Dopo 40 giorni di sciopero gli operai valutano i risultati, quasi il 50% vota NO. Il malcontento nei confronti degli azionisti di GM e dei capi sindacali della UAW si manifesta forte. La necessità di un nuovo sindacalismo operaio è nei fatti.
Nel centro tecnico di Warren, nel Michigan, in cui per la maggior parte ci sono i “lavoratori” ingegneri, l’85% è stato a favore dell’accordo. Mentre nell’enorme complesso di assemblaggio in Spring Hill, nel Tennessee, l’accordo è stato bocciato con 51% di NO e 49% di SI. Qui i “lavoratori” tecnici e specializzati (skilled trades) che hanno votato a favore (55% SI e 45% NO) non hanno potuto imporre la loro volontà agli operai di catena addetti alla produzione che l’accordo l’hanno bocciato. Come sia stato ottenuto il risultato favorevole al contratto quadriennale firmato tra Uaw (il “potente” sindacato dei metalmeccanici dell’automobile americano) e GM (General Motors , il più grande produttore americano di autoveicoli), probabilmente, sta racchiuso e sintetizzato nei due dati sopra riportati .
Alla fine il più lungo sciopero degli ultimi 50 anni, quasi 6 settimane, 40 giorni, persino la morte di un operaio investito a un picchetto, si è chiuso con i dati forniti ufficialmente dal sindacato Uaw: 23.389 favorevoli e 17.501 contrari, che fanno il 57,2% di SI e il 42,8% di NO di quelli che sono andati a votare. A ben guardare i numeri, in realtà, ad approvare il contratto sono stati però meno della metà di tutti i dipendenti, circa il 48%. Infatti se si sommano i NO e quelli che non hanno votato (ben 8.000, circa la metà di quelli che hanno invece convintamente bocciato l’accordo) si ha il 52,3% dei circa 49.000 tra operai di catena, operai specializzati, impiegati e tecnici della General Motors.
In ogni caso gli operai più determinati, che erano pronti a continuare ancora con lo sciopero, pur dovendo sopravvivere con i 275 dollari a settimana della cassa per gli scioperi, alla fine non ce l’hanno fatta a contrastare la propaganda dei funzionari sindacali. Forse stavano osando troppo: avrebbero messo in discussione non solo quanto GM e i suoi azionisti sono pronti a concedere oggi ai propri schiavi per garantirsi i profitti, ma avrebbero anche sconfessato definitivamente lo stesso sindacato Uaw. E per arrivare a vincere una guerra di questa portata occorre essere organizzati in maniera indipendente, per affermare i propri interessi come operai, diversi da quelli borghesi dei vertici sindacali.
Ora, tuttavia, il sindacato Uaw, già al centro di scandali per corruzione, viene dagli operai accusato di commistione di interessi con la stessa GM, il suo ruolo di azionista GM individuato tra le cause della svendita della piattaforma. Ed è una consapevolezza che fa impressione sentirla emergere dalle dichiarazioni degli operai GM che hanno partecipato a questo lungo sciopero. Anche perché ora la “passano” agli operai Ford e di FCA che a breve inizieranno la loro stagione contrattuale, e più o meno troveranno le stesse questioni e un sindacato che le affronteranno con i padroni nello stesso modo.
Nel merito dell’accordo con i padroni-manager della General Motors, i vertici sindacali della Uaw non hanno potuto – secondo il loro punto di vista – che fissare per i prossimi 4 anni il nuovo livello di utilizzo degli operai GM. Sta tutta qua la ragione borghese della loro firma in calce alle ben 500 pagine del nuovo contratto. E le giuste critiche degli operai che si sono visti traditi nella difesa dei loro interessi e nelle motivazioni che hanno portato al lungo sciopero:
1) Delle 4 fabbriche per cui GM ha indicato la chiusura, l’accordo ne salva una sola, quella di Hamtramck a Detroit, che verrà riconvertita alla produzione per le future automobili elettriche. Ma per le altre 3 fabbriche, una linea di assemblaggio in Lordstown, Ohio, e i due impianti di trasmissioni a Warren, Michigan, e a Baltimore, il sindacato ha accettato la chiusura. Trattando, con un copione visto mille volte, sugli incentivi al licenziamento o la generica ricollocazione degli operai in altre fabbriche del gruppo. Per molti di questi operai si tratta già del secondo trasferimento, spesso a centinaia di chilometri. Naturalmente in queste fabbriche il contratto è stato bocciato con ampi margini, ad esempio a Lordstown i “NO” sono stati 412, contro solo 60 “SI”.
2) L’impalcatura che negli anni ha portato ad avere differenti condizioni salariali e normativi ad operai che svolgono lo stesso lavoro, a seconda se sono nuovi assunti, temporanei o “veterani”, con il nuovo contratto rimane in piedi. Nell’ultimo decennio, proprio quella perdita di potere di acquisto per i nuovi operai assunti, ha permesso agli azionisti di continuare nella crisi a fare profitti. Una situazione molto contestata dagli operai che aveva dato una forte spinta allo sciopero e aveva unito gli operai. In questi 40 giorni di lotta spesso nelle dichiarazioni degli operai ai picchetti veniva ribadito che mentre loro in questo decennio avevano fatto la fame, costretti a paghe orarie molto basse, ridotta o nulla assicurazione sanitaria e previdenziale, GM aveva invece fatto costantemente profitti. Questo contratto veniva visto come quello che avrebbe dovuto sistemare le cose. Invece, i contrari all’accordo denunciano che ora da due differenze tra gli operai se ne avranno tre: gli operai assunti prima del 2015, quelli assunti dopo il 2015, cui viene prospettato un lento percorso per passare da temporanei a permanenti con relativo adeguamento salariale, e infine una nuova generazione di operai che entrano negli impianti ad ancora più basse condizioni.
3) Gli aumenti salariali previsti sono mediamente del 3%. Troppo pochi – dichiarano gli operai – persino inferiori all’aumento dei prezzi delle merci. La ciliegina di questi aumenti è però rappresentata dai bonus, alcuni forfettari legati alla firma del contratto e che finiscono in parte nelle casse del sindacato firmatario, ma soprattutto quelli legati ai profitti. Quei profitti che gli operai più arrabbiati per le loro misere condizioni rinfacciano a General Motors e alla loro distribuzione agli azionisti tra cui la stessa Uaw. Il premio prevede una cosiddetta formula di 1.000 dollari per ogni 1 miliardo di dollari di profitti generati nelle fabbriche del Nord America. Una enorme contraddizione tra gli interessi materiali degli operai che nella salvaguardia della propria forza-lavoro cercano di difendersi dallo sfruttamento, e quelli di GM, dei manager, dei tecnici, degli ingegneri e di tutte le categorie sociali, vertici sindacali compresi che ricavano reddito dall’aumento di quello stesso sfruttamento. Ai quali l’accettazione e la firma di contratti di questo genere, in grado di permettere a GM di fare proprio quei 1 miliardi di dollari di profitti della formula, sta a cuore più di ogni altra cosa.
R.P.
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