La fine della Pernigotti

A casa con un accordo sindacale. Non ci sono strumenti legali per costringere il padrone tenere aperta la fabbrica, che scoperta ! Forse la lotta dura qualche spiraglio poteva aprirlo, ma si è scelta la strada delle buone maniere. Ministero del lavoro, 5 febbraio 2019, CGIL CISL e UIL hanno firmato la cassa integrazione per cessazione di attività alla Pernigotti di Novi Ligure, proprietà del gruppo turco Toksoz , la fabbrica dal 6 febbraio chiude definitivamente i battenti. “La CIGS, ai sensi dell’art. 44 del Decreto legge 109/2018, riguarderà un numero massimo di 92 lavoratori occupati nello stabilimento di […]
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A casa con un accordo sindacale. Non ci sono strumenti legali per costringere il padrone tenere aperta la fabbrica, che scoperta ! Forse la lotta dura qualche spiraglio poteva aprirlo, ma si è scelta la strada delle buone maniere.

Ministero del lavoro, 5 febbraio 2019, CGIL CISL e UIL hanno firmato la cassa integrazione per cessazione di attività alla Pernigotti di Novi Ligure, proprietà del gruppo turco Toksoz , la fabbrica dal 6 febbraio chiude definitivamente i battenti.

La CIGS, ai sensi dell’art. 44 del Decreto legge 109/2018, riguarderà un numero massimo di 92 lavoratori occupati nello stabilimento di Novi Ligure. Il trattamento sarà richiesto dal 6 febbraio 2019 e avrà la durata di dodici mesi.” questo il testo dell’accordo sottoscritto da Cgil Cisl e Uil. Gli oltre 200 operai, metà a contratto a tempo indeterminato e metà interinali, se ne vanno a casa con la coda tra le gambe dopo la buriana di inconcludenti parole, promesse e menzogne somministrate a turno da governo, politici, vescovi e sindacati.

Angelo Paolella della Cgil nazionale così commenta la firma dell’accordo: “Oggi firmiamo per dare un sostegno al reddito ai lavoratori, ma ribadiamo la necessità di un incontro al Mise per dare un futuro lavoratori e al tessuto produttivo del territorio, legato indissolubilmente ad un marchio storico come Pernigotti”. Sempre Paolella: “Ci aspettiamo che il governo intervenga concretamente in questa direzione. Oggi abbiamo scritto una pagina triste per lo stabilimento Pernigotti, ma vigileremo affinché gli impegni sulla reindustrializzazione si possano concretizzare, valutando anche un fitto d’azienda per velocizzare la ripresa produttiva del sito”. Le solite menzogne del sindacato che al posto di costruire e appoggiare una pratica di lotta concreta che avrebbe potuto cambiare le cose, assume sempre di più il ruolo di pacificatore delle lotte. Queste frasi di circostanza, che hanno accompagnato la chiusura di intere fabbriche, a margine degli accordi sottoscritti, non si contano più. Quanti sono gli operai che hanno dovuto sentire e subire questi ritornelli? Migliaia! Quante le fabbriche chiuse che hanno gettato sul lastrico gli operai facendogli perdere il salario? Centinaia!

Parte della responsabilità, di aver dato credito alle frottole sindacali, è degli operai della Pernigotti che hanno da subito rinunciato ad impostare una lotta determinata e questa rinuncia gli è costata cara. Abdicare alla difesa dei propri interessi, della difesa del proprio salario e del proprio posto di lavoro per sposare le speculazioni della piccola borghesia commerciale di Novi Ligure, abbracciando le loro scemenze sul valore dello storico marchio legato al territorio, suggerite da chi ha solo l’interesse di non perdere i loro lauti guadagni è stata una follia. Appassionarsi alle stupide panzane di una fantomatica legge proposta del sindaco di Novi Ligure Rocchino Muliere è stata un altrettanto stupidità. Il risultato è che nessuno di questi cialtroni con le loro chiacchiere è mai riuscito a fermare il padrone dai suoi intendimenti. La fabbrica è chiusa il padrone porterà via comodamente e senza nessun intralcio il macchinario perché il sindacato ha firmato anche un accordo che libera i cancelli della fabbrica dal presidio degli operai. Rilevante la dichiarazione fatta dal segretario della Uil Tiziano Crocco: “per avere la cassa integrazione abbiamo dovuto firmare un documento che ci obbliga a liberare l’entrata e l’uscita della fabbrica. Quindi lasciamo campo libero alla proprietà per fare quello che gli pare, anche portare via i macchinari”. Gli operai rimangono cornuti e mazziati, per un anno prenderanno la miseria della cassa integrazione e poi saranno vuoti a perdere, disoccupati cronici senza nessun reddito.

Probabilmente, se avessero contato solo sulle loro forze senza farsi illudere da tutte le questioni ideologiche legate alla salvaguardia del “prodotto italiano”, se avessero incominciato ad occupare la fabbrica continuando a lavorare senza il padrone e senza i vertici aziendali, per tentare di dare una continuità produttiva alla fabbrica, forse questo avrebbe obbligato il governo e la Toksoz ad agitarsi per trovare un nuovo acquirente. Forse, una lotta impostata in questo modo avrebbe potuto mettere alle corde il padrone obbligandolo a trovare un’altra soluzione.

Micidiale l’estemporanea dichiarazione del Ministro del Lavoro Di Maio fatta al termine della vicenda della Pernigotti. Ha scritto Di Maio su Facebook: «Su Pernigotti si sta speculando sulla pelle dei lavoratori, basta! Se non ci fosse stato questo governo migliaia di lavoratori oggi sarebbero già stati licenziati, non avrebbero alcun ammortizzatore e avremmo già aziende completamente chiuse e delocalizzate senza speranza alcuna». Alla vergogna non c’è mai limite, in quest’ultimo anno le fabbriche che hanno chiusi i battenti sono state quasi 40 al giorno, un vero record. L’unica realtà per le migliaia di operai licenziati è stato finire in mezzo ad una strada con un reddito di pochi euro che finirà presto. Questa è la “vittoria” per gli operai della Pernigotti e di tutte le fabbriche che stanno chiudendo.

D.C.

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