Seconda parte dell’intervento letto da Marx alla riunione del 27 giugno 1865 del Consiglio Generale dell’Associazione Internazionale degli Operai. Suddivisa da noi in puntate.
Quinta puntata
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Potrebbe sembrare che, se il valore di una merce viene determinato dalla quantità di lavoro impiegata per la produzione di essa, ne derivi che, quanto più un operaio è pigro e maldestro, tanto maggior valore abbia la merce da lui prodotta, dato che il tempo di lavoro necessario per la produzione di essa è in tal caso più lungo. Questo sarebbe però un ben triste malinteso. Ricorderete che ho usato l’espressione “lavoro sociale“, e questo qualificativo “sociale” contiene molte cose. Quando diciamo che il valore di una merce è determinato dalla quantità di lavoro in essa incorporata o cristallizzata, intendiamo la quantità di lavoro necessaria per la sua produzione in un determinato stato sociale, in determinate condizioni sociali medie di produzione, con una determinata intensità media sociale e una determinata abilità media del lavoro impiegato. Allorché in Inghilterra il telaio a vapore entrò in concorrenza con il telaio a mano, non occorse più che la metà del precedente tempo di lavoro per trasformare una determinata quantità di filo in un braccio di stoffa di cotone o di tela. Il povero tessitore a mano fu costretto a lavorare diciassette o diciotto ore al giorno invece di nove o dieci come prima. Ciò nonostante il prodotto del suo lavoro di venti ore non rappresentava più che dieci ore di lavoro sociale, cioè dieci ore del lavoro che è socialmente necessario per trasformare in tessuto una determinata quantità di filato. Il suo prodotto di venti ore di lavoro non aveva quindi un valore superiore al prodotto ch’egli fabbricava prima in dieci ore.
Se dunque la quantità di lavoro socialmente necessario incorporata in una merce ne determina il valore di scambio, ogni aumento della quantità di lavoro necessaria per la produzione di una merce deve aumentarne il valore, ogni diminuzione deve diminuirlo.
Se la quantità di lavoro necessaria per la produzione di determinate merci rimanesse costante, anche il loro corrispondente valore rimarrebbe costante. Ma le cose non stanno così. La quantità di lavoro necessaria per produrre una merce varia continuamente col variare delle forze produttive del lavoro impiegato. Quanto più grandi sono le forze produttive del lavoro, tanto maggiore è la quantità di prodotti che si producono in un determinato tempo di lavoro; e quanto minori sono le forze produttive del lavoro, tanto meno verrà prodotto nello stesso tempo. Se, per esempio, in seguito all’aumento della popolazione si rendesse necessario coltivare terreno meno fertile, la stessa quantità di produzione si potrebbe ottenere solo con l’impiego di una maggiore quantità di lavoro, e perciò il valore dei prodotti agricoli aumenterebbe. D’altra parte, è chiaro che se nel corso di una giornata di lavoro un solo filatore, con l’aiuto dei moderni mezzi di produzione, trasforma in filo una quantità di cotone mille volte superiore a quanto egli poteva filare prima con l’arcolaio a mano, ogni singola libbra di cotone assorbirà un lavoro di filatura mille volte inferiore a quello di prima, e perciò il valore aggiunto a ogni libbra di cotone con la filatura sarà mille volte minore di prima. Il valore del filo cadrà in misura corrispondente.
Astrazione fatta della diversità delle energie naturali e dell’abilità nel lavoro acquistata dai diversi popoli, le forze produttive del lavoro devono dipendere essenzialmente:
Primo. Dalle condizioni naturali del lavoro, dalla fertilità del suolo, dalla ricchezza del sottosuolo, ecc.
Secondo. Dal miglioramento progressivo delle forze di lavoro sociali, che deriva dalla produzione su grande scala, dalla concentrazione del capitale e dalla coordinazione del lavoro, dalla divisione del lavoro, dalle macchine, dai metodi di lavoro perfezionati, dall’applicazione di forze naturali chimiche e d’altro genere, dalla riduzione del tempo e dello spazio grazie ai mezzi di comunicazione e di trasporto, e da tutte le altre invenzioni per mezzo delle quali la scienza piega le forze della natura al servizio del lavoro, e che sviluppano il carattere sociale o cooperativo del lavoro stesso. Più le forze produttive del lavoro sono grandi, tanto meno lavoro viene impiegato in una determinata quantità di prodotti, e perciò tanto minore è il valore del prodotto. Più le forze produttive del lavoro sono piccole, tanto più lavoro viene impiegato nella stessa quantità di prodotti, e perciò tanto maggiore è il loro valore. Possiamo dunque stabilire come legge generale quanto segue:
I valori delle merci sono in ragione diretta del tempo di lavoro impiegato per la produzione di esse, e in ragione inversa delle forze produttive del lavoro impiegato. (continua)
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