alla quale la realtà debba essere indirizzata. Noi chiamiamo comunismo il reale movimento che tende ad eliminare la situazione attuale. Le condizioni di questo movimento sono date da presupposti sin da ora esistenti” così scrivevano Marx ed Engels nell’Ideologia tedesca. Usiamo questa citazione per mettere in guardia chiunque voglia ridurre il comunismo ad una serie di precetti religiosi a cui bisogna aderire. Ci sembra, e lo anticipiamo, che i CARC, nel loro scritto contro di noi, siano saldamente su questa strada.
Una poltiglia di frasi sconnesse
Qui ci tocca affrontare i CARC, un loro lungo scritto critico si rivolge ad Operai Contro. Ci sono già state diverse scaramucce, per noi era sufficiente un giudizio sulle loro scelte politiche: difesa della costituzione borghese, il governo di blocco popolare nell’ambito di questo parlamento dei ricchi, la difesa dell’industria nazionale che porta alla difesa del lavoro italiano, il nazionalismo trasversale che va da Salvini ai sindacalisti collaborazionisti. Bastavano queste posizioni per capire che non si muovevano affatto sul terreno della rottura degli operai con il capitale e la società che vi corrisponde, che erano dei riformisti lontani dal comunismo. Ma non si sono dati per vinti, forse vogliono un po’ di visibilità dibattendo con noi. Hanno risposto infatti con un lungo pezzo, ci aspettavamo un approfondimento della loro politica elettorale, delle giustificazioni teoriche che danno al voto di sostegno alle fantasie ed alle illusioni che la piccola borghesia di Potere al Popolo sparge a piene mani, nel tentativo di conquistarsi un posticino in parlamento.
Niente, hanno scelto di esporre le differenze e le critiche ad Operai Contro su un piano, che loro credono si tratti di un piano teorico. A noi sembra una poltiglia di frasi sconnesse, ma non sia mai che gli operai dell’Associazione, a cui è rivolto lo scritto, si tirino indietro dalla possibilità di esprimere, anche se per rispondere a critiche scalcinate, le loro posizioni e darle al pubblico degli operai militanti perché vengano valutate con attenzione. Abbiamo così deciso di rispondere, ma una premessa metodologica è necessaria: quando si critica una posizione è fondamentale comprenderla e riportarla per quello che è, oppure si è così deboli, che per farsi forti, bisogna far dire all’avversario quello che più conviene per poterlo criticare con successo. Si può anche fare così ma non bisogna poi lamentarsi se il dibattito si svilisce e si passi alle offese.
Le origini comuni
Il vecchio pretone, che quasi 50 anni fa in Servire il Popolo mostrava già ampie tendenze a fare del marxismo leninismo una religione, è ricordato con affetto dai coetanei militanti operai dell’Associazione, anche se ora, diventato probabilmente vescovo, si dimentica che veniamo da una stessa chiesa, solo che noi eravamo operai giovani e lui come tanti altri un elemento giovane della piccola borghesia intellettuale, che le nostre strade si divisero proprio sulla base di questa provenienza di classe, noi a tentare la strada di liberarci come operai dalla nostra condizione di schiavitù, lui e i suoi pochi amici a cercare nel comunismo come religione la strada della salvezza dell’anima.
Comunque se si vuol capire qualcosa della formazione e dell’evoluzione della nostra tendenza c’è una tesi di laurea di un militante intellettuale di Napoli, ben documentata, dalla quale si può attingere, per capire la storia di quegli anni (https://www.academia.edu/36121703/La_rivista_Operai_e_Teoria_._Marxismo_e_operai_nel_dibattito_alla_fine_degli_anni_70).
Il partito indipendente
Forse è chiedere troppo che le posizioni di Operai Contro vengano esposte per quelle che sono, ma è quasi inutile, devono farci dire che il partito operaio è fatto solo da operai che pensano solo a se stessi, devono farci dire che siamo solo per le lotte economico sindacali e via così. Va bene lo stesso, tanto dalle critiche che ci vengono mosse risulta chiaro, emerge con prepotenza che il nostro obiettivo è stato quello, e lo è ancora di più oggi, di costituire un partito indipendente degli operai.
Il capitalismo è in continuo movimento, il suo modo di produzione e di scambio si rivoluziona continuamente. Fra gli operai, che assumono sempre più la condizione di schiavi industriali nella forma più pura, e il grande capitale ci sono le classi di mezzo che oscillano fra i due campi nemici e si schierano sulla base delle loro condizioni concrete, dei loro interessi, del grado di intensità della guerra che contrappone gli operai ai padroni. I bottegai si comporteranno in un certo modo nei confronti dei centri commerciali, in altro modo se nel corso di una sommossa operaia qualche vetrina viene giù. Gli impiegati se vengono licenziati si schiereranno contro il padrone, ma se per caso il padrone li convince che se gli operai lavorano più intensamente l’ufficio può essere salvato, si mettono subito in moto per fare pressione sugli operai perché pieghino la schiena. Poi c’è tutta la schiera di coloro che hanno maturato una rendita sufficiente a vivere con qualche privilegio che invece di prendersela con lo Stato dei ricchi che li sta dissanguando si convincono che la loro insicurezza deriva dagli immigrati, ecc.
Gli operai non sono divisi da tutti questi piccoli e medio borghesi da una muraglia cinese, vengono continuamente influenzati, condividono le loro critiche particolari al sistema ma anche le soluzioni borghesi che propongono. Gli operai qui sono solo individui, isolati gli uni dagli altri. La possibilità degli operai di agire come classe passa attraverso la loro differenziazione critica da tutte le fantasie e i programmi che, pur evidenziando le contraddizioni del sistema del capitale, si muovono comunque per un suo presunto miglioramento. Solo la classe degli operai può giungere a porre la questione pratica della rottura di questo modo di produzione e convincere le classi in rovina che è l’unica strada possibile, anche per loro, per emanciparsi. Il partito indipendente degli operai si impone proprio come l’unico strumento degli operai per agire come classe che emancipando se stessa emancipa tutta l’umanità. Si confronti questo ragionamento con il mito dell’esistenza di un corpo sociale che si chiama “masse popolari”.
Alla ricerca delle persone di buona volontà di cristiana memoria
Le classi che compongono “le masse popolari” sono scomparse, la loro possibile influenze sugli operai non esistono più, anzi il compito degli operai, indicato dai CARC, risente di una chiara matrice cattolica: se gli operai vogliono emanciparsi devono prima emancipare le masse popolari, raccogliere le “persone di buona volontà”, scrivono proprio così, essere degli altruisti. La cosa che fa sorridere è che queste persone di buona volontà “devono essere professionalmente preparate”. Non abbiano paura gli ingegneri e tecnici dei CARC, faremo la rieducazione anche per loro, la preparazione professionale che hanno intrapreso organizzando la produzione di merci andrà rivista e corretta sulla base di un nuovo modo di produzione diretto per una lunga fase dagli operai. Il processo storico è, nella rappresentazione che ne danno i CARC, completamente rovesciato. Per noi sono gli operai “lo strato più basso della società attuale” che “non può sollevarsi, non può innalzarsi, senza che tutti gli strati sovrapposti, che costituiscono la società ufficiale vadano in frantumi”. Siamo stati costretti ad un’altra citazione dal Manifesto Comunista. Per noi il processo è chiaro: gli operai abolendo se stessi come classe aboliscono tutte le classi ed emancipano di conseguenza tutti gli sfruttati ed oppressi dalla loro condizione. Imparassero gli operai ad agire come classe, a pensare a se stessi come becchini del capitale, si organizzassero in proprio come partito indipendente avremmo già fatto grandi passi avanti verso l’emancipazione dell’umanità. Così noi spingiamo gli operai a pensare a se stessi.
Chi ci impedirà come operai di costituirci in partito? Forse i CARC
Ci dispiace, ma nessuno, tanto meno voi dei CARC può impedire a degli operai di interpretare un processo storico che produce il costituirsi degli operai in classe e con ciò in partito politico. E qualcuno, lasciamo a voi indovinare chi, ha anche scritto che questa organizzazione dei proletari in classe viene nuovamente spezzata dalla concorrenza fra gli operai stessi, ma essa risorge sempre di nuovo, più forte, più salda, più potente. Ora noi operai, anche se pochi, abbiamo preso alla lettera la descrizione di questa evoluzione e abbiamo imparato che il partito operaio è la conseguenza diretta del costituirsi degli operai in classe, che il costituirsi degli operai in classe dipende dallo stato dei rapporti fra le classi in un determinato momento storico. Il partito degli operai non sta fuori dal tempo e dallo spazio. Non è forse espressione di un movimento concreto di una classe concreta? Non rispecchia le condizioni sociali degli operai? Ci sono fasi in cui i vecchi partiti, che in un dato momento storico erano partiti operai, hanno modificano la loro composizione di classe, lo sviluppo stesso dei rapporti economici ha ristrutturato gli operai, ha prodotto un’aristocrazia operaia, ha fatto dei partiti operai dei partiti della piccola borghesia ed infine dei partiti di borghesi per i borghesi. Il partito operaio come tale viene “spezzato” ed il problema degli operai è come nelle nuove condizioni andrà ricostituito. Un processo a spirale in cui ogni volta si ricomincia da capo partendo da nuove condizioni reali e nuova coscienza critica di questa nuove condizioni.
Il nuovo partito non può usare belle e pronte le vecchie formulazione ridotte a formule vuote, i nuovi operai che vogliono costituirsi in partito devono svolgere un’opera critica demolitoria dei vecchi involucri che sono stati i contenitori di una modifica lenta ma inesorabile dei vecchi partiti da partiti degli operai in partiti dei borghesi.
I chierici dei CARC, saranno ancora più convinti delle loro critiche: quelli di Operai Contro non vogliono costruire il partito comunista ma il partito degli operai! “Il partito comunista è il partito dei comunisti non degli operai” scrivono convinti di aver trovato la frase risolutiva. Ma cari amici se il partito dei comunisti non è il partito degli operai allora non è un partito comunista.
Il comunismo dei borghesi
Chi siano oggi i comunisti degni di questo nome non è dato di sapere. Sono in tanti, anche se piccoli mini-partiti che si definiscono tali e si sopportano a vicenda, ad ognuno il suo comunismo, che nelle loro mani è diventato una dichiarazione particolare di fede ad uso parrocchiale. Noi abbiamo scelto di farla finita con il comunismo dei borghesi. Ultima manifestazione di come la dizione comunista sia stata completamente rovesciata è l’uso che viene fatta di essa dai capitalisti cinesi, che reprimono e massacrano gli operai ribelli. Per stare nell’orto di casa abbiamo provato il comunismo della piccola e media borghesia alla Bertinotti e seguaci al governo con quel gran borghesone di Prodi. E’ necessario farla finita anche con quel comunismo rimasticato dei CARC che hanno la sfrontatezza di criticare degli operai che proprio sulla base del Manifesto Comunista si permettono di volersi costituire in partito proprio. Noi oggi scegliamo di non usare l’aggettivo comunista finché esso non si è liberato dalle forme borghesi, finché non diventa di nuovo uno strumento demolitorio dell’esistente e può diventarlo solo in mano degli operai che agiscono come classe e come partito indipendente.
Lasciamo stare le menzogne sul fatto che noi si voglia costruire un partito operaio di soli operai, un partito dalle “mani callose”. Gli operai hanno già tentato questa strada in Lombardia tra il 1882 e il 1886, fondarono un partito operaio e per salvaguardarlo dalle influenze dei democratici borghesi limitarono l’adesione ai soli operai manuali. Non era che un tentativo, ancora primitivo di far fuori dalla costruzione del partito tutti gli elementi delle altre classi che mentre possono portare elementi di educazione introducono, se non combattute, anche influenze borghesi nella costituzione del partito operaio. Per voi è meglio lasciar fare ai soliti avvocati senza clienti, agli ingegneri senza lavoro, ai professori in crisi, agli impiegati senza scrivania che ci raccontano che la soluzione è un governo di sinistra-popolare, che il problema è nazionalizzare le banche, ma mai e poi mai la rottura di un sistema che ci fa schiavi, mai e poi mai la fine del profitto e della proprietà privata. Il partito operaio dell’800 finì male, schiacciato dalla repressione dello Stato, sciolto con la galera e i tribunali, era diventato un pericolo per i padroni di Milano e della Lombardia per gli scioperi e le proteste di massa che organizzava. Ebbe buon gioco contro di loro anche l’avvocato Turati che li sbeffeggiava come il partito “delle mani callose”. E’ vero non avevano strumenti teorici per tenere a bada gli ideologi borghesi che solo pochi anni dopo portarono il partito socialista, che aveva inglobato tanti elementi del partito operaio, a diventare una forza riformista a sostegno dei governi borghesi. Ma naturalmente, in quanto operai di oggi, il primitivismo di allora possiamo superarlo ed allora ci tocca fare una distinzione fra processo storico generale e forma concreta di questo processo storico. Il processo storico analizzato criticamente ci dice che gli operai si costituiranno in classe e con ciò in partito, che conquisteranno il potere e aboliranno il lavoro salariato. La forma concreta di questo processo dipende dai dati di fatto, dalla realtà. I malati di ideologismo non si spiegheranno mai perché Marx ed Engels iniziano con la Lega dei Comunisti per poi approdare all’associazione internazionale degli operai, da qui ai partiti operai socialdemocratici. Noi siamo convinti che siamo nella condizione di dover ricominciare daccapo, con un bilancio critico di più di cento anni di esperienza dobbiamo ritornare alla classe degli operai, riconoscere che oggi essi non agiscono come classe, non hanno un partito, sono stati spinti fuori dalla scena politica, ma sono ancora e di più il prodotto antagonistico dello sviluppo capitalistico. Ricominciare dal partito operaio è oggi il nostro immediato obiettivo. Gli operai o i proletari che per Marx sono i moderni operai, devono organizzarsi in classe e con ciò in partito politico. Ora i CARC possono girare e rigirare la questione ma sono costretti a fare i conti con la determinazione di gruppi di operai anche se pochi, dispersi e “bordigo-stalinisti” di avere come programma l’organizzarsi in classe e dare a questa la forma partito. Qualunque comunista degno di questo nome saluterebbe questo tentativo come qualcosa di unico, veramente nuovo e si metterebbe al lavoro assieme agli operai per realizzarlo. I CARC invece ci ricordano che così non si fa, che il passo necessario sia, non in quanto operai, ma in quanto comunisti di aderire alla loro chiesa, che è comunista in quanto si dichiara tale. E se non lo fosse? Se invece, come noi crediamo, ci troviamo di fronte a dei riformisti mascherati da comunisti, finiremmo come operai nelle mani dell’ennesimo vecchio pretone di una piccola chiesa.
Gli operai teorici del marxismo
Il Lenin del “Che fare?” è il teorico marxista che si produce in una rottura radicale fra le classi in Russia, in una fase in cui la lotta di classe sta raggiungendo il suo apice, con un movimento degli operai in subbuglio. Il “Che fare?” è l’elaborazione di un programma ed una forma partito per questi operai, è un piano per organizzare gli operai come classe, ed organizzarli come tali vuol dire dare loro la coscienza della loro posizione sociale e del fatto che hanno la possibilità e l’obbligo di liberarsi dalla schiavitù dal capitalismo e dalle forme statuali che esso si è dato in quel momento storico. Il soggetto sono ancora gli operai, il problema e come si organizzeranno in partito e con quali strumenti critici. La coscienza socialdemocratica e cioè la teoria marxista viene dall’esterno del conflitto giornaliero fra operai e padroni, deve essere introdotta fra gli operai dagli ideologi della borghesia che hanno tradito la loro classe. Per noi non ci sono dubbi, e lo sappiamo per esperienza propria, la critica della società del capitale non nasce dalla lotta che ci contrappone al padrone per migliori condizioni di lavoro, per difendere il salario, bisogna come operai che ci appropriamo di quanto di meglio la rottura teorica ha prodotto come critica del modo di produzione che ci rende schiavi. Questi strumenti critici includono ogni nostra lotta quotidiana contro i padroni e il loro stato in un quadro generale di rottura con il capitale e ci preparano al superamento rivoluzionario di questa società. Abbiamo solo posto un problema, il rischio sempre presente che quattro scalzacani intellettuali di cui l’Italia è piena, in nome del fatto che la coscienza teorica debba essere necessariamente introdotta dall’esterno, debbano essere per forza loro ad introdurla con tutte le forme di pensiero borghese di cui naturalmente sono imbevuti. Se Operai Contro avesse creduto che la lotta sindacale o anche al lotta politica-riformista portava spontaneamente gli operai alla coscienza di classe non avrebbe mai fondata una rivista titolata Operai e Teoria, gli operai di questa tendenza hanno talmente capito il “Che fare?” che hanno tentato di fare di loro stessi dei teorici del marxismo ed in qualche modo oggi si possono misurare con chiunque sulla teoria marxista, senza avere alcuna soggezione. Lenin nel “Che fare?”, nella stessa pagina in cui scrive “Dal momento che non si può parlare di una ideologia indipendente, elaborata dalle stesse masse operaie nel corso del loro movimento …” inserisce una nota a piè di pagina “Ciò non significa che gli operai non partecipano a questa elaborazione. Essi vi partecipano non come operai bensì come teorici del socialismo … in altre parole, solo in quanto riescono ad impadronirsi in varia misura delle conoscenze del proprio secolo e a farle progredire”. Uno sforzo immane per impadronirsi come operai del marxismo che ci permette di dire agli intellettuali di basso livello dei CARC “se volete introdurre fra gli operai le vostre concezioni sappiate che dovete passare al vaglio di operai che si sono impossessati degli strumenti teorici necessari per sottoporre a critica tutte le vostre storielle riformiste ed additarvi agli altri operai come l’ennesimo tentativo di deviarci dal voler costruire un nostro partito indipendente”.
La fatica degli ideologi borghesi
Marx va molto cauto sul fatto che degli ideologi borghesi portino agli operai elementi di educazione, colloca la possibilità che essi passino al proletariato solo in una profonda crisi quando la lotta di classe giunge ad un momento decisivo ed essi “faticosamente” sono giunti alla comprensione teorica di tutto il movimento storico. Faticosamente “hinaufgearbeitet” scrive Marx, non è un’invenzione dei compagni di Operai Contro che produce tanta ironia nei CARC, è proprio Marx che vuol esprimere l’idea di quanto sia faticoso per gli ideologi borghesi giungere ad una coscienza teorica del movimento storico, e anche noi del partito operaio prevediamo che in un momento di crisi sociale alcuni ideologi della borghesia passino dalla parte degli operai, ma solo se hanno “faticosamente” e non “naturalmente” compreso che la dissoluzione della vecchia società produrrà l’avvento al potere degli operai e l’instaurazione di un nuovo modo di produzione. Si badi bene, questa possibilità è data, sempre nel Manifesto “nel processo di dissolvimento in seno alla classe dominate, in seno a tutta la vecchia società”, quando questo processo “assume un carattere così violento, così aspro che una piccola parte della classe dominante si stacca da essa per unirsi alla classe rivoluzionaria”. Gli ideologi borghesi, che stanno con gli operai, si producono ad un dato livello della lotta fra le classi, al livello in cui la resa dei conti è vicina. Non sono un prodotto spontaneo della società dei padroni, anzi, nelle fasi di relativo benessere per le classi medie, stanno ben acquattati nelle università e nei centri studio. Sono anni che aspettiamo, come operai, dagli intellettuali un contributo di educazione politica e generale per la nostra liberazione. Più che lezioni sulla nuova fase del capitalismo che ci avrebbe cancellato, sulla modernità che ha eliminato i contrasti fra le classi, non abbiamo ricevuto, anche per questo cari predicatori dei CARC abbiamo deciso di saltare ogni mediazione ed andare a ricercare direttamente gli strumenti teorici che ci servono per condurre la lotta per la nostra liberazione di valore universale.
L’operaio comunista come apostolo del nuovo mondo
“L’operaio comunista”, ci dicono i CARC “ha un progetto di società da costruire”, se noi siamo rimasti alla prima Internazionale Operaia loro sono rimasti ai “sistemi socialisti” di Fourier, di Owen, al comunismo critico-utopistico criticato nel Manifesto. Solo che i sistemi che Marx critica appaiono “nel primo e poco sviluppato periodo della lotta fra proletariato e borghesia”. Riproporli oggi come il progetto di un nuovo mondo si rivelano come un miscuglio di fantasie illusioniste e concrete azioni riformiste. Continuiamo a citare Marx perché almeno ci auguriamo che i CARC non dicano che è “datato”, “al posto dell’azione sociale deve subentrare la loro [degli utopisti] azione inventiva personale; al posto delle condizioni storiche dell’emancipazione, condizioni fantastiche; al posto del graduale organizzarsi del proletariato in classe, una organizzazione della società escogitata di sana pianta”. Cos’è il progetto di società dei nostri inventori se non un’insieme di condizioni fantastiche? Scrivono i CARC: “per elaborare ed introdurre questo ordinamento sociale superiore stante la sua natura occorre che tutti i membri dell’umanità esercitino a livello adeguato le proprie attività intellettive”, così la rottura dei rapporti di produzione che costringono gli operai a vendersi al capitale, lo sviluppo delle forze produttive materiali liberate dalla forma capitalistica, che sono la sola base per una nuova società, sono completamente dimenticate. L’elaborazione e l’introduzione di un nuovo ordinamento sociale passa attraverso il rovesciamento del capitale e con esso della sua attività intellettiva. Il materialismo storico come un nuovo modo di esercitare le proprie facoltà intellettive si afferma con la lotta di classe anche in campo culturale, nel campo della conoscenza. Questo mito da educatori che per dirigere una nuova società ci sia bisogno di gente adeguata intellettivamente nel senso borghese, senza distinzione di classe, ci è completamente estranea. Gli operai impareranno a dirigere la nuova società nello sforzo di superare quella vecchia, acquisiranno un nuovo livello di attività intellettiva nella demolizione dei vecchi rapporti di produzione e con essi della divisione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Altrimenti la storia è sempre la stessa, gli operai non potranno gestire la nuova società per il basso livello di attività intellettiva che potranno mettere in campo, nella società progettata dai CARC tutto torna ancora nelle mani della borghesia, che si sa, è istruita. La lotta fra le classi, immaginata dai CARC, è in funzione del loro fantasioso progetto di società da costruire, “dell’idea” da realizzare sulla terra. Per noi la lotta fra la classe degli operai e quella dei borghesi, il suo sviluppo fino alla vittoria degli operai non è la realizzazione di un progetto ma il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti e costruisce un nuovo ordine sociale. Al posto dei predicatori del nuovo mondo noi siamo gli operai del superamento rivoluzionario di questo. Per fare questo ci vuole un partito politico indipendente degli operai e lo costruiremo anche senza l’imprimatur dei pretoni dei CARC.
Cari compagni,
ho letto il documento di Enzo Acerenza “I CARC contro il partito operaio”. È una critica interessante, però non mi sono chiare alcune cose.
Come mai la vostra critica è rivolta ai CARC, mentre il testo a cui si riferisce Enzo è del (nuovo)PCI? Vi crea forse dei problemi il fatto che il (nuovo)PCI è un partito clandestino?
Non ho capito in sostanza qual è secondo voi la relazione tra gli operai che si costituiscono in partito indipendente e le altre classi di sfruttati e oppressi. Se ho capito bene, il (nuovo)PCI dice che gli operai devono e possono dirigere le altre classi di oppressi e sfruttati (quelle che chiama “masse popolari”) a fare la rivoluzione socialista. Secondo voi invece che relazione devono stabilire gli operai del partito indipendente con le altre classi di oppressi e sfruttati?
Ultima cosa: gli operai del partito indipendente hanno o no un progetto di società da costruire? Se sì quale?
Saluti comunisti Ludmilla