Se ripetiamo ancora la scena di Bentivogli al Ministero. Se gli occupiamo la fabbrica così non possono disporne a piacimento. Se mettiamo da parte i sindacalisti firmaioli e siamo noi a gestire direttamente ogni trattativa, qualcosa può cambiare, il destino non è ancora scritto
Che la Whirlpool abbia deciso di chiudere il sito di Napoli non è una notizia.
Luigi La Morgia, amministratore delegato di Whirlpool Italia, durante l’incontro al Mise del 29 gennaio aveva già dichiarato – anche in quell’occasione si trattava di un’ennesima conferma – “che non c’è più sostenibilità economica per la produzione di lavatrici a Napoli”. E’ stato utile prendere tempo per azienda, sindacati e governo, utile la tregua e i mesi di stallo dovuti all’epidemia da Covid. La rabbia degli operai era esplosa proprio durante l’ultimo presidio al ministero “in modo preoccupante”, quando il sindacalista della Fim Bentivogli fu duramente contestato e riuscì a mettersi in salvo solo per l’intervento (repressivo) della polizia.
Se ripercorriamo fin dall’inizio la vertenza Whirlpool, sembra di trovarsi di fronte a un manuale dei processi di gestione delle crisi aziendali, un’antologia che gli operai dovrebbero studiare per capire quali sono i passaggi e le tappe che ormai scandiscono in modo canonico una vertenza che deve concludersi con esuberi e licenziamenti.
Nel 2015 dopo due anni di trattative si raggiunge un accordo quadro con Whirlpool, che nel frattempo aveva assorbito la concorrente Indesit, per un nuovo piano industriale e il ritiro dei licenziamenti fino al 2018. Come contropartita la multinazionale statunitense riceve incentivi statali e ammortizzatori sociali. Nel 2018 si ridiscute tutto, i licenziamenti e le delocalizzazioni sono di nuovo all’ordine del giorno, altro governo altro accordo: l’azienda fa rientrare gli esuberi, annuncia nuove missioni produttive fino al 2021, riceve ancora incentivi e ammortizzatori sociali.
Si apre quindi il focus su Napoli. Per l’azienda il sito deve chiudere, “fa perdere 20 milioni di euro all’anno”. Inizia il tran tran delle trattative, si alternano i tavoli al ministero, i sindacati dopo 4 anni di annunci non possono perderci la faccia: si alza il livello di mediaticità della vertenza, viene istituito un presidio permanente agli ingressi dello stabilimento di Napoli, sotto il controllo dei sindacati, gli operai vengono portati a giro per Napoli e Roma, davanti al palazzo della Regione, davanti al palazzo del Sindaco, davanti al palazzo della Prefettura, nelle stanze del cardinale. Di tanto in tanto piccoli gruppi di operai, stufi del teatrino e di fare comparsate, sfuggono al controllo dei capi sindacali e innescano proteste autonome, prontamente sedate dalla polizia che sa quando le manifestazioni operaie sono preconfezionate e innocue, perchè gestite da chi garantisce l’ordine sociale, e quando rischiano di trasformarsi in qualcos’altro. A ottobre del 2019 Whirlpool annuncia il ritiro della procedura di cessione del sito di Napoli, che resta tuttavia “insostenibile” come riportato in una nota ufficiale dell’azienda. I sindacati si riuniscono a Piazza del Gesù a Napoli per celebrare la loro vittoria. Un’altra tappa per fiaccare la resistenza operaia, per indebolirla e disperderla. Dopo pochi mesi l’azienda torna sui giornali per comunicare l’irrevocabile chiusura della fabbrica napoletana. Poi il Covid ed ora la ripresa dei tavoli con le dichiarazioni di governo e sindacati che aprono la fase in cui si prospetta l’arrivo di potenziali acquirenti.
I padroni tengono conto degli andamenti di mercato per decidere dove e come fare più utili e profitti, ma prima di avviare drastici processi di ristrutturazione, passano per la cassa statale, cercano approvvigionamenti da chi politicamente rappresenta e tutela i loro interessi, i governi della borghesia. Minacciano chiusure e licenziamenti, aprono una trattativa, prendono soldi, fanno rientrare i licenziamenti per il tempo che serve, stilano piani triennali, spremono ancor più gli operai, li tengono a contratto di solidarietà, spesso sul libro paga statale, e poi riaprono il ciclo. Quando ne hanno tratto il massimo vantaggio possibile tirano una riga e chiudono le trattative. Il governo dirà che sono in corso operazioni per rilanciare il sito attraverso una cordata di nuovi acquirenti (Invitalia) e che tutto sommato gli altri siti in Italia restano, quindi l’economia nazionale è salva, i sindacati che hanno fatto tutto il possibile.
Se gli operai Whirlpool crederanno ancora a queste storie, se penseranno che le soluzioni passino dai rituali delle mediazioni istituzionali, hanno già perso, come hanno perso gli operai Fca di Termini Imerese che da 9 anni aspettano che la nuova società Blutec (con il sostegno di finanziamenti erogati proprio da Invitalia) faccia investimenti e rilanci la produzione di componenti per auto. Se pensano di farsi rappresentare da sindacalisti legati ai partiti del parlamento ed alla fine sempre sensibili alle ragioni economiche delle scelte dei padroni, non riusciranno a dar battaglia sui loro interessi.
Sono gli ultimi mesi, è arrivato il momento per gli operai della Whirlpool di rompere con le compatibilità e gli schemi in uso fino ad ora. Far saltare i tavoli che decidono sulle loro teste, semmai arrivarci solo come conseguenza diretta di una mobilitazione radicale, autonoma, martellante. Bloccare la fabbrica finché il padrone ha qualcosa da rimetterci, senza pensare alle terre promesse (investimenti e investitori futuri). Per vedere risultati, qui ed ora, bisogna pensare e agire diversamente. Se gli operai si uniscono, si organizzano e decidono in proprio, se la loro lotta è l’espressione di una maturità acquisita in questi mesi di occasioni perse, lungaggini, rinvii, falsità ben architettate dalla controparte, metteranno alle strette tutti, i politici che accorrevano in solidarietà alle manifestazioni, i sindacati che hanno tenuto banco e festeggiato, il governo che fa campagna elettorale. Solo una lotta vera può rimettere tutto in discussione.
Per meno di questo, si perde.
A.B.
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