Seconda parte dell’intervento letto da Marx alla riunione del 27 giugno 1865 del Consiglio Generale dell’Associazione Internazionale degli Operai. Suddivisa da noi in puntate.
Diciottesima puntata
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4. Voi tutti sapete che la produzione capitalistica, per ragioni che non occorre spiegarvi ora, attraversa determinati cicli periodici. Essa attraversa successivamente periodi di calma, di crescente animazione, di prosperità, di sovraproduzione, di crisi e di stagnazione. I prezzi di mercato delle merci e i saggi di mercato del profitto seguono queste fasi, ora cadendo al di sotto della loro media, ora superandola. Se considerate il ciclo intero, troverete che uno scarto del prezzo di mercato è compensato da un altro, e che nella media del ciclo i prezzi di mercato delle merci sono regolati dai loro valori. Ebbene, durante la fase della discesa dei prezzi di mercato e durante le fasi della crisi e della stagnazione, l’operaio, quando non perde del tutto la sua occupazione, deve contare sicuramente su una diminuzione dei salari. Per non essere defraudato, egli deve, persino quando i prezzi di mercato scendono a tal punto, contrattare con il capitalista per determinare in quale proporzione una diminuzione dei salari sia divenuta necessaria. Se durante le fasi della prosperità, allorché si realizzano extraprofitti, egli non ha lottato per un aumento dei salari, non riuscirà certamente, nella media di un ciclo industriale, a mantenere neppure il suo salario medio, cioè il valore del suo lavoro. Sarebbe il colmo della pazzia pretendere che l’operaio, il cui salario nella fase discendente del ciclo è necessariamente trascinato nella corrente generale sfavorevole, si debba escludere da un compenso corrispondente durante la fase della prosperità degli affari. In generale i valori di tutte le merci si realizzano solo attraverso la compensazione dei prezzi di mercato, che variano incessantemente per le continue oscillazioni della domanda e dell’offerta. Sulla base del sistema attuale, il lavoro non è che una merce come le altre. Esso deve quindi subire le stesse oscillazioni per raggiungere un prezzo medio che corrisponda al suo valore. Sarebbe sciocco considerarlo da una parte come una merce, e d’altra parte volerlo porre al di fuori delle leggi che determinano i prezzi delle merci. Lo schiavo riceve una quantità fissa e costante di mezzi per il suo sostentamento; l’operaio salariato no. Egli deve tentare di ottenere, in un caso, un aumento di salari, non fosse altro, almeno, che per compensare la diminuzione dei salari nell’altro caso. Se egli si rassegnasse ad accettare la volontà, le imposizioni dei capitalisti come una legge economica permanente, egli condividerebbe tutta la miseria di uno schiavo, senza godere la posizione sicura dello schiavo. (continua)
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