Sullo sfondo una crisi economica non superata, in primo piano una guerra economica fra governi per proteggere gli interessi dei capitalisti di ogni nazione, al posto della mitica globalizzazione senza confini la protezione dei mercati interni.
La guerra commerciale tra Cina e Usa, iniziata da Trump nel marzo 2018, pare giunta a una tregua. Un ulteriore incontro, ben il tredicesimo in 15 mesi, si è svolto settimana scorsa tra le delegazioni dei rispettivi paesi. I dettagli ancora non si conoscono, solo le sparate di Trump (ma sono ormai pochi, anche tra i suoi sostenitori, quelli che ci credono): «È uno dei più importanti accordi per gli Stati Uniti. … abbiamo davvero raggiunto un grande risultato che porta enormi benefici ai nostri agricoltori, alla tecnologia, all’industria bancaria e ai servizi finanziari». Quanto c’è di vero nell’ “importante accordo” probabilmente lo si vedrà da qui a metà novembre, quando dovrà venire ufficialmente firmato da Trump e Xi Jinping in Cile, a margine del vertice Apec (il vertice di cooperazione economica dei 21 Paesi dell’Asia-Pacifico).
Dalle parole usate da Trump traspare, tuttavia, cosa ha davvero spinto l’amministrazione Usa ad alleggerire il conflitto con la Cina: tacitare in parte i malumori dei produttori più colpiti dalle ripercussioni della guerra commerciale. Soprattutto quei settori legati al capitale agricolo che lamentavano una caduta delle vendite in Cina per i controdazi messi da Pechino. Ma forti sono state anche le pressioni delle multinazionali nel settore della tecnologia informatica (come la Apple) che, con le fabbriche in Cina, si sarebbero viste applicare i dazi di questa nuova tornata minacciata per il 15 dicembre, proprio su 160 miliardi delle loro merci in pieno periodo natalizio. Il terzo settore menzionato da Trump è quello finanziario, che sta incontrando serie difficoltà negli Usa (ma anche in Cina) e ultimamente ha costretto la Fed a tornare ad una politica monetaria espansiva. La Cina ha promesso che dal 2020, in tre successive tappe, sarà permesso alle società finanziarie straniere di operare con il 100% del capitale sul mercato del credito cinese, oggi possono solo collaborare con aziende cinesi e detenere al massimo il 51% del capitale. Il mercato del credito cinese, stimato in 40 mila miliardi di dollari, fa gola ai colossi finanziari americani come JPMorgan Chase, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Ubs e Nomura.
La delegazione cinese è stata come al solito più parca di dichiarazioni, in fin dei conti ha ottenuto che non si aggiungessero ulteriori dazi, quelli minacciati per il 15 ottobre e il 15 dicembre, ma non che fossero tolti quelli già in vigore. I suoi colossi informatici e delle telecomunicazioni, Huawei e Zte in particolare, leader negli apparati delle reti digitali, sono stati esclusi dal mercato americano. Chi sta per comprare tablet e cellulari Huawei si domanda se avranno le funzionalità del sistema Android di Google come gli altri. La figlia del fondatore di Huawei è agli arresti domiciliari e pende sulla sua testa la richiesta di estradizione negli Usa. Di tanto la guerra commerciale si è spinta avanti, e ora non ha certo messo la retromarcia. Un Trump, sotto impeachment, non può che dirsi felice della tregua commerciale per tornaconto elettorale, vuole presentare all’opinione pubblica e ai settori economici in difficoltà qualche risultato di una guerra che, come tutte le guerre, alla fine lascia solo macerie da ambo le parti. Ed infatti sia negli Stati Uniti che in Cina la produzione manifatturiera è di nuovo in discesa, e i corvi della crisi volteggiano continuamente sui rispettivi corpi moribondi.
Tuttavia, a ben vedere, i rapporti tra le due potenze economiche si sono talmente deteriorati in questi circa due anni di dazi che la tregua della settimana scorsa non può che essere un pannicello caldo. Tra l’altro alle azioni economiche si sono accompagnati veri e propri sgarbi diplomatici che possiamo immaginare quali profonde ferite abbiano lasciato nella delegazione trattante cinese, rappresentante una borghesia convinta delle proprie maggior capacità economiche.
Noi ripeteremo fino alla noia che la guerra commerciale nella crisi porta pericolosamente alla possibilità di uno scontro armato, ripetiamo oggi che l’appoggio in ogni nazione, dei piccoli e grandi padroni alla guerra dei dazi contro altri paesi è l’inizio di un sostegno ad ogni avventura militare che la guerra commerciale di oggi prepara. Seguire lo sviluppo della situazione mondiale dei commerci può fornirci gli strumenti critici affinché la malattia nazionalista dei padroni non coinvolga anche gli operai e gli strati poveri della società, sarebbero questi ultimi, come è ormai provato dalla storia, a doversi massacrare fra loro per rendere sempre più ricchi i propri “datori di lavoro”.
R.P.
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