Il sindaco riconfermato parla a nome di tutti i tarantini. Ma gli schiavi di Acciaierie d’Italia non hanno partecipato ai suoi comizi e non l’hanno votato
Taranto è in festa per la riconferma alla carica di sindaco di Rinaldo Melucci, candidato di centro-sinistra. Ma chi festeggia? Quella parte di elettori della borghesia, nei suoi diversi strati, che si sente rappresentata da Pd, M5S e altri partiti di centro-sinistra e non dal blocco di centro-destra. Lo si evince dalle felicitazioni espresse sui social e dalle interviste di piazza concesse da liberi professionisti, tecnici, amministratori, piccoli e medi imprenditori, da chi spera – perché conta di poterci ricavare “qualcosa” – che il neosindaco “faccia rinascere la nostra bellissima città” e si aspetta “progetti e realizzazioni scintillanti per la nostra Taranto cuore dell’EuroMediterraneo” o gli consiglia “se ha bisogno di menti ed energie, per consolidare il cambiamento in atto, di non trascurare l’immenso potenziale dei tarantini fuori città o all’estero. Abbiamo know how, capitale economico, politico e culturale, per riportare la nostra città dal terzo al primo mondo” o invoca “un quinquennio di grandi cantieri … quelli dei Giochi del Mediterraneo, Palazzo Archita, il porto, l’aeroporto e la città vecchia”.
Sono questi che hanno votato Melucci, il 61% di coloro che hanno votato (appena il 52% degli aventi diritto al voto, mezza città si è astenuta), cioè il 32% di tutti i tarantini chiamati alle urne. Melucci in pratica rappresenta neanche un terzo dei tarantini. E a quel meno di un terzo si rivolge, pur fingendo di parlare a tutti i tarantini, quando dice e scrive: “Grazie a tutti i tarantini e a tutti i nostri candidati! Oggi è il giorno della festa, ma da domani ci rimettiamo subito al lavoro per continuare a costruire un futuro radioso per Taranto, per i nostri giovani e le nostre imprese. Perde la coalizione del rancore, dell’odio e del disfattismo. Taranto può riprendere a sognare. La città non si è fatta affascinare dalla violenza e dalla volgarità di un falso civismo, sovranista e populista. La città ha largamente scelto di spingere la nostra transizione giusta e lo stile della nostra amministrazione comunale, ha scelto il campo largo progressista, riformista ed ecologista. Ora bisogna avere fiducia nelle capacità e nelle energie della nostra comunità. Insieme possiamo tutto. E cambieremo in sintonia con l’epoca che il mondo sta vivendo. Il meglio viene adesso, non era un annuncio ma la realtà”.
Nel 48% di chi ha disertato le urne (e non ha votato Melucci) ci sono i proletari tarantini, ci sono gli operai, anche e soprattutto quelli di Acciaierie d’Italia. Quelli di cui Melucci ha cercato il voto senza averlo (l’astensione è stata massima proprio nei quartieri operai come Tamburi e Lido Azzurro, quelli costruiti a ridosso dello stabilimento siderurgico per ammucchiarci gli schiavi della fabbrica). Quelli citati da Melucci, nel comizio finale del 10 giugno, solo per osannare un suo grande elettore, il capo pentastellato Giuseppe Conte, e ricordare che quando era presidente del Consiglio dei ministri era andato a parlare con gli operai dell’ex Ilva messi in cassa integrazione dai nuovi padroni Mittal. Certo, al comizio non c’era nessun operaio a ricordarglielo che Conte era andato a rabbonirli durante la vertenza con Arcelor Mittal e a promettere loro la decarbonizzazione! Gli operai, quelli veri, non i tecnici di fabbrica, i capetti o i sindacalisti di mestiere, non sono né andati ai comizi di Melucci né a votarlo: sanno bene che, comunque fosse andata, Melucci o Musillo o un altro come sindaco, un pezzo di borghesia avrebbe festeggiato per i buoni prossimi affari e l’altro avrebbe cominciato a riorganizzarsi per le successive elezioni, ma nessuno di quei borghesi e dei loro elettori l’indomani sarebbe stato costretto, come loro, ad andare in fabbrica a sgobbare e a cercare di salvare la pelle!
L.R.
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