IL ROBIN HOOD DI ACERRA

A proposito di due recenti articoli pubblicati sul sito "Il pungolo rosso", non firmati, ma che riteniamo essere opera di Pietro Basso, a sostegno della richiesta  di una patrimoniale del 10% sul 10% dei più ricchi
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A proposito di due recenti articoli pubblicati sul sito “Il pungolo rosso”, non firmati, ma che riteniamo essere opera di Pietro Basso, a sostegno della richiesta di una patrimoniale del 10% sul 10% dei più ricchi


Robin Hood aveva un’idea chiara di politica fiscale, prendere ai ricchi per dare ai poveri, ed aveva una potente leva per rendere reale questa politica, le frecce e le spade e gli uomini che le sapevano usare. Non era una richiesta ma un programma da attuare e se gli capitavano a tiro i ricchi sapeva come spolparli.

Ora noi, ci troviamo di fronte una nuova versione di Robin Hood. Con due scritti lunghi e pesanti, Pietro Basso, nel sito Il Pungolo Rosso ci ha fatto sapere nel primo, usando Marx ed altri marxisti, che la questione fiscale è sempre stata un argomento centrale dell’azione sociale dei movimenti di lotta contro il capitale. Mentre nel secondo ha scoperto che la macchina statale dei borghesi costa sempre di più e che il peso del suo mantenimento si basa su una tassazione disequilibrata. Partiamo da questa seconda parte, facendo un po’ di osservazioni che abbiano, speriamo, il pregio di essere chiare e sintetiche, è stato pesante leggere il minestrone che ci è stato cucinato dal teorico del 10×10.

Pagano più tasse i redditi bassi rispetto ai grandi ricchi è la sua strabiliante osservazione. Ci sono addirittura, aggiungiamo noi, coloro che, avendo la possibilità di truccare i bilanci delle loro attività di imprenditori, evadono le tasse alla grande, facendo innervosire chi le paga. Ma nel lungo scritto viene liquidata in poche righe la vera base di ogni tassazione e il suo rapporto col plusvalore, che è sempre ricchezza estorta agli operai e non pagata con nessun controvalore, un plusvalore che passa di mano in mano ora sotto forma di profitto, ora come interesse, ora come stipendio del funzionario statale, di reddito del prete e del professore e delle rispettive imposte.

Ma c’è una ragione perché non si ha interesse ad evidenziare questa base del sistema fiscale moderno e la ragione è semplice: si dà per scontato che il problema di questa società non è nel come la ricchezza sociale si produce ma su come viene distribuita, invece è vero il contrario: il rapporto in cui la ricchezza sociale viene prodotta ne determina la sua distribuzione. Il problema di una diversa distribuzione della ricchezza ha sempre coinvolto le classi medie, dalla piccola borghesia impiegatizia ai dipendenti funzionari della Stato, ai piccoli produttori autonomi, ai bottegai colpiti nella crisi dall’eccessiva tassazione. Questo vuol dire sostenere che il sistema della tassazione non interessa agli operai? Per niente, questa chiarificazione sul rapporto fra lavoro non pagato estorto agli operai e imposte serve solo a rendere indipendenti gli operai dai tentativi di assumere come un dato di fatto la loro espropriazione a livello della produzione, e a non farli immischiare in un contrasto fra le classi superiori sulla politica fiscale dello Stato.

Qui tocca chiedere un aiuto all’autorità di Marx per definire in poche righe il rapporto fra imposte e plusvalore ed usiamo una nota del Libro Primo del Capitale pag. 570 Editori Riuniti: “A questa terza legge il MacCulloch fra gli altri ha fatto l’assurda aggiunta che il plusvalore può aumentare senza che si abbia una diminuzione del valore della forza lavoro mediante l’abolizione di imposte che il capitalista prima era tenuto a pagare. L’abolizione di tali imposte non cambia nulla, assolutamente, nella quantità di plusvalore che il capitalista industriale estorce in primo luogo all’operaio. Essa cambia soltanto la proporzione in cui egli si mette il plusvalore nelle proprie tasche o lo deve dividere con terze persone”. Gli operai producono il plusvalore che assume diverse forme e si suddivide in diverse categorie e fornisce anche il fondo con cui le tasse vengono pagate. Il sistema di tassazione interessa agli operai dal lato di quanto incida direttamente sul prezzo delle merci e dei servizi, di quanto le misure adottate pesino sul valore reale del prezzo della forza lavoro che vendono al capitalista, ma qui la risposta del lavoro salariato o è la lotta contro il rincaro del prezzo delle merci che entrano nel consumo della forza lavoro o la pressione sul compratore di questa forza lavoro per ristabilirne il prezzo normale. Non si illudono certo che tassare di più i ricchi risolva il problema dei salari e stipendi ridotti a causa dell’aumento dei prezzi, questo parto dell’immaginazione del novello Robin presuppone la concezione volgare che il sistema fiscale sia un serbatoio dove più imposte entrano dal lato dei ricchi, più ne possono uscire per favorire i poveri. Ora, che la pensi così, di primo acchito, un qualunque elemento delle classi impoverite è comprensibile, ma per “l’eminente marxista” in questione è solo la prova che non ha capito niente di questo modo di produzione e del rapporto fra la macchina statale e il capitale.

I lavoratori autonomi, i liberi professionisti, gli artigiani che non sono collocati in un rapporto di lavoro salariato, che non hanno un padrone al quale riferirsi, ritengono come unica possibilità, per difendere il proprio reddito, quella di impegnarsi in una lotta contro l’eccessiva tassazione, il novello Robin Hood si spinge ancora più in là, chiede un sistema fiscale che tassi i ricchi per usare i proventi per alleggerire la pressione su questi “poveri”. Che faccia parte anch’esso di una di queste categorie? Ed allora si inventa la grande richiesta: il 10% di tasse in più per il 10% dei più ricchi del paese. Farsi restituire dai ricchi 400 miliardi e utilizzarli per far star meglio i poveri. Alla piccola borghesia rovinata, ai liberi professionisti in crisi senza grossi guadagni luccicano gli occhi, si convincono facilmente del fatto che se i grandi ricchi pagano più tasse, loro ne pagheranno di meno. Gli operai sono un po’ più sospettosi, ne hanno sentite tante sulla ridistribuzione dei redditi ma il loro salario è sempre rimasto pressoché lo stesso e difenderlo è sempre costato ore ed ore di sciopero. Tanto che una domanda si fa strada, è strano che questo nuovo Robin non si chieda chi deve imporre questa ridistribuzione attraverso la tassazione, il Governo dei ricchi? Lo Stato dei borghesi? Chi dovrebbe gestire questo nuovo gettito? Forse le forze di sinistra “vera”, spinti al governo dal movimento? Ma non siamo così ricaduti nelle illusioni riformiste che da centocinquanta anni vengono date da bere alle classi subalterne? E poi perché solo il 10% al 10% e non il 15 o il 20, Robin Hood della foresta di Sherwood era più serio, non si poneva dei limiti alla quantità di soldi da espropriare, faceva affidamento sulla sua forza per attuare queste espropriazioni.

E andiamo così alle citazioni marxiste che Basso usa per difendere la sua trovata fiscale, e ne prendiamo una sola come esempio sufficiente per capire che lettura ha realmente fatto dei testi “sacri”. Il leggiucchiatore che legge Marx all’americana, una parola per ogni riga e in obliquo, non si è accorto che nel Manifesto Comunista prima dell’elenco delle misure da adottare, dove al punto due legge “Imposta fortemente progressiva”, facendolo gioire di aver scoperto la giustificazione teorica del 10X10, è scritto “Il proletariato adopererà il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale…”. Il suo dominio politico, sottolineiamo noi, il potere degli operai come condizione necessaria per prendere i primi provvedimenti che saranno “dispotici nel diritto di proprietà”, solo così la famosa tassazione progressiva, non quella genericamente accettata anche dai democratici costituzionalisti, ma quella capace di attaccare direttamente la ricchezza dei borghesi, è una delle misure attuabili nel momento in cui gli operai hanno conquistato il dominio politico sull’intera società. Tant’è vero che forme di tassazione progressive ci sono in tutti i paesi capitalisticamente più evoluti ma sono limitate, la progressione è fondamentalmente fittizia.

Anche la Costituzione italiana all’articolo 53 recita “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, che la richiesta del 10% sul 10% coronerebbe bellamente. Ma chi si vuol prendere in giro? Dopo 60 anni vediamo i risultati, in proporzione pagano di più i redditi bassi che le grandi fortune, ma l’autore della lunga e pasticciata minestra sulla tassazione non si chiede perché, non gli viene nemmeno in mente che il problema centrale sia nel chi ha in mano il potere nella società, quale classe di conseguenza gestisce la macchina statale. Non si può nemmeno sostenere che mai la tassazione dei ricchi è stata posta all’ordine del giorno, è invece vero il contrario, innumerevoli volte gli operai hanno sentito proclamare “le tasse le devono pagare tutti e soprattutto i ricchi”, ma naturalmente non se né è fatto niente, naturalmente era solo fumo negli occhi. Chi gestisce lo strumento fiscale per mettere in atto queste misure sono gli stessi borghesi che dovrebbero autolimitare la montagna di ricchezza che hanno accumulato sulla pelle degli operai . La solita vecchia illusione che si formò negli anni di ascesa del primo movimento operaio dove sembrava che, con la sua pressione dall’esterno, potesse determinare le scelte dei governi degli Stati gestiti dalla classe nemica.

A questa illusione aderirono entusiasticamente i capi corrotti dei partiti che dicevano di rappresentare gli operai, tolsero di mezzo il vero problema di quale classe fosse al potere nella società, la rivoluzione prima rimandata, poi tolta dall’orizzonte politico della classe sottomessa. In realtà aveva preso il sopravvento nel partito e nel movimento una aristocrazia operaia e una piccola borghesia formatasi col sovrapprofitto imperialista che sosteneva la possibilità, anche con le lotte, ma sempre nell’ambito dell’assetto sociale esistente, di portare tutti gli strati sociali sottomessi a raggiungere un livello di condizione economica soddisfacente. Da allora la strada della civiltà capitalistica si è lastricata di rivendicazioni, di richieste di interventi a favore degli strati bassi, dei poveri. Alcune vere e proprie fantasie, altre realizzabili con fini filantropici, tutte però nell’ambito di un rapporto di produzione fondato sul lavoro salariato e il profitto capitalistico, che ha prodotto e riprodotto i due poli di povertà e ricchezza che viene denunciata oggi ad ogni angolo di strada a cominciare da San Pietro in Roma.

Anche la richiesta di un diverso sistema di tassazione ricade in questo ambito. Ma qui la cosa si fa più complicata, è vero che la richiesta di una tassazione diretta e progressiva, rispetto a quella indiretta imposta dallo Stato sulle merci, si trova nei programmi socialdemocratici ma per la semplice ragione che quella indiretta colpiva i consumi degli operai e dei contadini poveri, della piccola borghesia a stipendio, chi viveva a salario o con reddito basso si immiseriva sempre più, ma a nessuno è mai venuto mai in mente di risolvere il problema di questa condizione di miseria chiedendo allo Stato, che li stava spogliando con le imposte, che aumentasse le tasse ai ricchi e ridistribuisse così la ricchezza ridistribuendo il peso fiscale. Il rivendicare la riduzione o l’annullamento di una imposta per gli strati di piccola borghesia indipendente, per i contadini colpiti dalle imposte è ben altra cosa che chiedere l’aumento delle tasse per i ricchi, rivendicare la riduzione delle imposte per le classi sociali rovinate dalla crisi è altra cosa che chiedere allo Stato che aumenti le tasse ai suoi diretti ricchi esponenti.

La prima rivendicazione, pur restando nell’ambito della questione della divisione del plusvalore già prodotto potrebbe trovare un sostegno fra gli operai contro il comune nemico, lo Stato dei borghesi, sempre pronto a opprimere sotto il carico fiscale lavoratori autonomi e piccola borghesia indipendente. Certo sapendo che queste classi sono anche capaci di compattarsi con lo Stato e i grandi ricchi nel momento in cui vengono convinti che la loro rovina proviene dalla bassa produttività degli operai o peggio dalla loro resistenza a piegarsi alla flessibilità produttiva necessaria. Ma la posizione della piccola borghesia rovinata si gioca sulla forza e la radicalità dell’azione degli operai, certo che se la proposta sulle tasse si riduce a chiedere che i grandi ricchi ne paghino di più, la denuncia sulla eccessiva tassazione da parte dello Stato resta saldamente in mano alla Lega che minaccia lo sciopero fiscale come leva per ridurre le tasse non agli strati più bassi della società ma a tutti, compresa la grande borghesia. Il sindacato quando non ce la fa o non vuole difendere il salario di fronte ai padroni si rifugia nella riduzione del cuneo fiscale, la riduzione delle trattenute sulla busta paga, ma poi si ritira sempre in buon ordine quando dai suoi referenti nella gestione della spesa pubblica arrivano degli altolà con la minaccia della bancarotta della finanza pubblica. Se proprio il movimento che ha abbracciato la rivendicazione 10X10 voleva elaborare un obiettivo contro il sistema di tassazione esistente non doveva far altro che fissare un limite di reddito, a livello del salario medio operaio, sotto il quale ci sia l’esenzione delle tasse, una utopia? Ma almeno un’utopia che si fonda sulla condizione reale di miseria di milioni di operai e lavoratori poveri ed anche di artigiani in crisi. Così Robin di casa nostra non può accusarci di rinunciare ad elaborare obiettivi sulla questione fiscale che lui ha risolto brillantemente con le tasse sui super-ricchi e le tasse “accettabili” per i poveri.

Se vogliamo rifarci direttamente a Marx riportiamo un intervento ad una riunione della Prima Internazionale operaia dove si affrontò la discussione se si dovesse o no abolire il diritto d’eredità “Abbiamo già una tassa di successione, basterebbe accrescerla e renderla progressiva, come l’imposta sul reddito, esentando gli importi minori, ad esempio, di 50 lire sterline. Soltanto in questa prospettiva il problema riguarda la classe operaia”. Introduce nell’azione dell’Internazionale non solo la riconferma della progressività dell’imposta sul reddito ma soprattutto, da notare, l’esenzione ed il livello di esenzione. Se si voleva per forza porre un obiettivo sul fisco si poteva percorrere la strada del livello di esenzione e seguire Marx, senza farlo diventare un illuso sulla capacità dello Stato dei borghesi di tassare i ricchi ricchi. La questione non è quanto potrebbero pagare i ricchi ma sulla realtà di quanto pagano i poveri e quanto pagano quando la tassazione incide direttamente sulle merci di consumo di massa.

Robin Hood di Acerra cerca di usare come esempio della validità della rivendicazione che propone le rivolte sociali nei diversi paesi in questo periodo e cita addirittura i gilet jaunes. Quando si vogliono piegare i fatti alle proprie fantasie non c’è limite. La rivolta in Francia non nasce perché i ricchi pagano poche tasse ma perché un aumento della tassazione sul gasolio immiserisce sia i piccoli produttori che i contadini, sia i lavoratori poveri e chiunque si deve spostare. Arrivano a Parigi e costringono il governo a ritirare le misure contestate e sulla proprietà dei ricchi usano il solo mezzo che hanno sul momento: a ferro e a fuoco i negozi di lusso. Non sono in piazza per un nuovo sistema di tassazione ma per abolire quello che li strangola sul momento, ma non è facile capire la differenza sostanziale fra proporre misure alternative, irrealizzabili in quel dato momento, e combattere per abolire quelle esistenti, non è un caso che ogni volta che si produce una rivolta c’è sempre chi chiede “ma quale è la vostra proposta alternativa?” E sono sempre i rappresentanti di chi gestisce il potere a chiedere. E la risposta delle rivoluzioni è una sola “spazzarvi via”.

Al riformista non basta, deve elaborare proposte alternative, deve proporle al movimento come soluzione dei problemi, e sperare che diventino una bandiera. La lotta fra le classi moderne, fra gli operai e il capitale ha ormai più di 150 anni e tanta acqua è passata sotto i ponti e tanti esponenti di altre classi si sono sbizzarriti a proporre soluzioni per migliorare la situazione delle classi subalterne lasciando inalterato il sistema del lavoro salariato. Proprio dal bilancio fallimentare di queste soluzioni possiamo affermare che si è formata una tendenza operaia che non è più disposta a seguire le illusorie trovate di qualche piccolo borghese, indignato per la miseria crescente, al quale sembrerà riduttivo porre semplicemente, nel movimento, l’obiettivo della liberazione degli operai dalla condizione di schiavi salariati.
E.A.

Gli articoli del “Il pungolo rosso” sono consultabili ai seguenti link:
1) A colloquio con Marx e altri maestri sulla questione fiscale – I
2) A colloquio con Marx, Rosa L. e altri maestri sulla questione fiscale: II. La rivendicazione di lotta della million tax 10% sul 10%

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