La battaglia per la produzione ed il controllo del mercato dell’acciaio è in piena espansione.
La produzione annua a livello mondiale si aggira attorno a 1,6 miliardi di tonnellate di acciaio con un certo riequilibrio tra domanda e offerta, con un aumento della produttività complessiva, negli ultimi 35 anni (1982-2018) in crescita del 225%, la sola Cina produce il 50% della acciaio mondiale in circolazione, un enorme produzione in continua crescita ed espansione.
Di conseguenza le più grandi società produttrici di acciaio mondiale stanno cercando di accorpare ed assorbire il maggior numero di acciaierie nella prospettiva di aumentare la produzione per conquistare il maggior numero di quote di mercato per battere la concorrenza ed estendere il processo di concentrazione monopolistico sulla produzione mondiale.
Il colosso siderurgico ArcelorMittal, primo produttore mondiale di acciaio, con una produzione annua di 114 milioni di tonnellate di acciaio ed un fatturato che supera i 50 miliardi di euro, attraverso la sua controllata AmInvestCo si è aggiudicata in questo anno l’acquisizione della Ilva.
Siamo abituati a ricondurre la Ilva al solo stabilimento di Taranto ma nella realtà il gruppo Ilva è composto da altre unità produttive, ed i tagli che la nuova proprietà ha intenzione di effettuare nell’ambito della ristrutturazione annunciata interessano e ricadono su tutte le fabbriche del gruppo e principalmente nei tre stabilimenti italiani.
Le principali acciaierie della Ilva in Italia sono: Centro siderurgico di Taranto, inaugurato il 10 aprile 1965 il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, che con una produzione di acciaio di 5 milioni di tonnellate, 11.000 dipendenti di cui circa10.000 operai ( con un indotto di altri 3000 lavoratori circa, nel 2005 le imprese pugliesi dell’indotto ILVA erano 188 con un fatturato che si aggirava attorno a 310 milioni di euro) è il più grande centro siderurgico d’Europa, la storica acciaieria di Genova Cornigliano che produce circa 500.000 di Tonnellate annue di laminati a freddo (l’area a caldo dell’acciaieria è stata chiusa nel 2005) che conta 1500 dipendenti (circa 1300 operai) e l’Ilva di Novi Ligure con 700 dipendenti, di cui circa 500 operai, che produce circa 400.000 tonnellate di acciaio laminato annue.
La ArcelorMittal ha già fatto sapere che con l’acquisizione dell’ILva gli esuberi in tutto il gruppo saranno di circa 4000 dipendenti, di cui gli operai saranno la maggioranza, il loro piano industriale prevede di riassorbire solo 10.000 dipendenti degli attuali 14.000 occupati.
La parte più consistente degli esuberi sarà concentrata nell’acciaieria di Taranto, resterebbero in forza solo 7.600 degli attuali 11.000, mentre a Genova gli esuberi dichiarati saranno 900.
Oltre gli esuberi ArcelorMittal intende tagliare tutti premi di produzione aziendali e la quattordicesima, trasformandoli in premi variabili legati all’andamento del mercato. Tutto questo mentre la produzione di acciaio, sempre nel piano ArcelorMittal, sarà destinata ad aumentare; dagli attuali 6 milioni di tonnellate annue ai 10,2 milioni di tonnellate previste entro il 2023. Un enorme salto della produzione senza nessun limite e nessun freno, destinato a peggiorare oltremodo l’esistenza degli operai, aumentando a dismisura gli infortuni, le morti sul lavoro e le malattie professionali.
Tutto questo mentre il governo del conte Gentiloni ha depositato in commissione bilancio della Camera un emendamento che riguarda la proroga dalla cassa integrazione straordinaria per il lavoratori dell’Ilva, la prosecuzione dell’ammortizzatore sociale per i circa 14mila dipendenti di Taranto, Genova Cornigliano e di Novi Ligure sarà coperta con un finanziamento di 24 milioni di euro, praticamente un emendamento che equivale all’accettazione completa del piano ArcelorMittal sugli esuberi.
Ma il sindacato in questa vertenza che farà? Che posizione prenderà per difendere gli operai ?
Il sindacato come al solito, nella sua demagogica insulsaggine, ingoierà il rospo in nome della salvezza della fabbrica firmando, con tutta probabilità, un accordo che scambierà salario con posti di lavoro. Un taglio netto dei salari in nome della salvezza della fabbrica. Un canovaccio stantio visto, purtroppo, infinite volte con un numero di fabbriche chiuse che oramai non si contano nemmeno più.
In una nota datato 10 maggio sulla trattativa la Fiom scrive: “ nello schema (proposto dal ministro Calenda lo scorso 10 maggio al MiSe) non varia il numero degli occupati, che saranno diecimila inizialmente, per poi scendere a 8.500. Le condizioni salariali, sconosciute in avvio di trattativa, ora ben evidenziano la perdita del premio di risultato, ossia una riduzione del 10% dei salari siderurgici che oggi già sono i più bassi dell’area euro.” Una nota che non prende una netta presa di posizione posizione contro la prospettiva del taglio salariale ne contro gli esuberi. Una nota insignificante che serve solo a buttare fumo negli occhi ed ha il solo scopo di preparare il terreno ad una futura sconfitta degli operai, sconfitta che si concluderà con tutta probabilità con un accettazione del taglio dei salari con un accordo tra sindacato governo e ArcelorMittal. La fiom se fosse ancora un sindacato ancora credibile avrebbe dovuto già da tempo preparare e propagandare un piano di scioperi e manifestazioni per mobilitare gli operai contro qualsiasi tentativo di svendita del salario e di riduzione della forza lavoro. Ma oramai la Fiom è da tempo che ha perso quella poca credibilità che la distingueva da Fim e Uilm .
Saranno capaci gli operai dell’Ilva di fronte a questa prospettiva di prendere in mano direttamente la trattativa strappandola dalle mani del sindacato per difendere il loro salario e non accettare nessun esubero? La palla è nelle loro mani!
D.C.
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