Attraverso gli investimenti produttivi i padroni cinesi mettono le mani su intere regioni. Controllano materie prime e sfruttano le differenze nazionali dei salari. Come li invidiano i capitalisti italiani
Bisogna riconoscere a Di Battista il merito di avere riportato l’attenzione sull’imperialismo. Naturalmente da buon nazionalista ha scorto quello della borghesia francese, ma si è guardato bene, da piccolo intellettuale di una altrettanto piccola borghesia italiana, di vedere e denunciare quello italiano (lì la cecità è completa). Sull’imperialismo sostenuto da tutti i governi italiani (governo Conte compreso), con i grandi gruppi industriali italiani, ENI in testa, come artefici, Di Battista tace. Ma tacciono in tanti, anche tutti quelli che si sono prontamente messi all’opera a dimostrare che le tesi dell’esponente 5stelle fossero false.
Di Battista ci svela l’esistenza del franco CFA, che poi non è altro che una moneta, una delle forme del denaro, quel mezzo storicamente determinato attraverso la quale avviene lo scambio dei prodotti del lavoro umano sotto forma di merci. Ma si guarda bene dallo svelarci la ragione per cui il franco CFA sia “una manetta nei confronti dei popoli africani”. Cosa in quello scambio, per mezzo di quella moneta -ma altrettanto avviene con euro, dollaro o yuan-, si celi, ed è “causa delle emigrazioni dall’Africa”, ovvero della povertà di milioni di africani. Avrebbe forse dovuto spiegare come sia possibile che anche attraverso uno scambio tra valori uguali possa avvenire un furto, così come avviene regolarmente nell’acquisto della forza-lavoro degli operai da parte di un capitalista borghese. E come in seguito a quello scambio tra pari valori si generi la povertà operaia e la ricchezza dei padroni.
Buon gioco nel rispondergli hanno avuto poi quelli che: “piuttosto che la Francia si guardi alla Cina che è diventato il principale attore in Africa”. La Francia – dicono questi- è in fin dei conti Europa, dalla stabilizzazione monetaria con il franco CFA ancorato in valore all’euro, ne ricavano certezza anche gli scambi commerciali dell’Italia. Ma l’imperialismo cinese, quello ci minaccia, ci fa concorrenza, è più forte e arriva prima ad accaparrarsi le materie prime. E qui viene fuori tutta l’invidia del capitalista nostrano, che si lamenta di essere poco tutelato (nella rapina del continente!) dal proprio governo, e dalla unione europea. Vuoi mettere con il governo cinese, con il sostegno che fornisce ai propri capitalisti che vanno in Africa, comprano terreno a basso prezzo e vi fanno delle piantagioni, vi aprono delle miniere, fabbriche, ecc? Il governo cinese stringe con i governi locali accordi commerciali, di sfruttamento delle risorse naturali strategiche, spesso rare, e in cambio costruisce strade, ferrovie, porti, intere città costruite nel nulla. A sostegno di tutto ciò un sistema creditizio che i borghesi italiani se lo sognano.
Un solo esempio, la costruzione della tratta ferroviaria di circa 1000 km in Kenya tra la capitale, Nairobi, e il porto di Mombasa da parte della cinese China Road and Bridge Corporation (Crbc). Costo dell’opera 3,8 miliardi di dollari prontamente garantiti dalla Banca per l’import export cinese (China Exim Bank) e che il governo del Kenya potrà cominciare a rimborsare fra 10 anni con i proventi generati dalla ferrovia. Se poi sarà davvero in grado di restituire il prestito dipenderà dalle merci che davvero vi transiteranno.
In ogni caso i dati parlano chiaro, gli scambi commerciali tra Cina e Africa sono lievitati in questi ultimi dieci anni e da poco più di 10 miliardi di dollari nel 2002 hanno raggiunto il picco di 220 miliardi nel 2014. Piazzando la Cina al primo posto nel commercio con l’Africa, dopo aver superato gli Stati Uniti nel 2009 con i suoi 90 miliardi di dollari. Nel 2017 l’interscambio Cina-Africa è stato di appena 170 miliardi, a causa della riduzione della riduzione dei prezzi delle materie prima, ma non dei volumi, con un ulteriore vantaggio per gli importatori cinesi.
Tanto che al terzo Forum on China-Africa Cooperation del 2018, tenutosi a settembre a Pechino con la presenza di 53 su 54 degli stati africani, il governo cinese ha confermato un nuovo piano triennale da 60 miliardi di dollari, in linea con quanto stanziato nel triennio precedente. 50 miliardi li metterà lo Stato, 10 miliardi saranno gli investimenti dei singoli capitalisti cinesi. I capitalisti italiani si mordono le mani dall’invidia.
R.P.
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