Un ex sbirro, oggi avvocato e assessore leghista, che ammazza un povero cristo marocchino non va in galera. Al massimo gli toccano gli arresti domiciliari. Per quelli che, a parole, avevano accompagnato le rivolte del Black Lives Matters americano, non è bastato un omicidio qui da noi per accendere i focolai del “potere nero”.
Si chiama Massimo Adriatici e prima di diventare assessore alla sicurezza nel Comune di Voghera per il partito della Lega faceva il poliziotto. Poi avvocato con una collaborazione occasionale come docente all’università di Vercelli. Una pistola in tasca con regolare porto d’armi, da usare come extrema ratio diceva. Le ragioni per usarla gli si sono parate davanti in piazza Meardi a Voghera nei pressi di un bar quando ha incontrato Youns El Boussetaoui, un giovane immigrato di origini marocchine. Pistola senza sicura e con il colpo in canna, l’ha estratta e fatto fuoco su Youns.
Un immigrato in meno. Per i partiti di centro-destra e tutti i commentatori che compongono il partito nazionale della legalità e dell’ordine, anche un potenziale molestatore in meno. Un attaccabrighe, come l’hanno definito gli inquirenti, in meno. Il paese guadagna invece un distinto cinquantenne a mano armata, esperto di codice penale, assessore alla sicurezza, che decide quando è il caso di far fuoco sui passanti. I passanti immigrati hanno la precedenza.
Adriatici viene coccolato e protetto. «E’ persona perbene», «un non-violento», «non voleva uccidere», «è successo in modo accidentale». E su Youns cosa si dice? Immigrato marocchino, irregolare per quello che stabiliscono le leggi sull’immigrazione, con un ricovero nel reparto psichiatria, e alcuni reati di furto e rapina, senza più casa.
I suoi precedenti e lo stesso stato di salute mentale lo portano ad assumere il profilo di soggetto pericoloso, da qui si passa a distribuire attenuanti se non a giustificare apertamente il suo omicidio, a maggior ragione se l’omicida è un politico.
C’è un marocchino malato, senza fissa dimora, pregiudicato, davanti a un politico. Un marocchino malato, senza fissa dimora, pregiudicato, che spintona un politico. Il politico è armato e gli spara. C’è una sentenza che anticipa tutte le sentenze che formalmente saranno espresse. È una sentenza che appartiene alle essenziali fondamenta su cui è costruito l’ordinamento sociale borghese: se un marocchino malato, senza fissa dimora, pregiudicato, incontra un politico e il politico spara, questi ha ragione, si è legittimamente difeso, e, quali che siano le circostanze, può farla franca, possono essergli riconosciute attenuanti, può cavarsela con qualche giorno agli arresti domiciliari o pene simboliche. E questo perché nella società borghese, la vita di Youns, archetipo della vita di tutti i poveri cristi di ogni paese, non vale nulla. Se hai la sfortuna di chiamarti Youns, se hai una colpa che è più grande della colpa del tuo omicida, la colpa di essere povero, di essere immigrato, puoi finire giustiziato la sera di un martedì di luglio in una piazza italiana. Se hai la fortuna di chiamarti Massimo Adriatici, di fare l’avvocato, il politico, l’assessore alla sicurezza, puoi girare armato uccidendo a bruciapelo quelli che si chiamano Youns e con questo continuare tranquillamente la tua vita. Di più, molti della tua risma, tra professori, avvocati, intellettuali, piccoli borghesi che hanno da difendere la loro ‘roba’, e il capo del tuo partito, ti porteranno in giro come esempio, affinché si capisca una volta e per tutte che non si può più fare a meno di difendersi da questi pericolosi immigrati irregolari. Potresti perfino finire a far carriera. Un posto da parlamentare o da ministro, chissà. Sparare a un immigrato e ammazzarlo può avere tanti risvolti positivi. I primi si sono già visti: l’accusa di omicidio volontario è stata presto derubricata a eccesso di legittima difesa e il giudice ha disposto gli arresti domiciliari.
Inutile dire che a parti rovesciate avremmo visto tutto un altro film: immaginate cosa sarebbe successo se fosse stato un immigrato a girare in strada armato, se avesse fatto fuoco ammazzando un distinto avvocato cinquantenne, professore, politico, ex poliziotto. Immaginate quali sarebbero state le reazioni di Salvini, se avessimo mai potuto ascoltare i suoi interventi a difesa dell’aggressore, se ci fossero state attenuanti di cui parlare, di incidente o di grave pericolo da cui difendersi, di difesa sempre legittima. Immaginate pure la fretta dei giudici a gestire i capi di imputazione, se l’omicidio volontario si fosse tramutato in un batter d’occhi nella legittima difesa, se pure un po’ eccessiva per carità, se l’omicida fosse finito agli arresti domiciliari, se avesse avuto coperture politiche e mediatiche.
Può esistere solo una giustizia di classe in una società divisa in classi, una giustizia ‘À la carte’, dove leggi, crimini, reati e pene vengono costantemente rimodulati e orientati in senso classista, quali potenti mezzi di repressione e coercizione verso i ceti subalterni. La giustizia borghese che pretende di essere uguale per tutti e che in astratto garantisce uguali diritti per tutti, è in concreto uno degli strumenti più brutali e sofisticati con cui prende forma il dominio di classe borghese.
Per capire qual è il clima in cui si è consumato questo omicidio basterebbero le parole dell’assessora al commercio di Voghera, Francesca Miracca, che in un’intervista al giornale “Il Foglio” ha annunciato di assoldare dei suoi operai e di essere pronta a sparare su chi manifesta contro Adriatici. È evidente che se Salvini può permettersi di tenere un video-comizio un’ora dopo i fatti considerando, in buona sostanza, l’aggressione armata inevitabile e necessaria, c’è qualcosa che travalica l’episodio in sé, la sua natura accidentale, così come intenderebbero giustificarla. Si delinea piuttosto, e le parole della Miracca lo confermano, una pericolosa e manifesta convergenza tesa a fomentare il salto di qualità delle violenze armate a sfondo razziale. Non è un caso che, con il supporto di giornalisti, politici e giudici, la versione dello sparatore, stia passando come l’unica versione attendibile. La versione ufficiale dei fatti.
Sull’altra sponda di Voghera la manifestazione organizzata dai movimenti, nata per manifestare contro le aggressioni razziali, si è via via depotenziata e annacquata fino a diventare un innocuo momento commemorativo e di difesa delle libertà costituzionali. Per quelli che, a parole, avevano accompagnato le rivolte del Black Lives Matters americano, non è bastato un omicidio qui da noi per accendere i focolai del “potere nero”.
In difesa di Youns si è alzata solo la voce della sorella e quella di un altro immigrato di origini marocchine presente sul posto che ha coraggiosamente reso la sua testimonianza secondo la quale l’assessore leghista ha sparato intenzionalmente dopo la caduta. Bahija El Boussettaoui, sorella di Youns, è voluta tornare in piazza Meardi, davanti al bar Ligure dove è stato ucciso il fratello. Sulla cancellata ha deposto un mazzo di fiori. Bahija grida: «Quell’uomo è un assassino! Un assassino! Perché dorme a casa sua? Perché aveva in mano la pistola? Perché era carica? Dove sono i magistrati? Dov’è la giustizia italiana?».
La giustizia, Bahjia, è ciò che vedi in piazza Meardi a Voghera. Quella pozza di sangue dei crimini borghesi nascosta da un lenzuolo di democrazia che tirano su per restare impuniti.
A. B.
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