LICENZIAMENTI STRISCIANTI

Ormai la scadenza del 30 giugno è diventata una farsa. Confermata o rinviata sono tutti concordi che gli industriali devono potersi  liberare degli operai che vogliono. Tutti impegnati ad inventarsi nuovi ammortizzatori, la caduta nel licenziamento deve essere ammorbidita.
Condividi:

Ormai la scadenza del 30 giugno è diventata una farsa. Confermata o rinviata sono tutti concordi che gli industriali devono potersi liberare degli operai che vogliono. Tutti impegnati ad inventarsi nuovi ammortizzatori, la caduta nel licenziamento deve essere ammorbidita.


 

Caro Operai Contro, il blocco dei licenziamenti (che proprio blocco non è stato) scadrà il 30 giugno per i dipendenti dell’industria e delle costruzioni, il 31 ottobre per i dipendenti del terziario. Il sindacato ha chiesto che il blocco rimanga per tutti fino al 31 ottobre. Non ha finora pre allertato gli operai per una mobilitazione, dal momento che nessuna risposta è arrivata dal governo Draghi. Tantomeno nessun sindacato ha finora rivendicato la rimozione e non il rinvio dei licenziamenti, dando per scontato che i licenziamenti sono una necessità inevitabile per gli industriali e l’unica risposta può essere un sistema di ammortizzatori sociali che prenda in carico i licenziati e li tenga al caldo, al limite della sopravvivenza, in attesa di una nuova sistemazione sotto un nuovo padrone.
Il governo Draghi non contento dei 900 mila posti di lavoro persi dall’inizio della pandemia, permette e affina le misure (2019 – 2020) dei precedenti governi e, attribuendone le cause alla pandemia, spalanca le porte ai licenziamenti mascherati. Una di queste misure (agosto 2020) consente particolari accordi collettivi aziendali in ogni settore che, “stranamente”, escludono dalle trattativele Rsa o Rsu interne alle aziende, ovvero i delegati sindacali eletti dagli operai nei luoghi di lavoro. Denominati “accordi collettivi aziendali” vengono condotti e stipulati tra padrone e “sindacato comparativamente più rappresentativo a livello nazionale”.
Riguardano tutti i dipendenti non solo quelli prossimi alla pensione. Ogni dipendente su base volontaria, può decidere di licenziarsi mantenendo il diritto alla Naspi, in cambio di una buonuscita massima di 24 mensilità, comunque non superiore a 25 mila euro lordi. Per le aziende questa soluzione risulta più vantaggiosa perché a differenza dei licenziamenti collettivi, non devono dichiarare esuberi di personale. Possono in pratica licenziare e al tempo stesso assumere forza lavoro usa e getta, inoltre pagandola di meno. E’ contemplato anche il licenziamento contrattato direttamente tra azienda e singolo dipendente, lasciando quest’ultimo come una preda in balia del leone.
Un altro strumento per licenziare operai e lavoratori “spontaneamente”, è il cosiddetto “contratto di espansione”. Varato dal governo nel 2019 per le ristrutturazioni aziendali, ora le aziende vogliono cavalcarlo a prescindere, in nome della pandemia. Si tratta di un prepensionamento su base volontaria, che taglierebbe una bella fetta di pensione per tutti i mesi per cui spetterà. In cambio, nelle aziende con oltre mille dipendenti, per ogni tre lavoratori prepensionati ne verrebbe assunto solo uno. Nelle aziende tra i cento e i mille dipendenti non è ancora definito quale sarebbe il rapporto tra pensionandi e nuovi assunti. Quindi non vi è alcuna“espansione” dell’occupazione, bensì una diminuzione.
Ad espandersi potrebbero essere i profitti dei padroni, che puntano a sfruttare di più chi rimane e alla bisogna, ricorrere alla cigs che penalizza i salari fino al 40%!
Il prepensionamento di 5 anni vale sia per le pensioni di vecchiaia, oggi fissata in 67 anni di età per uomini e donne, dipendenti e autonomi. Sia per quelle di anzianità, oggi fissate per gli uomini in 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva, a prescindere dall’età anagrafica. Per le donne 41 anni e 10 mesi di anzianità contributiva a prescindere dall’età anagrafica.
Secondo un calcolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”, una retribuzione annua lorda di 30 mila euro (1.650 euro netti mensili su 13 mensilità) rispetto all’assegno pensionistico “pieno”, con il prepensionamento, perde in media 120 euro mensili (una somma che cambia dai 40 euro ai 160 euro mensili, a secondo che l’uscita avvenga ad 1 anno o 5 anni dalla maturazione dei requisiti pensionistici). Anche se la stragrande maggioranza delle pensioni operaie, è ben lontana dai 1.650 euro netti mensili, questo esempio rende l’idea di quanto verrebbe decurtato l’assegno pensionistico.
Misure governative e accordi sindacali per evitare licenziamenti collettivi, sono essi stessi licenziamenti mascherati. Col vantaggio per le aziende di non dichiarare esuberi, potendo così assumere operai a salario e condizioni peggiorative.
Muoversi collettivamente in fabbrica e nei luoghi di lavoro, per opporsi con i delegati sindacali non compromessi, ai licenziamenti comunque mascherati. Smascherare chi li promuove e li organizza, per non subire dal padrone imposizioni e ricatti di alcun genere.
Saluti Oxervator

Condividi:

Comments Closed

Comments are closed. You will not be able to post a comment in this post.