KARL MARX – “SALARIO, PREZZO E PROFITTO”

Seconda parte dell'intervento letto da Marx alla riunione del 27 giugno 1865 del Consiglio Generale dell'Associazione Internazionale degli Operai. Suddivisa da noi in puntate. <font color=red> Ottava puntata </font>
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Seconda parte dell’intervento letto da Marx alla riunione del 27 giugno 1865 del Consiglio Generale dell’Associazione Internazionale degli Operai. Suddivisa da noi in puntate.
Ottava puntata


 

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La forza-lavoro

Ora che abbiamo esaminato, per quanto era possibile farlo nei limiti di una esposizione così rapida, la natura del valore, del valore di una merce qualsiasi, dobbiamo portare la nostra attenzione sul valore specifico del lavoro. E ancora una volta dovrò destare la vostra sorpresa con un apparente paradosso. Tutti voi siete del tutto sicuri che quello che vendete quotidianamente è il vostro lavoro; che perciò il lavoro ha un prezzo, e che, poiché il prezzo di una merce è solo l’espressione del suo valore in denaro, deve esistere certamente qualcosa come un valore del lavoro. Eppure non esiste una cosa come il valore del lavoro, nel senso comune della parola. Abbiamo visto che la quantità di lavoro necessario cristallizzata in una merce forma il valore di essa. Applicando questo concetto del valore come potremmo, per esempio, determinare il valore di una giornata di lavoro di dieci ore? Quanto lavoro è contenuto in questa giornata? Dieci ore di lavoro. Dire che il valore di una giornata di lavoro di dieci ore è uguale a dieci ore di lavoro, o alla quantità di lavoro in essa contenuta, è una affermazione tautologica e, inoltre, una affermazione assurda. Naturalmente, una volta che abbiamo scoperto il senso vero, ma nascosto, della espressione “valore del lavoro“, saremo in grado di chiarire questa applicazione irrazionale e apparentemente impossibile del valore, allo stesso modo che siamo in grado di spiegare i movimenti apparenti ossia puramente fenomenali, dei corpi celesti, non appena abbiamo scoperto i loro movimenti reali.
Ciò che l’operaio vende non è direttamente il suo lavoro, ma la sua forza-lavoro, che egli mette temporaneamente a disposizione del capitalista. Ciò è tanto vero, che la legge, non so se la legge inglese, ma certamente la legge di alcuni paesi del Continente, fissa il massimo di tempo durante il quale un uomo può vendere la sua forza-lavoro. Se fosse permesso all’uomo di vendere la sua forza-lavoro per un tempo illimitato, la schiavitù sarebbe di colpo ristabilita. Una tale vendita, se fosse conclusa, per esempio per tutta la vita, farebbe senz’altro dell’uomo lo schiavo a vita del suo imprenditore.
Thomas Hobbes, uno dei più antichi economisti e uno dei più originali filosofi inglesi, nel suo “Leviathan“, era già istintivamente arrivato a questo punto, che sfuggì a tutti i suoi successori. Egli disse: «Il valore di un uomo è, come per tutte le altre cose, il suo prezzo: cioè è quel tanto che viene dato per l’uso della sua forza»[1].
Se partiamo da questo principio saremo in grado di determinare il valore del lavoro come determiniamo quello di ogni altra merce.
Prima però di farlo, potremmo chiedere da che dipende questo fenomeno curioso, per cui troviamo sul mercato un gruppo di compratori che posseggono terra, macchine, materie prime e i mezzi di sussistenza, tutte cose che, all’infuori del suolo al suo stato naturale, sono prodotti del lavoro, e d’altra parte un gruppo di venditori che non hanno altro da vendere che la loro forza-lavoro, le loro braccia e il loro cervello lavoranti. Come avviene che un gruppo compera continuamente, per realizzare profitto e per arricchirsi, mentre l’altro gruppo vende continuamente per guadagnare il proprio sostentamento? L’esame di questa questione sarebbe un esame di ciò che gli economisti chiamano “accumulazione primitiva od originaria“, ma che dovrebbe però chiamarsi espropriazione primitiva. Troveremmo che la cosiddetta accumulazione primitiva non significa altro che una serie di processi storici i quali si conclusero con la dissociazione dell’unità primitiva che esisteva fra il lavoratore e i suoi mezzi di lavoro. Una ricerca di questo genere esce però dai limiti del mio tema attuale. La separazione del lavoratore e degli strumenti di lavoro, una volta compiutasi, si conserva e si rinnova costantemente a un grado sempre più elevato, finché una nuova e radicale rivoluzione del sistema di produzione la distrugge e ristabilisce l’unità primitiva in una forma storica nuova.
Che cos’è, dunque, il valore della forza-lavoro?
Come per ogni altra merce, il suo valore è determinato dalla quantità di lavoro necessaria per la sua produzione. La forza-lavoro di un uomo consiste unicamente nella sua personalità vivente. Affinché un uomo possa crescere e conservarsi in vita, deve consumare una determinata quantità di generi alimentari. Ma l’uomo, come la macchina, si logora, e deve essere sostituito da un altro uomo. In più della quantità di oggetti d’uso corrente, di cui egli ha bisogno per il suo proprio sostentamento, egli ha bisogno di un’altra quantità di oggetti d’uso corrente, per allevare un certo numero di figli, che debbono rimpiazzarlo sul mercato del lavoro e perpetuare la razza degli operai. Inoltre, per lo sviluppo della sua forza-lavoro e per l’acquisto di una certa abilità, deve essere spesa ancora una nuova somma di valori. Per i nostri scopi sarà sufficiente considerare solamente un lavoro medio, i cui costi di istruzione e di perfezionamento sono grandezze del tutto trascurabili. Approfitto però di questa occasione per stabilire che, allo stesso modo che i costi di produzione di forza-lavoro di diversa qualità sono diversi, così sono diversi i valori delle forze-lavoro impiegate nelle diverse industrie. La richiesta dell’uguaglianza dei salari è basata, dunque, su un errore, su un desiderio vano, che non verrà mai appagato. Essa scaturisce da quel radicalismo falso e superficiale, che accetta delle premesse ma tenta di evitare le conclusioni. Sulla base del sistema del salario il valore della forza-lavoro viene fissato come quello di qualunque altra merce. E poiché diverse specie di forza-lavoro hanno un diverso valore, richiedono cioè diverse quantità di lavoro per la loro produzione, esse debbono avere un prezzo diverso sul mercato del lavoro. Richiedere, sulla base del sistema salariale, una paga uguale o anche soltanto equa, è lo stesso che richiedere la libertà sulla base del sistema schiavistico. Ciò che voi, dunque, considerate come equo o come giusto, non c’entra per niente. La questione che si pone è la seguente: – Che cosa è necessario e inevitabile entro un dato sistema di produzione?
Da quanto abbiamo esposto risulta che il valore della forza lavoro è determinato dal valore degli oggetti d’uso corrente che sono necessari per produrla, svilupparla conservarla e perpetuarla. (continua)

  1. English Works of Sir Th. Hobbes, London, ed. Molesworth 1839-44, vol. III, p. 76.

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