I pastori sardi dall’accordo truffa alle denunce di questi giorni. La Magistratura interviene per punire chi si era ribellato allo strapotere economico degli industriali del settore.
Per coloro che negano l’attualità della lotta di classe e l’hanno derubricata a polveroso e scomodo ricordo del secolo scorso, basta la lotta dei pastori sardi, considerata in tutti i suoi aspetti, a smentirli. Per carità, questa lotta è stata portata avanti da allevatori per la maggior parte poveri, che cioè fanno un lavoro duro e faticoso senza ricorrere a operai salariati e vivono del misero reddito ricavato dal loro allevamento. Non è stata una lotta di operai delle fabbriche o braccianti dei campi, già inquadrati e organizzati dal lavoro nei reparti industriali o nelle squadre agricole. Eppure, malgrado alcune contraddizioni legate alla natura economica e sociale dei pastori, la loro è stata una rivolta spontanea di classe contro lo strapotere economico degli industriali e dei distributori che si appropriano di gran parte del valore economico del prodotto del loro lavoro.
Come sarebbe andata a finire la lotta dei pastori sardi era chiaro già a febbraio, poco dopo i suoi esordi. Essi non avevano accettato il piano fasullo deciso da governo e industriali e distributori, che prevedeva 72 centesimi al litro di latte, e avevano formulato la proposta di 80 centesimi subito e 1 euro entro quattro mesi, scegliendo così la lotta dura, sostenuta con presidi, blocchi stradali e sversamenti di latte. Industriali e distributori, dal canto loro, non si erano presentati al tavolo di filiera indetto al ministero dell’Agricoltura, non avevano alcuna intenzione di cedere sul prezzo e avevano deciso di vedersela da soli, lasciando al governo la funzione della repressione.
Erano state invece le forze politiche, Lega e M5S in primo luogo, a cercare di stemperare i toni e procrastinare l’eventuale repressione. Se tutto si fosse risolto al tavolo della trattativa e i pastori si fossero ritirati con la coda fra le gambe, tanto meglio, i padroni preferiscono sempre vincere senza colpo ferire. Ma soprattutto c’erano di mezzo le elezioni regionali del 24 febbraio, i riflettori nazionali erano puntati sulla Sardegna, l’esposizione mediatica troppo forte. Non si poteva chiedere il voto e reprimere i pastori, visto il largo appoggio popolare alla loro lotta, meglio pazientare e aspettare.
Comunque l’apparato repressivo della macchina statale era vigile e in maniera strisciante pesava sulla lotta dei pastori. Già prima della proposta di accordo al tavolo governativo le Procure avevano cominciato a fare pressione sui pastori ipotizzando diversi reati (violenza privata, minacce, danneggiamenti e denunce per blocchi stradali) e quindi strascichi giudiziari anche in caso di accordo. Come riportava un solerte comunicato Ansa del 18 febbraio “sui tavoli delle Procure di Cagliari, Nuoro e Sassari sono finite le informative delle forze dell’ordine, carabinieri, polizia, stradale, relative a quanto accaduto durante le manifestazioni di questi giorni con blocchi sulle strade, assalti alle autocisterne e sversamenti di latte. I riflettori sono puntati sugli episodi più violenti, quelli in cui gli autotrasportatori sono stati costretti a fermarsi, a volte da persone anche incappucciate, e obbligati a buttare migliaia di litri di prodotto destinato ai caseifici”. Numerose sono state le segnalazioni inviate alle Procure: a volte le denunce venivano presentate da autotrasportatori o titolari dei caseifici, in altre occasioni sono state le forze dell’ordine a muoversi autonomamente dopo gli interventi sul posto e l’identificazione dei responsabili. Nello stesso tempo rappresentanti nazionali delle industrie, dei caseifici privati e delle cooperative di trasformazione reclamavano a gran voce l’intervento della forza pubblica per impedire gli assalti alle autocisterne di raccolta del latte organizzati dai pastori.
Così, non appena i pastori hanno rifiutato l’accordo e ripreso la protesta per imporre con la forza della lotta i propri interessi, sono state formalizzate oltre 10 denunce dalla polizia di Nuoro a carico di allevatori che avrebbero organizzato blocchi stradali, in alcuni casi a volto coperto, e costretto gli autotrasportatori a gettare tutto il latte contenuto nelle autocisterne.
Ora, quando la lotta dei pastori si è conclusa da due mesi con una sconfitta sancita da un ingannevole accordo fondato sul prezzo di 74 centesimi al litro di latte e tante vuote promesse (contro 1 €/litro subito, chiesto dai pastori), ora i padroni sono passati al contrattacco per schiacciare col tallone dell’apparato repressivo del proprio Stato (forze dell’ordine e magistratura) chi ha osato sfidarli: non solo i pastori, ma anche chi ha appoggiato la loro lotta.
Come informa l’Associazione Libertade, “diversi pastori, partecipanti alle manifestazioni di febbraio, sono stati raggiunti dai primi provvedimenti della questura e della prefettura. A due mesi dalle ultime proteste nelle strade della Sardegna, ad alcuni pastori, ma anche ad altri comuni cittadini che si sono uniti alla loro lotta, sono state applicate misure di prevenzione personale (avviso orale) e cautelare (divieto di detenere armi) che lasciano presagire interventi anche di natura giurisdizionale. Libertade nel perseguimento dei suoi scopi si è già attivata per dare sostegno concreto ai pastori colpiti e alle loro famiglie. Il carattere fortemente repressivo delle misure applicate rappresenta la dura risposta dello Stato italiano nei confronti dei lavoratori delle campagne ai quali è necessario, oggi più che mai, prestare attivamente solidarietà e sostegno nella loro lotta”.
Per noi operai e sostenitori degli operai, la lotta dei pastori ora deve continuare spostandosi su un altro livello: la capacità di unirsi per trasformare le accuse e le denunce ricevute in accusa e denuncia collettiva dello Stato come strumento al servizio delle classi che, per i loro interessi, non esitano a mandare in rovina e a mettere alla fame coloro sul cui lavoro esse si arricchiscono, in questo caso, appunto, i pastori sardi poveri.
L.R.
Comments Closed