Giustificano l’aumento dei prezzi delle merci con l’aumento dei costi. L’aumento dei costi delle merci, che servono per riprodurre la nostra forza lavoro, giustifica la necessità di un forte aumento salariale. A quando i primi scioperi?
L’aumento dei prezzi delle merci è un fenomeno ormai generalizzato in tutto il mondo. In alcuni paesi più preoccupante che in altri. Grave fino a portare, pochi giorni fa, alla rivolta la rabbia operaia in Kazakistan, prima a Cadice in Spagna, e forse domani in Turchia. Ma anche fenomeno ben sentito dagli operai statunitensi capaci di condurre lotte per la salvaguardia del proprio salario con scioperi che durano mesi. Sembra invece che non tocchi gli operai in Italia che vivono in un torpore da cui non sembrano capaci di risvegliarsi.
Eppure i dati anche in Italia sono incredibili e neanche tanto diversi da quelli kazaki. Il gas metano è aumentato in un anno da 70,66 a 137,32 centesimi per metro cubo (+94%), quello per autotrazione è anche lui quasi raddoppiato nel corso del 2021 passando da 0,95 € a 1,88€ al kg e per percorrere 350 km se prima servivano 15€ adesso ne occorrono 30. Stessa cosa per la energia elettrica, il prezzo del kilowattora (tasse comprese) è arrivato a 46,06 centesimi dai 20,06 del primo trimestre 2021. La benzina al litro è passata da 1,378€ di fine novembre 2020 a 1,75€ nel novembre 2021 (+27%). Il gasolio per auto, sempre novembre ‘20 su novembre ‘21, è passato da 1,25€ a 1,61€ (+28%).
Questi esempi solo per parlare di quelle merci aumentate di prezzo, che rientrano tra i consumi degli operai, che incidono immediatamente il loro tenore di vita, percepibili di mese in mese per le bollette, o quotidianamente dal benzinaio.
Non vogliamo qui sviluppare un ragionamento sul fenomeno dell’aumento generale dei prezzi che sta colpendo tutte le merci, in tutti i paesi, e in netta inversione di tendenza, dopo anni in cui avveniva proprio il contrario. Finora infatti era la deflazione ad impensierire padroni e banchieri, in difficoltà a garantirsi sia i saggi di profitto industriali che quelli di interesse nel momento in cui la concorrenza li spingeva a produrre sempre più merci a prezzi più bassi. Ci sarà modo di affrontare più teoricamente l’inflazione in successive riflessioni, ne siamo certi, data la forte instabilità nell’economia mondiale che si sta prefigurando.
Quello che invece ci interessa adesso rilevare è come i produttori industriali giustificano il loro operare, innalzando i prezzi e generalizzando il fenomeno dell’inflazione. Vuoi che questo loro ragionamento si tramuti nell’immediato aumento del prezzo di ciò che producono, quindi alla generazione e propagazione dell’inflazione, oppure all’arresto della produzione, con la conseguente riduzione del volume delle merci prodotte, che, anche in questo caso, comporta che il valore della singola merce non si riduca, ovvero alla fine costi di più al consumatore finale.
La cosa curiosa è che passino da diretti artefici del fenomeno a vittime. Incontrovertibile, infatti, è che siano proprio loro che per primi mettono l’ “etichetta” del prezzo sulla merce appena esce dalle loro fabbriche. E non fa molta differenza che la merce sia una bottiglia di acqua minerale o un litro di benzina, il prezzo viene messo dal produttore capitalista di ambedue queste merci, non certo dagli operai.
Ascoltiamoli attentamente, allora, questi padroni, c’è da imparare.
Ettore Fortuna è vicepresidente di Mineracqua, associazione che raccoglie 140 produttori di acqua minerale. Al sole24ore del 11 dicembre 2021 rilascia una intervista in cui fa ben capire le intenzioni dei padroni che rappresenta. Il ragionamento che fa è semplice: per arrivare a determinare il prezzo finale di una merce si devono prima di tutto vedere i costi e, se questi sono aumentati, bisogna vedere quale ne sarà la incidenza sul prezzo finale. E’ interessante perché quanto socialmente viene ritenuta inoppugnabile e legittima la richiesta di aumento finale del prezzo di una merce, nello specifico esempio, la bottiglia di acqua, tanto viene negata la possibilità degli operai di ottenere un aumento del prezzo della loro merce forza-lavoro, ovvero del salario a fronte dell’aumento dei costi di mantenimento della forza lavoro. Allora, mentre leggete gli ampi stralci dell’intervista a Fortuna che riportiamo, fate un semplice esercizio mentale: sostituite ogni volta “bottiglia d’acqua” con “forza-lavoro operaia”; e quando parla di “merci necessarie a produrre una bottiglia”, sostituite con “merci necessarie a un operaio per vivere”. Ne verrà fuori la miglior rivendicazione salariale operaia che nessun sindacalista- che non ha mai capito che il salario è il prezzo della forza lavoro-sarà mai in grado di sostenere.
Come si giustificano gli aumenti dei prezzi garantendosi un adeguato saggio di profitto, allo stesso modo gli operai dovrebbero chiedere aumenti salariali mettendo in fila gli aumenti dei prezzi delle materie prime del loro sostentamento. Ma per gli industriali l’aumento dei prezzi è un processo economico naturale, per gli operai l’adeguamento del salario è solo il risultato di scioperi e proteste, quando, contro tutti, sono in grado di organizzarli.
«Rispetto a dicembre 2020, cioè a un anno fa, il costo del Pet per produrre le bottiglie è aumentato dell’84%, da 750 a 1.400 euro alla tonnellata. …. Il vetro è aumentato del 15%, l’energia dell’86%, la carta del 40%, i trasporti del 15%, i noli del 500%. Soltanto il gas metano, che quest’anno è aumentato in media del 135%, a dicembre lo abbiamo pagato addirittura il 420% in più.
Sul prezzo di una bottiglia, cioè, l’insieme di queste voci incide per oltre il 90% del costo di produzione. … l’acqua in Italia è un prodotto che dà margini di guadagno bassissimi. Il risultato è che con aumenti dei costi di queste proporzioni, già oggi c’è chi produce in perdita. E per il 2022 rischiamo di non rifornire il mercato». [qui potete sostituire: “gli operai in Italia vendono la loro forza lavoro a prezzi bassissimi”, “già oggi c’è chi lavora in perdita, ovvero a quel prezzo non riesce a ricostruire la propria capacità lavorativa”. Ma cambiate il finale, gli operai saranno costretti a vendersi sul mercato ad un prezzo inferiore ai costi normali di produzione se vogliono sopravvivere, ndr].
«Che aumento di prezzo chiedete dunque al consumatore, per una bottiglia di acqua minerale?». – chiede ancora l’intervistatore del Sole24ore.
«Noi non chiediamo un aumento, ma un adeguamento». – Una bella risposta, anche gli operai avrebbero diritto ad un “adeguamento”, e continua – «lo chiediamo compreso tra il 10 e il 15% del prezzo. … nelle trattative con la Gdo [la grande distribuzione organizzata, ndr] troviamo un muro. I grandi supermercati dicono: l’inflazione è al 4%, perché ci chiedete il 10% di aumento? Peccato che l’inflazione puntuale nel nostro settore è già superiore al 10%. Già oggi noi paghiamo oltre il 10% in più per le materie prime e l’energia: ora che questi aumenti si riverberano sul dato nazionale dell’inflazione è chiaro che ci vuole del tempo. Ma noi questi aumenti li paghiamo già.
L’acqua minerale è un prodotto di prima necessità. Ci sono prodotti che hanno una forza maggiore della nostra, e hanno anche margini più alti. Se poi tra un anno la fiammata inflazionistica rientrerà, vorrà dire che alla fine del 2022 non chiederemo aumenti».
L’intervista del sole 24 ore inizia con l’ “insindacabile” frase «Un aumento dei prezzi delle bottiglie d’acqua del 10-15% da gennaio, o qualcuna delle 300 etichette italiane sarà costretta a uscire dal mercato». Ci chiediamo: se facciamo un analogo conto applicandolo al salario operaio, quanto gli operai dovrebbero chiedere di aumento a gennaio per adeguare il salario all’aumento dei prezzi? Non è neanche detto che sia solo il 15%.
R. P.
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