L’indotto Stellantis. Una storia di ricatti e liberatorie per portare un salario a casa. A marzo non gli viene nemmeno pagata la cassa per Covid di febbraio. Non gli spetta se assunti a gennaio. Se questa non è schiavitù di cosa si tratta?
L’Emarc è una delle tante fabbriche dell’indotto di Melfi aperta nei primi anni novanta anche grazie ai contributi dello Stato, dove una quindicina di operai lavoravano per fornire alcuni pezzi a Fiat-SATA. Nel corso degli anni oltre agli operai con contratto a tempo indeterminato, in questa fabbrica furono chiamati anche decine di operai interinali. Gli operai interinali furono utilizzati per una decina di anni fino a quando la società Emarc passò nelle mani di una nuova società la Baomarc. Con la nuova società gli operai interinali dopo essere stati sfruttati per bene, furono buttati sul lastrico. Gli operai a tempo indeterminato rimasti in pochi sono andati avanti per qualche anno fino a luglio 2020 quando, alla vigilia delle ferie e in piena pandemia Covid, il padrone disse loro che l’azienda avrebbe portato i macchinari di produzione presso Lanciano e chi avesse voluto continuare a lavorare avrebbe potuto trasferirsi là perché lo stabilimento a Melfi sarebbe rimasto vuoto. Gli operai nel frattempo hanno saputo che il padrone presso Lanciano ha acquistato con un euro a titolo simbolico uno stabilimento dove ha promesso di fare occupazione e rilanciare il sito dismesso. Gli operai sono in fibrillazione, tentano di fare qualcosa, ma sono isolati, il sindacato interviene.
Viene fuori che c’è l’intenzione di recuperare lo stabilimento della Baomarc a Melfi da parte della Pmc, una società che fa capo al gruppo Proma. Una società che conduce anche la produzione nello stabilimento di proprietà ex Fiat, ricordato da tutti come ex Itca. Gli operai a cui è stato detto che se volevano continuare a lavorare dovevano andare a Lanciano, vengono contattati, gli si dice che c’è la possibilità di continuare a lavorare nel sito industriale di S. Nicola di Melfi, ma devono accettare una liberatoria: licenziarsi di fatto dalla Baomarc ed essere assunti con contratto jobs act dalla Pmc Automotive.
Ovviamente senza la continuità di contratto, ma partendo da zero, con il jobs act e con tutte le conseguenze che agli operai non sono ancora chiare. Gli operai vedendosi alle strette, in pochi e divisi, non possono non accettare. Uno solo, dopo si saprà, non accetterà e andrà via. I circa quindici operai della Baomarc vengono divisi, un operaio va in una azienda nella zona industriale di Tito con un contratto simile, la maggioranza degli operai alla Pmc. A tutti viene chiesta la tessera sindacale e a tutti si fa capire che bisogna farla per accedere al nuovo lavoro. Quasi tutti accettano, tutti gli operai sono stati convinti, meglio un lavoro che niente. Gli operai pensano che è vero che si parte da capo, ma almeno abbiamo la possibilità di portare il salario a casa. Accettano quasi tutti, finanche i manutentori che avevano maturato professionalità e si ritrovano in fabbrica a lavorare sulle linee alla Pmc e lo stesso direttore. Sembrava che tutto sommato si sarebbe salvato il salario in qualche modo, ma al danno purtroppo si è aggiunta la beffa, le sorprese sono dietro l’angolo. Gli operai nella busta “retribuzione marzo” hanno dovuto constatare che non gli è stata pagata la cassa integrazione di febbraio legata al Covid. Gli operai hanno chiesto chiarimenti al sindacato. Il sindacato ha risposto che per i nuovi assunti dopo la data del 5 gennaio 2021 non possono accedere alla cassa integrazione Covid e sono migliaia gli operai in Italia nelle stesse condizioni. E’ proprio vero, ogni cosa bisogna viverla sulla propria pelle per poter capire. Il sindacato ha mantenuto le tessere e avuto la possibilità di indicare nuove assunzioni a Lanciano, i vari padroni hanno fatto i propri interessi, gli operai, oltre a cadere nel precariato, neanche la cassa integrazione Covid. Questo mentre il governo elargisce soldi ai padroni.
Crocco, operaio di Melfi
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