Draghi è caduto ma i draghiani resistono per scongiurare la Meloni.
Caro Operai Contro, il gioco al rialzo di Lega e Forza Italia, due fra i partiti che formavano il governo Draghi, e la pretesa dello stesso Draghi di non accontentarsi di una maggioranza, che aveva incassato nonostante la mancata fiducia dei 5 Stelle, hanno provocato la caduta del governo.
Così almeno le cose si presentano in superficie. La scissione di Di Maio pochi giorni prima sembrerebbe mirata, ammesso che il suo nuovo partito raggiunga il quorum, a coalizzare più partiti per un altro governo Draghi, che risulterebbe più “legittimato” nella sua politica perché in tal caso, l’uomo dell’oligarchia finanziaria, sarebbe il frutto di una coalizione data dal responso delle urne. Ma se voteranno in pochi come nelle diverse ultime elezioni, sarebbe comunque una magra legittimazione.
Una ipotesi in alternativa alla segretaria di Fratelli D’Italia, Giorgia Meloni, lanciata a capeggiare la coalizione con Lega, Forza Italia e ovviamente il proprio partito F. D’I. Convinta di vincere le elezioni, già oggi Meloni strepita: “Chi prende più voti va a Palazzo Chigi”. Supposizioni basate sui vecchi sondaggi, che potrebbero anche cambiare dopo la “rocambolesca” fine del governo Draghi, per la quale sono stati decisivi Salvini e Berlusconi, (Lega e Forza Italia) i due amiconi del guerrafondaio Putin che ha aggredito l’Ucraina.
Il capo dello Stato Mattarella a camere sciolte dichiara: “Non sono consentite pause”, mentre concorda con Draghi le misure che il governo dimissionario, in carica per gli affari correnti, dovrà decidere. “Rimettiamoci al lavoro” gli ha risposto Draghi.
Mentre si consumava la tragicommedia mai vista prima, del primo ministro Draghi che andava dal capo dello Stato a dare le dimissioni, nonostante senza i voti dei 5 Stelle, avesse avuto comunque il voto dalla maggioranza, 70% alla Camera, 65% al Senato; Parlamento e forze dell’ordine attuavano come prima misura urgente, una raffica di arresti contro gli organizzatori delle lotte nel settore della logistica, “colpevoli” di aver organizzato gli operai contro lo sfruttamento e i salari da fame.
Esempi di lotta che potrebbero rivelarsi contagiosi, per migliaia di operai il cui futuro viene prospettato nero dai padroni, a causa dei costi e tempi crescenti per accaparrarsi prodotti energetici e materie prime. Esempi di scioperi e mobilitazioni per gli operai di aziende che ogni giorno annunciano la chiusura, lotte contagiose anche per tanti licenziamenti mascherati come la cig a perdere.
Tra le “emergenze” che il governo Draghi intende affrontare da qui al 25 settembre giorno delle elezioni, finora non si parla di alzare i salari, né di rinnovare subito i contratti di lavoro di 8 milioni di operai e lavoratori, molti dei quali scaduti da tempo. Né si parla di salario minimo legale. Nell’incontro previsto col sindacato, si dovrebbe discutere del bis degli sconti sulle bollette energetiche, e l’una tantum di 200 euro anche a luglio.
Le priorità di Draghi e il suo “Direttorio” di ministri, vede anzitutto la spartizione della torta del Pnrr, e gli aiuti alle aziende.
Gli scheletri nell’armadio del superbanchiere.
Tra il 2015 e i primi mesi del 2016 la Bce (Banca centrale europea) sotto la direzione del superbanchiere, Mario Draghi, nell’operazione denominata “quantitative easing”, stampò e mise in circolazione tonnellate di banconote in tutta Europa, eccedenti di gran lunga la quantità di denaro cartaceo necessario alla circolazione delle merci.
Non è che mancassero soldi ma questi, sia che l’economia ristagni o vada a pieni giri, sono sempre nelle mani di padroni, investitori ricchi e agiati. I salari operai in Italia erano in calo da oltre 20 anni (oggi diventati 30), mentre aumentavano in tutti gli altri paesi europei.
Col “quantitative easing” solo in Italia in poco più di un anno furono immessi oltre 1.200 miliardi di euro in banconote eccedenti, attraverso aste di liquidità molto convenienti per le banche, obbligazioni garantite e cartolizzazioni dei prestiti, titoli di Stato, operazioni bancarie di ogni tipo. Inoltre Draghi con la Bce, decise che “eventuali perdite legate ai titoli acquistati, finiranno in capo alle banche centrali nazionali ad eccezione di una quota del 20% che verrà condivisa”. Una manna per padroni e borghesi che fornendo alle banche garanzie di capitali mobili e immobili vi potevano accedere.
I 1.200 miliardi investiti e aumentati con gli interessi, sono finiti nelle tasche di padroni, investitori ricchi e agiati. Ma non si crearono quegli “investimenti produttivi” che nell’ottica del “quantitative easing” di Draghi, avrebbero dovuto creare la “domanda” e rilanciare la ripresa. Ma a parte ogni altra considerazione, quale domanda si poteva creare con l’occupazione che non aumentava e i salari che invece di salire continuavano a calare? Inoltre proprio nel 2015 il governo Renzi con il Jobs act, rese ancora più ricattabile la forza lavoro, spingendo ancora di più verso il basso la massa salariale.
Ora con la pesante ripresa dell’inflazione, la Bce (dopo averne stampato in eccesso) cerca di far circolare meno denaro alzando i tassi d’interesse. Come potrà una stretta monetaria ridurre l’inflazione, visto che con i bassi salari in Italia, non è stata certo determinata da un eccesso di domanda? E questo vale anche negli altri paesi europei dove i salari sono più alti.
Saluti Oxervator
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