C’è un rapporto diretto fra lotte operaie e infortuni sul lavoro. Il crollo del numero di scioperi, la riduzione generale della conflittualità di questi anni ha avuto come contraltare una inarrestabile salita del numero di operai uccisi sul lavoro.
Caro
Operai Contro,
quanti morti sul lavoro ci vogliono perché uno
sciopero generale vero, di 24 ore, scuota padroni governanti e
benpensanti, che non fanno niente per fermare questa strage? Quante
parole al vento e frasi di circostanza dobbiamo ancora sentire, prima
che efficaci iniziative di lotta costringano lor signori, a misure
per un antinfortunistica degna di questo nome?
Il sindacato ha
impaludato l’arma dello sciopero, riducendone al lumicino il suo
uso. La conseguenza è stata un crollo della tensione sociale fra
sfruttati e sfruttatori. Le aziende ne hanno approfittato adottando
un antinfortunistica di facciata, “risparmiando” sulla
prevenzione e sull’antinfortunistica, mentre gli operai muoiono
come mosche, con la pace sociale che garantisce il massimo profitto
ai padroni.
L’Istat forse pensando di spacciare il malato (lo
sciopero), come già morto, ha smesso nel 2010 di rilevare le ore di
sciopero, con la seguente motivazione: “il
meccanismo della raccolta delle informazioni tramite le questure,
presenta dei limiti intrinsechi, superabili solo con una profonda
riorganizzazione, ecc.”
Riorganizzazione che però dopo 10 anni non si è ancora
concretizzata! Così la montagna ha partorito un topolino (morto).
Perché dai dati che l’Istat fornisce: “ore
lavorate per dipendente, al netto delle posizioni lavorative in cassa
integrazione”,
non è possibile ricavare le ore di sciopero.
A parte gli
sporadici scioperi simbolici a fine turno, l’inerzia del
sindacalismo confederale e del cosiddetto sindacalismo di base, ha
superato ogni limite. Non solo riguardo la mancanza delle misure di
sicurezza e le sue tragiche conseguenze, bensì siamo di fronte ad un
immobilismo generale, che viene da lontano e abbraccia tutta la
condizione operaia: dallo sfruttamento esasperato, ai salari bassi,
dai ritmi e carichi di lavoro, fino al faticoso riprodursi della
forza lavoro, mentre dal 2010 al 2018 i profitti sono aumentati del
100% (fonte: Sole 24 ore).
Non si sciopera più, a parte le
lotte di una parte della logistica, gli scioperi nei trasporti, e
poche ore ai rinnovi del contratti nazionali di lavoro. Salvo poi
ricorrere allo sciopero polverone, quando arrivano i licenziamenti,
le chiusure delle fabbriche, quando servirebbero scioperi e
solidarietà, proprio quelle armi che questo sindacalismo ha
cancellato dal suo Dna.
Il sindacato non chiama più a lottare
per costringere i padroni, a garantire sul lavoro l’incolumità
degli operai, i quali, con le adeguate misure di sicurezza, a fine
turno sarebbero un po’ meno stressati, e sicuramente diminuirebbero
anche gli incidenti mortali in itinere.
Passando da un “tavolo”
all’altro, senza che sia la mobilitazione operaia ad imporli, i
padroni non sentono più il fiato sul collo delle lotte, e da troppo
tempo abbozzano l’antinfortunistica un tanto al chilo. Meno
scioperi più morti sul lavoro!
Percorrendo a ritroso il crollo
dei conflitti, (finché l’Istat li pubblicava), constatiamo da un
decennio all’altro, che nel 2009 le ore di sciopero sono state 2,6
milioni; nel 1999 6,3 milioni; nel 1989 21 milioni; nel 1979 164
milioni; nel 1969 302 milioni.
Con il calo della tensione
sociale, seguita al crollo degli scioperi, il sindacato non forma più
delegati pronti a intervenire su postazioni e mansioni pericolose, o
semplicemente in criticità anche solo presunta, ma indispensabile
per evitare infortuni o peggio morti sul lavoro. Questo sindacalismo
collaborazionista ha tolto ogni appoggio agli operai che
contestualmente alle mansioni da svolgere siano pronti ad intervenire
per salvaguardare la propria incolumità e quella dei loro compagni
di lavoro. Lo fanno lo stesso ma a loro spese, sotto i ricatti dei
padroni e nella mattanza quotidiana degli infortuni. Alla lunga il
calo della tensione sociale, inibisce anche le potenzialità di lotta
degli operai, assediati da “tavoli” a buon mercato e dibattiti
televisivi.
Ai tanti giovani operai che nella quotidiana lotta
sotterranea contro il padrone, covano la possibilità di una
ribellione collettiva e organizzata, ci sono tra gli esempi, gli
scioperi che gli operai della Fiat di Melfi hanno condotto nel 2004,
ricordati come “la lotta dei 21 giorni alla Fiat”. Altro fra gli
esempi da studiare, è la lotta della Innse di Milano del
2008/2009.
Ed ancora la Fiat. All’aumento dello sfruttamento
operaio che il padrone pretendeva con nuovi impianti, nel 1969 a
Mirafiori le ore di sciopero per addetto, furono 151 contro 1978 ore
lavorate. A Rivalta le ore di sciopero per addetto furono 100 contro
749 lavorate. Al Lingotto 31 ore di sciopero per addetto, contro 1992
lavorate. Il sindacato era alla coda di questi scioperi, furono
imposti dalla determinazione degli operai a lottare. L’immobilismo
del sindacato si supera, quando gli operai decidono di
lottare.
Saluti Oxervator
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