Stellantis Melfi, nell’ultimo accordo sono previsti corsi di formazione per i dipendenti, si faranno in regime di cassaintegrazione, la partecipazione è obbligatoria ma non è definito nessun contributo aggiuntivo. Non c’è scelta o tirano fuori i soldi o sciopero della formazione
I nostri bravi sindacalisti della Stellantis di Melfi hanno fatto un altro grande accordo con la direzione dello stabilimento. Hanno firmato, insieme ai rappresentanti della regione Basilicata e quelli della FCA Italy SPA, per prorogare di un altro anno, dal’8 agosto 2022 al 7 agosto del 2023, “la CIGSper contratto di solidarietà” per 6.244 lavoratori dello stabilimento di Melfi. Praticamente l’intera fabbrica. Un altro anno di lavoro a chiamata e salari da fame.
In questo periodo l’azienda predisporrà “piani di formazione e addestramento volti all’incremento delle professionalità del personale”. Il piano di formazione prevede 50.000 ore.
Più che un piano teso all’“incremento delle professionalità del personale”, esso appare, per gli obiettivi che propone, un piano di indottrinamento delle maestranze su come far guadagnare più soldi agli azionisti senza lamentarsi.
Tra gli obiettivi del piano di indottrinamento compaiono temi come: “Il mercato dell’auto oggi”; “La crisi dei semiconduttori”; “Il percorso riorganizzativo dello stabilimento di Melfi”; “La fabbrica competitiva: I fattori di costo e qualità”. Tutti argomenti che hanno poco a che fare con l’aumento della professionalità, ma che si prestano molto invece a far sì che gli operai si convincano che, per poter far sopravvivere lo stabilimento facendo guadagnare sempre di più gli azionisti, loro devono abbassare sempre di più la testa di fronte all’andamento del mercato dell’auto.
Dove i padroni di Stellantis raggiungono il loro massimo, e sindacalisti e politici il livello più sottomesso della pecorinità, è quando nero su bianco firmano un accordo in cui si dichiara candidamente che tali corsi di indottrinamento potranno essere realizzati “anche durante le giornate previste come non lavorative del personale interessato alla riduzione dell’orario di lavoro con intervento del trattamento di integrazione salariale e la frequenza sarà obbligatoria per gli interessati ad ogni effetto”. Praticamente, con un linguaggio contorto, ci dicono che i corsi di indottrinamento saranno pagati dallo Stato con la cassa integrazione. E questa è una assurdità nell’ambito dei rapporti di lavoro. Questi corsi servono all’azienda ufficialmente per migliorare le prestazioni dei suoi schiavi, ma le ore di impegno nei corsi da parte dei lavoratori non sono a carico dell’azienda, non sono pagati con il salario, ma con CIGS. Inoltre, contro ogni logica sindacale, gli operai, pur obbligati a frequentare i corsi, non avranno l’intera giornata retribuita. I sindacalisti, nel timore della giusta reazione dei lavoratori, stanno premendo perché la regione integri l’importo della cassa integrazione per i corsisti, anche nella forma miserevole di un rimborso delle spese di viaggio …
In aggiunta, non si capisce neanche a carico di chi sarà l’organizzazione dei corsi. Servono al padrone, ma è facile che li pagherà la regione Basilicata.
Ma oggi non è il momento di discutere sulla necessità della cigs, sul futuro aziendale, tanto politici e sindacalisti ripetono esattamente le argomentazioni dei padroni, ignoranti di questioni economiche fanno solo i portavoce della direzione. Il segretario della fismic è un vero esempio di un impiegatino che riporta in malo modo ciò che i capi aziendali gli dicono di ripetere ai dipendenti, basta guardare il video delle dichiarazioni.
Ora ci conviene puntare su un loro punto scoperto: se gli operai devono partecipare ai corsi di formazione la cigs sarà integrata con un contributo? In che misura visto che saranno gli operai a sostenere i costi aggiuntivi (impegno, trasporti, ecc…) della loro formazione? All’obbligo a sopportare il loro indottrinamento ci sia almeno l’integrazione salariale che colmi la differenza fra il livello della cigs e il salario normale. Altrimenti possiamo fare lo sciopero della formazione, ce ne stiamo a casa in cigs pronti a tornare al lavoro quando avranno bisogno.
Tavares e la sua banda di parassiti hanno dichiarato per il primo semestre dell’anno in corso utili per otto miliardi. Con il presente accordo si assicurano un altro anno di profitti consistenti scaricando buona parte dei costi sulla collettività. Profitti privati e costi pubblici.
Gli operai lavorano quando servono e vengono spremuti fino all’osso per l’occasione. Quando sono inattivi all’azienda non costano niente, ma si prendono i quattro soldi della cassa integrazione. Nel frattempo l’azienda taglia tutto quello che non serve ai profitti: La sicurezza, l’igiene, il settore dell’indotto.
E’ grazie a questo tipo di politica che quel grande manager di Tavares può dichiarare: “Il nostro breakevenpoint (punto di pareggio fra costi e ricavi) si attesta oggi al 40% dei ricavi netti, al di sotto dell’obiettivo del 50% che ci eravamo prefissati”, ha sottolineato. “Ciò significa”, ha concluso, “che, se anche i nostri ricavi dovessero crollare del 60%, Stellantis continuerebbe comunque a operare in utile”.
Praticamente anche se Stellantis riducesse le vendite di auto del 59%, realizzerebbe comunque profitti.
In queste condizioni, con politici e sindacalisti dichiaratamente schierati con il padrone per la salvaguardia dei suoi profitti e gli operai disuniti e disorganizzati, non serve essere geni dell’imprenditoria per guadagnare. Ci vuole più abilità imprenditoriale a vendere il cocco sulle spiagge in estate che gestire Stellantis in queste condizioni di favore.
Fino a quando gli operai saranno disposti a sopportare tutto questo?
F. R.
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