La digitalizzazione della produzione nella fabbrica del padrone produce vera civiltà, nuova schiavitù
Le innovazioni tecnologiche hanno da sempre comportato lotte tra operai e padroni. Gli operai, agli inizi, vedevano nelle nuove macchine un loro diretto avversario. Attribuivano alla macchina la responsabilità principale del licenziamento di molti di loro. In un secondo tempo l’operaio prende coscienza che in realtà non è la macchina a creare la disoccupazione, ma la forma sociale del suo utilizzo. E’ l’uso capitalistico che ne fanno i padroni
Siccome la macchina la acquista il padrone, appare corretto che anche i benefici vengano intascati dai padroni. Peccato che senza lo sfruttamento operaio non avrebbe possibilità di acquistare nessuna macchina. Ma qui non esporremo la teoria sul plusvalore, ci occuperemo solo del peggioramento delle condizioni di lavoro che l’innovazione tecnologica comporta.
Landini, che dice di stare dalla parte degli operai, continua a sbraitare che il problema sono gli investimenti, sostiene che in Italia non se ne fanno. Tradotto significa che lo Stato dovrebbe dare una mano ai padroni e favorire l’acquisto di nuove macchine che secondo lui porterebbero ad aumentare l’occupazione. Cosi lo Stato, al servizio dei padroni e sostenuto dal sindacato, regala soldi alle imprese se investono in tecnologie moderne, digitali.
La legge di stabilità del 2017 prevede appunto, un ammortamento del 250% se il padrone acquista macchine nuove, l’obiettivo è testualmente, “di favorire processi di trasformazione tecnologica e digitale”.
Neanche una parola sulle nuove condizioni di sfruttamento a cui gli operai sono andati incontro.
Nel settore delle macchine utensili a controllo numerico, ad esempio, all’operatore non è più richiesta una conoscenza della matematica e della geometria, e tanto meno conoscenze meccaniche.
Qualche decennio fa, il programma si faceva a bordo macchina, l’operatore doveva costruire riga per riga il percorso geometrico dell’utensile, partecipava, seppur già in minima parte, alla costruzione del pezzo.
Per il padrone questo significava invece un fermo macchina di qualche ora.
Ecco che lo sviluppo della tecnologia, indotto dalle nuove esigenze del capitale che spinge verso innovazioni che diminuiscono i tempi morti, succhia tutto il tempo di lavoro dell’operaio.
Le innovazioni tecnologiche non avvengono per puro spirito di curiosità innato nell’uomo che spingerebbe gli inventori a creare macchine sempre più innovative, ma è la necessità dei padroni nell’ottenere miglioramenti nella spremitura massima della forza degli operai.
Con le nuove macchine, il programma arriva dalla rete, viene costruito in ufficio da un impiegato e spedito alla macchina, mentre questa naturalmente sta eseguendo il pezzo precedente.
Il progresso del controllo numerico sta nella velocità di elaborazione dei dati che arrivano dall’esterno. Per quanto riguarda la meccanica della macchina invece il progresso ha spinto a diminuire i tempi di lavoro con l’aumento delle velocità del mandrino e degli assi che muovono la macchina.
Il lavoro dell’operatore ormai si limita a mettere il pezzo all’interno della macchina, fare qualche operazione di centraggio e premere il tasto “start”. Chiaramente ogni operatore è in grado di far partire più macchine, semplicemente ripetendo quelle operazioni sopra descritte.
Mentre la macchina lavora, dall’ufficio o addirittura dall’esterno della fabbrica, si costruisce il nuovo programma, e la scissione fra scienza e manualità di un lavoro semplice viene spinta avanti.
Più la tecnologia avanza e più il lavoro diventa ripetitivo e semplice. Si abbassa chiaramente la richiesta di operai specializzati e di conseguenza si abbassa il salario.
L’industria 4.0 ha portato ad automatizzare sempre più le operazioni, tanto che gli addetti vengono formati velocemente, senza cognizioni particolari, non è più necessaria l’esperienza che gli operai avevano acquisito negli anni passati.
Oggi anche sulle macchine utensili più complesse l’operatore non ha più la necessità di avere chissà quale preparazione.
Questo dovrebbe far riflettere sui corsi di aggiornamento o riqualificazione che sindacati e politici ogni tanto mettono al centro dei loro discorsi. Si dovrebbe chiamare aggiornamento e riqualificazione al ribasso.
Un paradosso che spiega ancor di più la reale necessità delle innovazioni tecnologiche nelle società capitalistiche.
La macchina che doveva liberare gli operai dal lavoro, li ha resi solo più schiavi. Nel 1848 Marx scriveva “Con l’estendersi dell’uso delle macchine, e per effetto della divisione del lavoro, l’attività dell’operaio ha perduto ogni carattere d’indipendenza, e per ciò stesso ogni attrattiva. L’operaio diventa un semplice accessorio della macchina, al quale si chiede solo la più semplice e monotona operazione, che del resto si apprende in assai breve tempo”.
Se le innovazioni tecnologiche vengono gestite dal capitale, la qualità della vita di un operaio sarà spinta sempre verso un grado di civiltà più basso.
S.D.
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