I “piangina” sono in agitazione, i ristori non bastano e il governo è pronto ad altri interventi. Gli operai in Cig si devono accontentare del 60% del salario. Erano già in miseria, ora sono alla fame.
Caro Operai Contro, seduti sul bottino incamerato negli anni prima della pandemia, con le facce di lamiera dicono che gli aiuti non sono all’altezza del mancato “fatturato”. Titolari di attività produttive, ristoratori, commercianti, negozianti, operatori turistici, baristi ecc. intervistati in tivù, piangono sugli scarsi “ristori” avuti dal governo per i mancati guadagni causa covid19.
Fingono di non sapere che anche un solo euro di “ristoro” ricevuto, è già in più, loro possono usare i guadagni degli anni prima, ma non vogliono andare in banca a disinvestirli. La loro parola d’ordine è “ci chiudi, ci paghi”. L’avessero gridata gli operai quando gli chiudevano le fabbriche e il padrone non tirava fuori un quattrino, avrebbero detto tutti che era una richiesta assurda, che così avrebbero rovinato l’imprenditore e offeso la libera iniziativa. Ma i tempi cambiano, ora sono i piccoli e medi borghesi che rischiando di perdere qualche privilegio diventano più cattivi degli operai. Ce ne ricorderemo quando di fronte alle nostre manifestazioni dure tireranno giù le saracinesche maledicendoci.
Invece gli operai anche da prima della pandemia, fanno i salti mortali per arrivare a fine mese. Figuriamoci ora che da quasi un anno, a più riprese, sono per lunghi periodi in Cig con altri lavoratori dipendenti, dai 9,8 milioni ai 14 milioni. Perdono ogni mese il 40% del salario, e la 13a è mutilata di tanti dodicesimi, tanti quante le mensilità passate in Cig. Ancora peggio per tutti i licenziati finiti in Naspi.
Per il sindacalismo collaborazionista va tutto bene così. Si fa scudo del blocco dei licenziamenti decretato dal governo, chiedendone il rinnovo ad ogni sua scadenza, ma nessuna iniziativa di lotta contro i padroni che licenziano sfruttando i “buchi” nel decreto.
I salari sono fermi, ma niente mobilitazioni per alzarli, perfino i metalmeccanici in rinnovo contrattuale, dopo le 4 ore di sciopero del 5 novembre, sono imbalsamati dall’immobilismo della triplice confederale. Un sindacalismo accondiscendente, tanto da non rivendicare l’integrazione del sussidio della Cig, al 100% del salario. Mentre il sindacalismo alternativo rimane al palo, forse perché nato più con l’ambizione della separatezza dei principi, che sulla paziente ricerca e costruzione dell’unità operaia nella lotta contro i padroni.
La Cig complessiva autorizzata (ordinaria, straordinaria, in deroga, fondi di solidarietà per Covid ) è passata dalle 200 milioni di ore del 2018, a più di 4 miliardi di ore nei primi 11 mesi del 2020. Rispetto allo stesso periodo del 2019, è cresciuta del 1.447,07%.
L’analisi fornita dall’Ass.“Lavoro&Welfare” fa notare che il dato sulla cig, “ permette di determinare statisticamente un’assenza completa di attività produttiva per oltre 2 milioni di lavoratori. I lavoratori parzialmente tutelati dalla Cig perdono, dunque, quasi 11 miliardi di reddito”. Vero che conta il cosidetto “tiraggio”, ovvero le ore di Cig effettivamente fatte non solo autorizzate, ma in questo caso non cambia l’ordine di grandezza del balzo.
Basterebbe ricordare questa risaputa verità, agli esponenti della piccola e media impresa che pretendono più finanziamenti, mentre continuano a fare la bella vita. Insoddisfatti che il governo li ha gratificati insieme alla grande impresa, regalando loro nei 4 decreti “ristori”, tra aiuti diretti e interventi fiscali, la fetta maggiore del sostegno pubblico da quando è iniziata la pandemia. Finora 48 miliardi di euro, più altri 32 con il 5° decreto “ristori” in via di approvazione dal governo dimissionario.
In totale 80 miliardi di euro regalati ai padroni, ma per gli operai non si sono trovati 11 miliardi di euro, per colmare la differenza tra sussidio della Cig e il salario pieno! E per i lavoratori di tutti i comparti dei relativi settori, rimasti per strada con i contratti “usa e getta”, la “soluzione” è stata quella delle mancette “una tantum”, di 600, 800, euro ecc.
Una parte della piccola borghesia si schiera con la piccola e media impresa. Inscenano chiassose adunate, “osano” la riapertura dei locali. Sono incazzati perché con il covid19 si è per ora interrotto il loro processo di arricchimento. Contrariati anche perché con i limiti agli spostamenti per il lock down, non possono approfittare dei periodi di chiusura per andare ai mari caldi, o sulle nevi dove le piste sono aperte, o raggiungere le seconde case ecc. grazie all’agiato tenore di vita raggiunto, con i profitti in banca o investiti da qualche parte, profitti incassati con i “fatturati” degli anni prima del covid 19.
I mezzi d’informazione stampa e tivù, che considerano una “normalità” e non trovano niente da ridire che un esercito di operai e lavoratori dipendenti in cig a più riprese, siano costretti a sopravvivere con un salario decurtato del 40%, al contrario danno invece ampio spazio alle proteste della piccola e media impresa, che fanno i “piangina” per mungere altri soldi allo Stato. Avallano l’immagine del povero padrone o ristoratore ridotto sul lastrico, rafforzando le richieste di “risarcimento”, perché “se chiude ci vanno di mezzo anche i dipendenti”. Ma se chiude lui campa lo stesso con il capitale messo da parte, mentre i dipendenti vanno alla fame.
I dipendenti già ne pagano il prezzo, come ricorda “il sole 24 ore” del 28 gennaio 2021: “In un anno, novembre 2020 su novembre 2019, i dipendenti a termine sono scesi di ben 410 mila posizioni”. E ancora: “Da febbraio 2020, inizio del coronavirus, a novembre 2020 sono andati in fumo 300 mila posti (con cig per tutti e divieto di licenziare)”. Non si contano qui i migliaia di lavoratori in nero che sono rimasti senza salario.
Saluti Oxervator
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