Plastiche Melfi, indotto FCA, ad agosto uno strano incendio metteva fuori uso un capannone. L’1 e il 2 Febbraio, fra sabato e domenica veniva svuotata la parte attiva della fabbrica e gli operai buttati fuori. I sindacalisti intervistati a caldo fanno pietà
Sono circa una trentina
le aziende dell’indotto a Melfi nelle quali lavorano gli operai che
producono e assemblano pezzi per l’ex Fiat, adesso FCA-SATA. Tante
aziende sono controllate direttamente dalla stessa FCA-SATA, le
altre, pur apparentemente autonome, non possono decidere quello che
vogliono senza il parere favorevole di Fiat, particolarmente su
eventuali decisioni che possano compromettere gli interessi di
FCA-SATA ed eventuali blocchi di produzione e di profitto. Nei primi
di febbraio nella zona industriale di Melfi, precisamente alla
Plastiche Melfi, il padrone, che aveva pianificato tutto da tempo, ha
deciso che nell’arco di poche ore dovevano sparire tutti i
macchinari, presse e materiali vari. Dopo aver fatto portare via
tutto, ha sbarrato i cancelli e ha fatto in modo che gli operai non
entrassero più in fabbrica. In questa fabbrica, una delle tante
fabbriche satellite dell’indotto che riforniva FCA-SATA e SEVEL di
Atessa, gli operai hanno lavorato per anni, fino alla fine di gennaio
2020. Producevano coppe per ruote, sportellini per carburante e altri
componenti in plastica. In passato la fabbrica, adesso di proprietà
della famiglia Affinito di Benevento, faceva capo al gruppo Zanini.
Il padrone Affinito, designato “cavaliere del lavoro” e
benvoluto da FCA, da un bel po’ ha preso in mano una decina di
stabilimenti creando il gruppo SAPA. La fabbrica in questione presso
la zona industriale di S. Nicola di Melfi nell’agosto del 2019,
quando tutti gli operai erano in ferie, ha subito uno strano
incendio. Non sappiamo se quell’incendio, che ha interessato solo una
parte dello stabilimento, abbia portato qualche risarcimento
assicurativo alla famiglia Affinito, ma è sicuro che chi ne ha
pagato le conseguenze maggiori sono stati gli operai che ad oggi
hanno perso il lavoro per il quale percepivano un salario che serviva
per sopravvivere e sono stati, sembra solo momentaneamente, sospesi.
Subito dopo il singolare incendio, il padrone, a fabbrica chiusa, ha
portato via una trentina di stampi, lasciando pochi stampi e
attrezzature con le quali gli operai dopo le ferie di agosto hanno
continuato a lavorare anche facendo straordinari per cercare di
produrre i pezzi necessari per non fermare la Fca-Sata e la Sevel di
Atessa come il padrone chiedeva. Questo avveniva nonostante
mancassero tutte le garanzie di sicurezza in un luogo compromesso
dalle fiamme dell’incendio. La speranza e l’auspicio degli operai era
che la parte dello stabilimento danneggiata dalle fiamme venisse
sistemata mentre si continuava a lavorare e si continuava a portare a
casa un salario. Invece il padrone, dopo essersi organizzato, fra la
giornata di sabato 1 febbraio e domenica 2 febbraio, nella notte
quando gli operai erano a riposo, ha fatto portare via gli stampi
rimasti e tutta l’attrezzatura, svuotando la fabbrica. La domenica,
in serata, i 37 operai a tempo indeterminato e gli altri operai
precari che lì lavoravano sono stati avvisati che dal giorno
successivo, cioè dal lunedì non si lavorava più e la fabbrica
rimaneva chiusa.
I sindacati, come se già sapessero tutto,
erano già pronti, così nella giornata di lunedì 3 febbraio, dopo
aver piazzato le proprie bandiere e aver fatto mettere gli operai in
posa e fatta la foto di rito, neanche dovessero festeggiare qualcosa,
hanno chiamato i giornalisti e si sono lasciati andare a
dichiarazioni di circostanza, che oltre ad apparire sterili, sono
servite esclusivamente a pubblicizzare le proprie parrocchie di
appartenenza, tenere buoni gli operai e controllarli. Infatti lo
stesso giorno in Confindustria hanno chiuso la trattativa spingendo
gli operai non alla lotta col blocco dell’intera area industriale e
il coinvolgimento degli altri operai dell’indotto e della stessa
FCA-SATA, ma alla richiesta della misera cassa integrazione.
Vale
la pena analizzare una alla volta le dichiarazioni di questi
sindacalisti, rilasciate il giorno dopo, martedì 4 febbraio, in una
intervista su Lucanet webtv al giornalista Vittorio Laviano.
Il
segretario della Uilm Lomio in una ostentata difesa di
facciata di fronte alla telecamera afferma: “Abbiamo
chiesto con forza alla proprietà di venire in Basilicata e di
ripristinare questa situazione di anomalia e di bruttezza che è
stata consumata e di mettere in chiaro il rilancio dello
stabilimento”. Per Lomio, segretario del primo sindacato
in Fca e in altre fabbriche dell’indotto, “ripristinare”, questo
è il verbo che usa, l’anomalia e la bruttezza consumata è sedersi a
un bel tavolo dove apporre la propria firma e fare andare a casa gli
operai ugualmente con la miseria della cassa integrazione, magari
poi, poter contrattare personalmente anche eventuali nuovi posti di
lavoro con il padrone come è stato fatto in altri luoghi.
La
rappresentante sindacale responsabile dell’indotto della Fiom,
Calamita, anche lei nella stessa intervista interviene e dice che
la questione Plastiche Melfi: “è il frutto di una
politica industriale che ormai non dà risultati, rispetto
all’occupazione e anche rispetto alle produzioni”. Noi
operai quando dice “ormai” non abbiamo capito quando
mai in passato la politica industriale ci ha dato risultati,
e di quali risultati parla, poiché siamo sempre stati sfruttati e in
cambio abbiamo avuto appena un salario per sopravvivere, se non siamo
stati licenziati e morti sul lavoro. Calamita poi continua:
“da tempo stiamo denunciando la riduzione dei costi, che
si produce in un peggioramento delle condizioni di lavoro, in una
precarietà totale, che si traduce in una perdita occupazionale“.
La riduzione dei costi di cosa? Noi operai non siamo un costo, noi
operai produciamo per il padrone e in cambio di quello che produciamo
ci viene data una piccolissima parte di quello che produciamo e con
quello sopravviviamo. Questo mentre i padroni, servi e parassiti
fanno la bella vita, di quale costi parla Calamita?!
Sempre
Calamita: “si produce in un peggioramento delle
condizioni di lavoro, in una precarietà totale, che si traduce in
una perdita occupazionale“. Ha fatto la scoperta
dell’acqua calda, ma perché non ha sostenuto chi faceva sciopero
contro il peggioramento delle condizioni di lavoro? Tanti operai
hanno abbandonato la Fiom per essere stati isolati, gli ultimi in
ordine di tempo sono stati quelli che hanno scioperato in FCA-Sata
contro i turni di domenica. Lei dove era? Lo sappiamo tutti che più
peggiorano le condizioni di noi operai, più migliorano quelle del
padrone e la precarietà è un modo per aumentare i profitti
sfruttando altri schiavi ancora più ricattabili, ma le lotte non si
fanno con la propaganda e schierandosi con la burocrazia sindacale
pur di tentare di far carriera, ma con le azioni e gli scioperi.
Infine Calamita mette da parte ogni dubbio quando dice:
“noi pensiamo di rimettere al centro il lavoro investendo
sulla qualità, sull’innovazione, sulla trasformazione del mercato
che deve guardare a nuovi modelli“. Ma rimettere al
centro il lavoro di chi? Al centro il lavoro di noi schiavi per
mantenere i padroni e una massa di parassiti? Parla di innovazione,
sulla trasformazione del mercato che deve guardare a nuovi modelli,
come se questo possa liberarci dalle catene dello sfruttamento, ma
cosa blatera quest’altra piccola funzionaria!? Non c’è niente da
fare, anche questa Giorgia Calamita se va avanti così potrà fare
benissimo parte del consiglio di amministrazione del padrone, sembra
in alcuni passaggi addirittura voglia sostituirlo.
Il
rappresentante della Fim, Ottomano, che nell’intervista con il
giornalista appare più chiaro, mette a fuoco quello che è successo
e dichiara “il comportamento del padrone è assurdo, ha
mancato di rispetto e ha offeso i lavoratori nonostante gli operai
hanno sempre lavorato, in qualsiasi condizioni, inoltre si stavano
trovando delle soluzioni affinché si continuasse a produrre ma il
padrone ha fatto come voleva“. Anche lui in realtà si
adegua e si evince che non ha nè la forza, nè la volontà di andare
oltre la denuncia, non dice che la questione Plastiche Melfi poteva
essere affrontata in modo collettivo, bloccando l’intera area
industriale e la stessa ex Fiat adesso FCA-SATA, facendo vincere così
gli operai buttati sul lastrico.
Il sindacalista del Fismic,
Capocasale dice: “portare via gli stampi non è stato un
gesto bello nei confronti dei lavoratori, del sindacato tutto, si
sarebbe auspicato un accordo per gestire una fase di questo tipo,
dove la necessità primaria di questa storia è fare i lavori,
chiudere quella brutta storia dell’incendio ma poi riportare tutto
come era prima e fare ripartire lo stabilimento” Anche il
Capocasale voleva firmare tutto quello che il padrone ha fatto,
voleva solo essere coinvolto. Lui poi con le chiusure è pratico, ha
gestito la chiusura della Stampi 4, dove lavorava, in verità faceva
faticare gli operai, fino a quando il padrone ha deciso di chiudere e
licenziare tutti. Gli operai che adesso lavorano in altre fabbriche
lo ricordano bene è un altro contrattatore al ribasso della pelle
degli operai.
Ancora una volta, come in tanti altri posti, il
padrone ha fatto quello che voleva, ha portato via tutto quando ha
voluto, senza problemi, ha dichiarato che la fabbrica resterà chiusa
per un determinato periodo per lavori. Gli operai, in cambio di
promesse, sono stati portati ad accettare la miseria della cassa
integrazione, tra mille chiacchiere dei sindacalisti, che si
nascondono dietro il solito “nuovo” accordo siglato con
l’azienda.
Crocco,
operaio di Melfi
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