TESTIMONIANZA DI LUIGI SCIAGURA SUL SUO RICOVERO PER COVID

Questo è un riassunto dei fatti accaduti dal 30 ottobre 2020 al 5 febbraio 2021 che consegno a Giuliano Bugani e ad Ennio Abate.
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Questo è un riassunto dei fatti accaduti dal 30 ottobre 2020 al 5 febbraio 2021 che consegno a Giuliano Bugani e ad Ennio Abate.


Il 30 ottobre 2020 ebbi la cattiva idea di andarmi a fare una radiografia ai polmoni.

Trovarono che ero affetto da due polmoniti bilaterali e questo bastava per capire che ero stato contagiato dal Coronavirus. Chiamai il 112 per essere trasportato in ospedale su richiesta della mia dottoressa Messina Rosalia. Anche questa fu una cattiva idea, perché ormai le ambulanze si dividono i malati e quella che mi caricò mi portò a Paderno Dugnano all’ospedale S. Carlo, che è un vecchio edificio militare riattivato come ospedale.

Per i primi dieci giorni non capii niente. Per i primi dieci giorni stetti su una brandina nel Pronto Soccorso del Coronavirus. Avevo specificato molto chiaramente che, oltre al contagio per Coronavirus, ero portatore di SCA2, cioè la malattia che è l’atassia spinocerebellare di tipo 2, la quale ha come aspetto principale quello di bloccare l’uso del cervelletto progressivamente. Evidentemente bloccarmi per dieci giorni in una branda di 180cmx80cm è l’ideale per condannarmi a non muovermi più. Era come se avessi detto ai titolari dell’ospedale: per piacere bloccatemi! Perché nelle mie condizioni è indispensabile trattarmi delicatamente. Oltre ad avere l’ossigeno ricevetti molte volte il blocco delle mani al letto mediante dei tiranti, operazione che era stata proibita dal 1975 con la Legge Basaglia. Questo avvenne in seguito alla mia protesta per cui il blocco delle mani al materasso divenne quasi un’abitudine giornaliera.

Nella stessa stanza in cui ero ricoverato è stato portato e posto accanto al mio letto un paziente sofferente di Parkinson. Si lamentava continuamente ma non riceveva nessun ausilio. D’improvviso dopo un giorno è morto e il suo cadavere è stato isolato con dei teli ed è rimasto nella mia stanza per 24 ore. Immaginate il mio spavento.

Sempre al S. Carlo non potevo uscire dalla stanza e nel giro dei tre mesi in cui sono rimasto lì non ho potuto mai avere un Osa (Operatore socio-assistenziale) che mi desse una mano a mettere le mie cose in un armadietto; e ho dovuto appoggiare per tutto il tempo i miei abiti sul davanzale della finestra. Nei tre mesi di ricovero non ho potuto neppure lavarmi i denti o i capelli; e non ho potuto fare nessuna doccia perché non riuscivo a stare in piedi. Non essendo autonomo, non ho potuto neppure camminare nella stanza dove ero ricoverato. Ho passato le intere giornate a letto o su una sedia a rotelle. E le Osa continuavano a rimproverarmi di suonare troppo spesso il campanello. Solo una volta è venuta un’infermiera per darmi una pastiglia antidolorifica. Prima del ricovero in ospedale riuscivo a deambulare in casa con l’aiuto del bastone. Ora invece mi è impossibile alzarmi dal letto.

Dopo i primi dieci giorni al S. Carlo fui trasferito al Reparto Subacuti Covid. È inutile sono dire che ormai gli ospedali italiani sono un ricettacolo di lavoratori stranieri, in gran parte sudamericani, assunti per fare il loro lavoro velocemente senza nessuna attenzione per i malati e abituati a trattare i degenti in modi spicci e aggressivi. L’unico fine è arricchire il padrone

In questo ospedale sono risultato quattro volte negativo ai tamponi ma subito dopo, al tampone di riscontro, risultavo ancora positivo. Questo è accaduto fino alla fine di gennaio. Dopo ho avuto ben quattro tamponi negativi che mi autorizzavano non solo ad uscire dall’ospedale S. Carlo ma mi davano anche la possibilità di essere ricoverato in un ospedale per la riabilitazione di cui avevo assoluto bisogno.

L’unico ospedale dove potevo essere trasferito è stato il Don Gnocchi di Palazzolo. Portato qui, mi sono però ritrovato nella stessa situazione in cui ero al S. Carlo, dato che per legge per accogliere un degente c’è bisogno di due tamponi negativi. Avendoli già fatti al S. Carlo, non mi spiegavo perché dovessi rifarli ancora e per questo mi rifiutavo. Tanto più che ero l’unico degente del Don Gnocchi con ben quattro tamponi negativi. Mi sono saltati addosso in sei persone per immobilizzarmi. Dopo l’aggressione per farmi con la forza i tamponi ho deciso di andar via dal Don Gnocchi e sono stato trasferito a casa mia a Cinisello ma ho dovuto pagare io il trasporto in autoambulanza.

Al Don Gnocchi, che sembra un ospedale da Terzo Mondo, ero arrivato con due vertebre rotte a causa del trattamento subito nell’ospedale S. Carlo di Paderno dal personale di servizio che, quando facevano le pulizie, mi avevano spostato troppo bruscamente dal letto alla sedia a rotelle [sulla quale mi facevano stare per alcune ore al giorno?] Per questi inservienti il fatto di essere malato di SCA2 era una mia invenzione per farmi trattare meglio. Avevo fatto presente al medico il terribile dolore che sentivo alle vertebre; e lui mi aveva mandato a fare una TAC, che ha accertato la veridicità del mio dolore. Tanto è vero che poi è venuto un altro medico, il dott. Cavalnuovo [?], che ha invitato le OSA a non spostarmi più sulla sedia a rotelle finché non avessi avuto il corsetto, che avrebbe dovuto farmi fare il responsabile dell’ospedale S. Carlo. Al San Carlo non ho mai avuto il corsetto. Mi è arrivato dal Don Gnocchi quando ero già a casa.

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