Dal 2 luglio è sparito dalla circolazione, aveva denunciato le insopportabili condizioni del cantiere dove lavorava in nero. La magistratura di Ragusa ha aperto un fascicolo per omicidio e soppressione di cadavere ma si sa “noi siamo neri e anche quando moriamo nessuno ci vede”.
Dal Messico alla Siria, dal Bangladesh al Laos, dalla Bosnia Erzegovina alla Spagna, dal Marocco al Pakistan, passando per l’Argentina, Cile, Perù arrivando in Egitto, “… Le sparizioni forzate non sono più prerogativa dei regimi dittatoriali, ma sono diffuse anche in contesti caratterizzati da conflitti interni o da un clima di repressione politica…”. Questo si legge, in un recente rapporto di Amnesty International, quindi la domanda sorge spontanea: l’Italia va aggiunta alla lista dei paesi che adottano la “pratica delle sparizioni forzate”, come politica repressiva, nei confronti di coloro che si impegnano in prima persona nella lotta contro la riduzione in schiavitù degli operai? Alle ore 14 del due luglio 2022, si è persa ogni traccia di Daouda Diane, originario della Costa d’Avorio, da molti anni in Italia, lavorava come operaio ed era impegnato come mediatore culturale nel Cas di Acate (Sicilia). Nell’ultimo periodo stava lavorando in nero, come operaio, nel cantiere della SGV calcestruzzi S.R.L, una ditta che si occupa di produzione, trasporto e realizzazione di opere di pietra e cemento.
“ … Qui il lavoro è duro, si muore qui… Questo è l’inferno questa è la morte…”. Queste le parole contenute nell’ultimo coraggioso video che Daouda Diane, ha pubblicato per denunciare le disumane e pericolose condizioni di lavoro a cui era costretto insieme ai suoi compagni nel cantiere della SGV calcestruzzi. Non è un video anonimo, Daouda ci mette la sua faccia, e da quel momento si sono perse le sue tracce. Inizialmente hanno tentato di far passare la sua scomparsa come “volontaria”, nonostante il segnale del suo cellulare sia stato rilevato, per l’ultima volta, nella zona del cantiere, nonostante avesse già pronto il biglietto dell’aereo per la Costa d’Avorio, dove finalmente sarebbe andato a trovare la sua famiglia che non vedeva da anni. La mobilitazione dei suoi amici, colleghi e sindacalisti dell’USB, ha contribuito ad indurre la procura di Ragusa ad aprire un fascicolo per omicidio e soppressione di cadavere. Michele Milillo della Federazione del sociale Usb Ragusa si dichiara fiducioso che l’apertura dell’inchiesta per omicidio potrebbe far luce sulla scomparsa di Daouda: “Aspettiamo con fiducia che la magistratura faccia il proprio lavoro e speriamo che la giustizia faccia il suo corso…”. Ma anche qui la domanda sorge spontanea: “ma se il rapporto di Amnesty definisce le “sparizioni forzate” una prerogativa dei regimi dittatoriali, come facciamo a riporre la nostra fiducia in uno stato che permette sul suo territorio la riduzione in schiavitù di esseri umani e l’eliminazione fisica di chi si oppone alla violenza dei padroni? La nostra fiducia la dovremmo riporre in tutti coloro che con i pochi mezzi a disposizione, con i grandissimi rischi che corrono, lontani dai riflettori, mettono la loro vita a disposizione di una causa comune, per la liberazione di tutti gli sfruttati del mondo.
Gli amici di Daouda Diane hanno scritto sui loro siti un commento duro, un pugno nello stomaco: “Noi siamo neri anche quando moriamo nessuno ci vede”.
S.O.
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