I capi della piccola borghesia sono scesi a compromesso con la finanza e il grande capitale e sono al governo. Il governo è il risultato dell’accordo fra piccola borghesia del Sud e media e piccola borghesia del Nord sotto la tutela dei rappresentanti dell’oligarchia finanziaria, un’insieme di banchieri, grandi industriali e manager di stato gestori del debito pubblico.
Mattarella, il capo dello stato ha lavorato per integrare Lega e 5 Stelle negli interessi della grande borghesia. Ha bloccato la formazione del governo finché non vi erano garanzie in questo senso. Avremmo dovuto come operai gridare al golpe bianco? Sempre subalterni alla difesa della loro democrazia? E questa volta compromettendoci ancora di più, spingendo al governo il reazionario Salvini e il venditore di fumo Di Maio? Si devono calmare i democratici puri, la risposta è venuta pochi giorni dopo, Lega e 5 Stelle in accordo con il capo dello Stato sono andati al governo e il 2 giugno erano tutti a festeggiare la Repubblica borghese, dimenticando insulti, richieste di impeachment…
La democrazia della Repubblica dei borghesi garantisce il potere dei padroni sulla società e questa crisi lo ha dimostrato senza ombra di dubbio. L’esercizio del potere degli operai si esprimerà in altre forme, l’elezione diretta dei delegati operai nelle fabbriche per formare un loro governo, l’esclusione dal potere delle classi possidenti per dare realmente ai poveri la possibilità di contare socialmente. Questi brevi richiami servono solo per dire agli operai: basta col fare le sentinelle della democrazia dei ricchi, con gli operai andranno al potere quelli che si ammazzano di lavoro nelle fabbriche e nei cantieri e costruiranno un modo proprio di rappresentanza sociale.
È tempo di uscire dal famoso teatrino della politica, dalla discussione indecente fra capi politici, commentatori, giornalisti. Sgomberiamo il campo dalle battute, le chiacchiere da bar di cui Salvini è professore, e andiamo alla sostanza. Vediamo quali classi rappresentano questi signori, quali interessi difendono. Come operai possiamo e dobbiamo farlo per capire la situazione reale in cui viviamo e il nostro rapporto con la politica. Altrimenti non ci rimane nient’altro che andare al carro di quello che ci sembra più critico, di quello che ci promette qualche briciola, dei piccoli e medio borghesi che si agitano quando perdono, nella crisi, qualche privilegio e ci usano per andare al governo e finire comunque col sostenere il nostro nemico mortale: il padrone, grande, medio e piccolo.
L’operazione sulle tasse, che è il principale cavallo di battaglia della Lega, non è che un regalo alla media e piccola borghesia del Nord ed anche del Sud. Meno tasse, così della ricchezza che questi “imprenditori” ottengono dagli operai che sfruttano ne rimarrà una quantità maggiore nei loro conti correnti, per i loro investimenti finanziari. Prima però ci sarà un condono. Ognuno che va al governo deve dare una mancia ai suoi sostenitori, è una regola. E gli operai? Sono a posto così come sono. Una parte di ricchezza prodotta dal loro sfruttamento è girato dal loro padrone nelle casse dello Stato, a nessuno viene in mente di aumentare, per legge, il salario, per equilibrare lo sconto sulle tasse fatto ai borghesi. Sarebbe un affronto inaccettabile al libero mercato delle braccia. Agli operai non rimane che la logora litania che sia Salvini che Di Maio ripetono convinti: se il padrone paga meno tasse svilupperà gli investimenti e più lavoro sfruttato. Torniamo indietro di due secoli “fai fare buoni affari al tuo padrone che a te arriveranno tante briciole”. A noi sono rimaste le briciole, a loro una ricchezza immensa. Quando ci libereremo la testa da queste fandonie sarà troppo tardi.
L’altra bandiera, il reddito di cittadinanza, non si è ancora attuato che si è già sciolto. Ora si dice passerà per la riforma delle agenzie del lavoro e durerà due anni. Come se la mancanza di lavoro non dipendesse dai padroni che ti fanno lavorare alla sola condizione di ricavarne un profitto adeguato e un profitto adeguato richiede un mercato adeguato. Si risolverà in un’indennità di disoccupazione un po’ più allargata, nel migliore dei casi. Serve alle classi superiori intervenire sulla miseria, le rivolte dei poveri sono più pericolose. Il nuovo ministro del lavoro non dice una parola sulla libertà di licenziare introdotta da Renzi, sul ripristino dell’articolo 18. Ma è un uomo dei piccoli e medi imprenditori e sa che, per questi, la libertà di licenziare è essenziale. Non vorremmo mica che si bruci il sostegno di questi che lo hanno spinto, col voto, al governo a condizione che nessuno si intrometta nei loro capannoni, nelle loro officine, nei sottoscala, dove fanno lavorare i loro schiavi.
Ora viene il bello, i capi della piccola borghesia dovranno dimostrare di favorire con la loro azione di governo gli strati più malmessi della società. Dovranno dimostrare di stare dalla parte della piccola borghesia più rovinata, dovranno pagare il conto agli operai che in parte li hanno, pieni di illusioni, sostenuti. Sarà un’occasione per seppellire le ultime illusioni su una riforma del sistema dall’interno, sarà il tempo di superare questi fanfaroni capi politici che si piegano al primo padrone o funzionario statale che alza la voce, sarà il tempo di rompere ogni indugio e costruire un partito indipendente degli operai. Gli uomini che veramente cambieranno le cose sono in agguato e sono gli operai moderni.
E.A.
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