Dalla Confindustria ancora la proposta di un nuovo Patto Sociale col sindacato. Come operai abbiamo già pagato abbastanza il patto sociale dei primi anni ’90, ne sono seguiti lavoro precario, salari da fame, libertà di licenziare. La risposta dei capi sindacali? Sono pronti con qualche distinguo ad abboccare all’amo
Caro Operai Contro, l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) alla quale fanno parte 36 paesi dalle cosiddette “economie avanzate”, nei giorni scorsi ha reso noto che in Italia, a parità di potere d’acquisto, il salario medio è sceso del 2,9% dal 1990 al 2020, mentre nello stesso periodo in Francia e Germania i salari medi sono cresciuti più del 30%, negli Stati Uniti quasi del 50%.
La “scoperta” dell’Ocse è tardiva ma soprattutto sottostimata. Prima che uscisse la notizia, Crocco operaio di Melfi sosteneva: “Stanno portando il salario di un operaio vicino a quello che prende chi ha il reddito di cittadinanza”, nell’articolo qui pubblicato: “Stellantis Melfi, giocando sui turni tagliando i salari”.
Di solito nelle aziende al salario stabilito dal contratto nazionale, si somma la componente aziendale del contratto interno. Anche questa componente si è assottigliata o scomparsa con il calare della conflittualità, risultato, il salario complessivo perde di potere d’acquisto.
Salari ancora più bassi sotto i mille euro al mese, nei lavori precari, o per le nuove figure come i rider con il salario medio di 750 euro mensili, o in agricoltura con un tasso di irregolarità del 39%, pagati 1 euro l’ora o 3 euro per riempire un cassone di 370 kg.
In Italia, quel che rimaneva dell’adeguamento (seppur non al 100%) dei salari al carovita, veniva cancellato proprio nel 1992 dal governo Amato, in accordo con le “parti sociali” che firmarono un protocollo d’intesa. Ma era una “Scala mobile” ormai residua dei colpi mortali inferti da Craxi, al governo dall’agosto 1983 all’agosto 1986. A ripristinare la “Scala mobile” non bastò il referendum voluto dal PCI, (1985) dove tutte le classi sociali venivano chiamate ad esprimersi sul salario operaio.
Come se non bastassero i salari così conciati in Italia, l’inflazione in questi giorni è arrivata al 2,6% su base annua, altri rincari già annunciati peseranno anch’essi sul carovita!
Il capo del governo, Draghi, si è sintonizzato con la richiesta di “Patto sociale” di Bonomi presidente di Confindustria, e insieme vogliono imbarcare anche il sindacato, in una serie di misure (non solo sul salario) che stabilizzino e rendano ancora più pesante la condizione operaia, sbaragliando sul nascere ogni protesta e rivendicazione. Ancora una volta in nome dell’economia nazionale, per non sfigurare con l’Europa se no non ci da i soldi del Pnrr ecc. ecc.
Nei primi anni ’90 vigeva proprio quel “Patto sociale” che oggi Confindustria e governo vogliono replicare sulla base delle loro nuove esigenze. In nome di quel “Patto sociale” oltre l’abolizione della “Scala mobile” furono imposte altre pesanti misure che aggiravano lo Statuto dei lavoratori (Legge sulla mobilità 1991), precarizzavano il rapporto di lavoro (Legge Biagi 2003), attaccavano le pensioni (governo Dini 1995) aumentando drasticamente l’età pensionabile, abolendo la pensione di anzianità, sostituendo il calcolo della pensione dal sistema retributivo a quello contributivo.
Sono cose vecchie potrebbe obiettare qualche giovane operaio. Forse, le conseguenze le state pagando anche voi. Il “Patto sociale” dei primi anni ’90 è un insegnamento in negativo che chiede oggi agli operai di opporsi a Bonomi, alle sue pretese di padre–padrone e al governo Draghi che lo asseconda.
Ha ottenuto lo sblocco dei licenziamenti collettivi.
Ha mantenuto nei rinnovi contrattuali, il livello dei bassi salari.
Ha proposto soluzioni evanescenti, per fermare la strage dei morti sul lavoro.
Ha continuato a cadere dalle nuvole, sulle aziende che dopo aver preso soldi dal governo, licenziano e chiudono per andare altrove.
In questa situazione il “Patto sociale” è una tagliola da evitare. Non può scendere a patti chi è stato ridotto in braghe di tela, e nessun sindacato può farlo in suo nome.
Vale e darà i suoi frutti quanto dice Crocco, concludendo il suo articolo sopracitato: “Se gli operai non si sveglieranno, non inizieranno a ragionare che è arrivato il momento di darsi da fare in proprio, come collettività e come classe, ma continueranno a credere che altri potranno salvaguardare i loro interessi, le cose andranno sempre peggio”.
Saluti Oxervator
Dal Fatto Quotidiano del 11 ottobre 2021
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