A Pomigliano con la vendita di 4.500 Panda si coprono i salari degli operai che la producono. Nel 2019 lo stabilimento ex Fca di Pomigliano ha immatricolato 138.000 Panda.
Anche un salario “normale” non elimina lo sfruttamento, la lotta sindacale è necessaria, la difesa del salario serve per sopravvivere, ma se non ci liberiamo dal lavoro salariato saremo sempre schiavi di un padrone qualunque.
Il padrone non si compra il nostro lavoro, ma la nostra capacità di lavoro, la nostra forza lavoro. Quanto gli costa? I soldi che ad un operaio servono per poter tirare avanti un mese per mese. Il salario.
I bisogni di una famiglia operaia non sono mai gli stessi. Oggi nei bisogni essenziali degli operai dei paesi capitalisticamente più avanzati ci sono una casa adatta alla famiglia operaia, un’auto, alimenti adeguati, l’immancabile telefonino, la TV, la possibilità di uscire ogni tanto per una pizza, un po’ di vacanza, poter mandare i figli a scuola. Se un operaio non riesce a permettersi la soddisfazione di questi bisogni “essenziali” si sente povero.
Per un operaio del cosiddetto “terzo mondo” i bisogni che si percepiscono essenziali sono di meno: cibo in misura adeguata, una casa, sicuramente anche per lui il telefonino.
L’aumento dei bisogni e la loro soddisfazione è vissuto dagli operai come un miglioramento della loro condizione. Questo miglioramento non è automatico. E’ legato in generale al miglioramento del livello di vita che può avvenire nelle economie “più avanzate”, di cui solo in piccola parte beneficiano gli operai, ma principalmente alla pressione attraverso la lotta che gli operai, sistematicamente, attuano per resistere ai continui tentativi dei padroni di aumentare il loro sfruttamento.
Quindi in condizioni storiche e sociali determinate il salario ammonta ad un importo definito. Una volta che l’operaio ha venduto la sua capacità di lavoro per il salario, il padrone utilizza la sua forza lavoro per farlo produrre e quello che l’operaio produce, in termini di valore, è molto di più di quello che percepisce come salario.
Tutto quello che l’operaio produce appartiene al padrone ed il valore del prodotto totale è sempre più grande delle spese sostenute dal capitalista per il salario, gli ammortamenti degli impianti e il costo delle materie prime. Quindi, solo una parte della giornata lavorativa dell’operaio produce in valore l’equivalente del salario sborsato dal capitalista, mentre l’altra parte della giornata lavorativa crea un valore per cui il capitalista non ha dovuto anticipare nulla e di cui si appropria gratuitamente. Solo una parte della giornata lavorativa operaia è lavoro pagato dal capitalista, tutto il resto della giornata lavorativa è lavoro non pagato. Più si sviluppa il capitalismo e più piccola diventa la parte pagata della giornata lavorativa operaia rispetto alla sua parte non pagata.
In un altro articolo facemmo un esempio su quanto corrispondeva grosso modo al salario di un operaio FCA, oggi Stellantis, per esempio di Pomigliano, quello che produceva e concludemmo che il suo salario di un anno corrispondeva al valore di una Panda e mezzo.
A Pomigliano, esclusi gli impiegati che non producono niente, e una parte degli operai in cassa integrazione, lavorano sistematicamente meno di 3000 operai. Il loro salario annuo corrisponde al prezzo di circa 4500 Panda. A Pomigliano nel 2019, per esempio, sono state prodotte oltre 138.000 Panda.
Cosa ne risulta da questo ragionamento? Risulta che, se il padrone, grazie alla pressione esercitata dagli operai con la lotta, pagasse anche il doppio dei salari attuali, pagherebbe sempre solo una piccola parte del lavoro operaio e la maggior parte di quello che l’operaio produce continuerebbe a metterselo in tasca lui sotto forma di profitto.
La parte più “democratica” e “vicina ai lavoratori” della borghesia, nelle persone di politici, intellettuali e giornalisti, punta l’attenzione solo sui casi più estremi e appariscenti di sfruttamento, dove il salario è al di sotto del limite di sopravvivenza, come nel caso, per esempio, dei braccianti stagionali pagati a 2 euro l’ora con giornate lavorative che vanno anche oltre le 12 ore. Ma anche su queste forme di schiavitù fanno marcia indietro appena devono fare i conti con i padroni agricoli e si limitano ciclicamente alle denunce televisive.
In realtà, però, in un senso strettamente economico, lo sfruttamento più intenso avviene proprio negli stabilimenti più avanzati della fabbrica moderna. Qui, grazie ai macchinari evoluti che vengono utilizzati, la parte della giornata lavorativa che copre il salario si è ridotta in modo enorme, ed è aumentata proporzionalmente la parte che il padrone intasca come profitto. Oltre alla riduzione relativa del salario rispetto al lavoro non pagato che il padrone si mette in tasca, nella fabbrica moderna gli operai vengono consumati così intensamente da renderli inidonei al lavoro molto presto, per esempio nel settore auto già a cinquant’anni, come l’aumento degli rcl (ridotte capacità lavorative) dimostra.
Per borghesi e piccolo borghesi “illuminati” lo sfruttamento consiste solo nel mancato rispetto delle condizioni contrattuali e nei bassi salari che ne corrispondono. Protestano contro queste forme, per far passare come normale e naturale la principale forma di sfruttamento insita nel lavoro salariato che è quella degli operai dell’industria, su cui tutte le altre trovano il loro fondamento.
Il “salario giusto” non esiste. La maggior parte del lavoro svolto dall’operaio non gli viene pagato. Solo e sempre una piccola parte di questo lavoro corrisponde al salario e, storicamente, con lo sviluppo della tecnologia, la parte del valore prodotto dall’operaio che va al salario si riduce costantemente rispetto a quella che va al padrone.
I limiti del terreno sindacale sono proprio questi. Il miglior sindacato, quello che lotta e riesce a strappare i migliori risultati nello scontro con il padrone, non potrà mai azzerare la schiavitù salariale. Anche con il miglior contratto l’operaio rimane sempre uno schiavo moderno che dedica la maggior parte del suo tempo di lavoro all’arricchimento del padrone.
La lotta sindacale è la palestra degli operai. Sul salario, sulle condizioni di lavoro, sui ritmi, impara a confrontarsi con il suo nemico. Affina gli strumenti, si addestra, matura la sensazione della forza collettiva della sua classe. Ogni risultato, però, non è mai definitivamente acquisito.
Marx, in un opuscolo, “Salario Prezzo e Profitto”, tratto da un suo intervento fatto in un’assemblea operaia nella sede del Consiglio Generale dell’Internazionale nel 1865, così concludeva: «Invece della parola d’ordine conservatrice: “un equo salario per un’equa giornata di lavoro”, gli operai devono scrivere sulla loro bandiera il motto rivoluzionario: “soppressione del lavoro salariato”»
La lotta sindacale è parte di una guerra più vasta. Per farla finita con il padrone e il suo sistema di produzione gli operai devono organizzarsi anche ad un livello più alto e qui subentra la loro organizzazione politica, lo strumento fondamentale per la guerra al sistema dei padroni.
F. R.
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