I 5 stelle fanno riferimento alle leggi esistenti in Europa, iniziamo a confrontare la proposta di legge dei 5 stelle con quella operativa in Germania.
Salario minimo per legge a 9 euro lordi all’ora per i tutti i lavoratori. Questa la proposta dei 5stelle(ci sono anche le proposte del PD, di LEU e FDI). Il salario minimo, presente in quasi tutti gli altri paesi europei, lo si vuole introdurre anche in Italia per contrastare, dicono, il fenomeno dei cosiddetti “working poor”, i lavoratori precari, senza garanzie sindacali, senza contratto, sottooccupati e sottopagati che, nonostante lavorino, restano inchiodati a condizioni di povertà (statisticamente vengono considerati tali quelli che ricevono meno dei due terzi del salario mediano). Lo faranno? Come lo faranno? Funzionerà allo scopo? Al momento solo promesse e, visto il risultato alle elezioni europee per il M5 stelle, difficile prevedere come andrà a finire. Nell’attesa, guardiamo come funziona realmente il salario minimo dove già esiste e partiamo dalla Germania, spesso portata ad esempio da Di Maio.
Il salario minimo in Germania è stata una rivendicazione dei sindacati a partire già dalla metà degli anni 2000 come argine alla precarizzazione e all’incapacità degli stessi di garantire contratti e garanzie sindacali ad una sempre maggior fetta di lavoratori colpiti dai processi di ristrutturazione ed esternalizzazione, dalle riforme del mercato del lavoro e dello stato sociale introdotte dai governi socialdemocratici a partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso. Naturalmente al salario minimo si sono sempre opposti gli industriali che considerano l’istituzione di un salario minimo una interferenza dello Stato nella determinazione dei salari definita dalla contrattazione collettiva e gli economisti ed i partiti liberali che invece lo vedevano controproducente per gli effetti negativi che avrebbe avuto sull’occupazione rendendo troppo onerosa l’assunzione proprio di quei lavoratori svantaggiati che si volevano tutelare. Tuttavia la Germania si è ritrovata negli anni ad avere una delle più alte percentuali di lavoratori poveri in Europa soprattutto nei Land orientali e in quei settori dove dilagano le nuove forme di lavoro a chiamata e, in Germania famosi, mini-job, noi diremmo lavoretti, introdotti dalle riforme del mercato del lavoro. Alla fine la stessa socialdemocrazia si è fatta promotrice della legge ponendo il salario minimo come condizione necessaria per la sottoscrizione del “contratto di governo” con la Merkel nel 2013.
La legge che istituisce il salario minimo viene approvata dal parlamento tedesco nel luglio del 2014 ed il salario minimo è diventato effettivo a partire dal 1° gennaio 2015. Il salario minimo era stato fissato a 8,50 euro/ora per poi essere aggiornato nel 2017 a 8,84 euro e dal 1° gennaio 2019 a 9,19 euro/ora.
Il salario minimo si applica a tutti i lavoratori dipendenti e stagisti eccetto che per gli studenti, gli apprendisti, alcuni tipi di stagisti legati alla scuola o di breve durata, ai percorsi di formazione professionale e per i disoccupati di lungo periodo nei primi sei mesi dopo l’assunzione. Inoltre, per un periodo transitorio, alcuni settori (lavorazione della carne, parrucchieri, agricoltura, interinali, tessili e abbigliamento, lavanderie industriali, consegne di giornali) hanno potuto continuare ad applicare i minimi salariali dei contratti collettivi che erano inferiori a quello minimo di legge con un processo di allineamento nel tempo. Il livello del salario minimo viene periodicamente (ogni due anni) aggiornato da una commissione permanente nominata ogni 5 anni dal governo e composta da rappresentati dei datori di lavoro e dei lavoratori con diritto di voto e da alcuni membri consultivi senza diritto di voto. La legge prevede naturalmente controlli, verifiche e pesanti sanzioni per i datori di lavoro che dovessero trasgredire.
Cosa è successo in Germania dopo l’introduzione della legge sul salario minimo. Al momento dell’entrata in vigore della legge, nel 2014, si stimava che almeno tra i 4 e i 5 milioni di lavoratori avevano paghe orarie inferiori al minimo previsto (15-16 % degli occupati). Questo è il dato complessivo. Disaggregando i dati si evidenziava come ben altre percentuali si trovavano nei Land orientali (ex Germania Est), tra il 20 ed il 30%. Per età invece le classi con meno di 25 anni o con più di 66 anni mostravano percentuali oltre il 40% di lavoratori sotto il salario minimo, per le donne la percentuale era doppia rispetto agli uomini. Mentre invece, rispetto alla tipologia di impiego, i salari orari sotto il minimo toccavano punte del 60% tra i part-time marginali, quelli che lavorano poche ore a settimana o cumulano tanti piccoli lavori, i cosiddetti mini-jobber. Relativamente marginale è il fenomeno nei lavoratori a tempo pieno. Alta è invece la percentuale tra i lavoratori senza formazione specifica e tra quelli a tempo determinato rispetto al tempo indeterminato, nelle piccole aziende rispetto a quelle grandi, nei settori del commercio, della distribuzione, della logistica, dei servizi turistici e ristorativi, dell’agricoltura, rispetto a industria, costruzioni, scuola e pubblica amministrazione, nei settori non coperti dalla contrattazione sindacale rispetto a quelli che lo sono dove i minimi salariali sono superiori al minimo stabilito per legge.
Il salario minimo in Germania è stato fissato ad un livello molto basso e prossimo alla soglia di povertà, come definita sopra, pur in presenza di un lavoratore a tempo pieno. La sua introduzione ha sicuramente portato dal 2015 ad uno spostamento verso l’alto dei salari molto inferiori al minimo, in particolare di quelli che nel 2014 erano dichiarati inferiori ai 7,45 all’ora ed un’impennata di quelli dichiarati pari al salario minimo. Molto minori invece gli effetti sui salari superiori tenuto conto che, tranne quelli già inclusi nella legge sul salario minimo, non ci sono altri contratti collettivi con minimi sotto il minimo fissato dalla legge.
I fautori della legge hanno parlato di successo ed efficacia del salario minimo nel garantire condizioni dignitose anche alle fasce più deboli dei lavoratori, e che l’obiettivo era stato raggiunto tra l’altro senza effetti sull’occupazione, a differenza di quanto previsto dagli economisti contrari alla misura che avevano paventato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. A questo riguardo bisogna però tener conto che negli ultimi anni in Germania il tasso di disoccupazione è stato tra i più bassi in Europa e che il salario minimo, così come è strutturato, non ha sostanzialmente toccato i settori più importanti dell’economia tedesca.
Tuttavia pur avendo fissato un limite legale alla paga oraria altri vincoli non sono stati posti alle condizioni di lavoro ed allora negli anni le indagini e le analisi della misura hanno portato in evidenza come i padroni hanno recuperato il maggior costo imposto dal salario minimo scaricandolo sui lavoratori, per esempio, utilizzando contratti diversi, facendo lavorare i lavoratori meno ore di prima, ovvero facendo fare più ore di quelle dichiarate, non pagando le pause, o non riconoscendo dei trattamenti economici prima riconosciuti, o intensificando il lavoro. Di fronte a tutto questo i sindacati tedeschi si limitano a chiedere a gran voce che lo stato aumenti i controlli e faccia rispettare le sue leggi.
In conclusione, in Germania, uno dei paesi capitalisti più ricchi al mondo, il salario minimo legale è stato fissato ad un livello così in basso da lasciare il lavoratore in quella che loro stessi definiscono condizioni di povertà e nonostante questo comunque i padroni hanno trovato mille modi per aggirare l’applicazione della legge per poter continuare a garantirsi le condizioni a loro più favorevoli.
P.S.
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