Sembrava tutto ormai regolato. Il tran tran parlamentare, le riforme, i lenti miglioramenti. I padroni e i loro intellettuali prezzolati ci avevano quasi convinti che questa società era l’unica possibile, eterna.
La crisi rimescola tutto, e una vecchia, potente e terribile parola ricompare: rivoluzione
“Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono ad un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico, e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi si erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”. Karl Marx, Prefazione a “Per la critica dell’economia politica”, 1859.
Siamo arrivati di nuovo a questo punto? La società dei padroni con i suoi rapporti di proprietà, è diventata un limite per l’ulteriore sviluppo dell’umanità? Tutto ci dice di sì.
Mentre una minima parte della società vive nel lusso, senza avere neanche il tempo materiale per poter godere dell’immensa ricchezza che sta accumulando, la maggioranza della società, a livello mondiale non riesce neanche ad avere il minimo indispensabile per poter sopravvivere.
Gli indicatori economici ci dicono che l’economia dei padroni non decolla. Nonostante gli enormi sacrifici richiesti agli operai con il peggioramento sistematico delle loro condizioni di vita e di lavoro, nonostante l’espulsione dai processi produttivi di milioni di individui che sopravvivono nella migliore delle ipotesi con miserabili sussidi di disoccupazione, l’economia non dà segni di miglioramento. L’attuale società non riesce più ad assicurare alla stragrande maggioranza della popolazione, anche nei paesi cosiddetti “ricchi”, gli elementi minimi per sopravvivere.
Anche il cosiddetto ceto medio, il “puntello sociale” fondamentale della società dei padroni, versa in una crisi profonda, peggiorata dalla pandemia. La parte del valore prodotto dagli operai che andava ai ceti medi, si sta riducendo sempre di più. Con la crisi economica i privilegi dei “piccoli imprenditori”, dei commercianti, dei professionisti, degli impiegati cominciano ad andare in crisi. La condizione di molti di loro si avvicina sempre di più per il reddito, a quella degli operai.
Anche qualche giornalista, non senza preoccupazione, comincia a sentire odore di incendi. Da un’inchiesta del 31 gennaio scorso su “Domani”, il nuovo quotidiano di “sinistra” di De Benedetti, risulta che “oltre il 70 per cento degli italiani afferma di avvertire la presenza di una forte tensione sociale nel paese”. Più di un terzo degli intervistati sostengono che “per cambiare realmente le cose bisogna fare le barricate”. Circa un terzo parla apertamente di rivoluzione con picchi oltre il 30% tra giovani e “ceti bassi”.
I “rapporti di produzione” della società dei padroni cominciano a scricchiolare, le classi cominciano a mettersi in movimento. Ognuna con obiettivi e idee direttamente legati ai propri interessi materiali.
Che si cominci a parlare di rivoluzione e di barricate, dimostra che l’illusione che il parlamento possa svolgere un ruolo di rappresentanza dei vari interessi è decaduta. L’omologazione dei 5 stelle e dei leghisti al carro dell’oligarchia finanziaria, cioè al governo direttamente insieme ai padroni rappresentati da Draghi, spingerà ancora di più il ceto medio e la piccola borghesia su un terreno di lotta extraparlamentare, il campo dove gli strati bassi della popolazione, e gli operai in primo luogo, storicamente si misurano con il sistema dei padroni.
Il tempo è maturo anche per la classe degli operai. Ma senza un’organizzazione politica indipendente, gli operai rischiano di essere trascinati nei movimenti delle altre classi, mobilitati su obiettivi e interessi che non sono i loro, condannati a fare da truppe d’assalto per conservare i privilegi delle classi intermedie.
F. R.
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