Chi sta in fabbrica capisce la portata di una semplice frase “è il datore di lavoro che decide se erogare il bonus benzina”. La strada a discriminazioni, disparità di trattamento, ricatti è spianata.
Il governo reazionario delle destre spinto da una oscillante opinione pubblica si appresta, per calmierare le proteste dovute all’aumento dei carburanti ed innescate dal mancato rinnovo delle riduzioni delle accise, inserite lo scorso anno in un decreto legge dal governo Draghi, di intervenire per i lavoratori dipendenti ad un possibile recupero sulla spesa energetica, riproponendo tra i vari paragrafi del decreto legge denominato “decreto trasparenza carburanti” DL 5/2023, i bonus carburante. E da qui partiamo, perché bisogna descrivere bene questa operazione.
Tutti i partiti hanno partecipato al precedente governo Draghi, eccetto la destra storica del sistema parlamentare, espressione di un elettorato che definisco corporativo per come rappresenta apertamente particolari interessi di gruppi sociali di piccola e media borghesia, e i rimasugli della sinistra anticapitalista rappresentata con poche unità nel parlamento. Tutti i partiti della maggioranza di Draghi avevano salutato con favore la stagione dei bonus.
I bonus carburante sono stati introdotti l’anno scorso nel DL 21-2022 denominato “decreto Ucraina” dal governo Draghi. L’importo massimo era di 200 euro che potevano essere dati “ad personam” in busta paga dai datori di lavoro senza un accordo sindacale. Un’altra soluzione era erogarli come voucher inserendoli in un accordo sindacale in sostituzione del premio di risultato. In tutte due i casi vengono affiancati ai fringe benefit.
Diamo una piccola spiegazione di cosa sono i fringe benefit.
Il primo riferimento normativo ai benefit riconducibili al welfare aziendale è rappresentato dall’Articolo 51 comma 3 del Testo Unico sulle Imposte dei Redditi (TUIR) che ha stabilito che il valore dei beni e dei servizi offerti non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente se l’importo complessivo nel periodo d’imposta non supera 258,23 euro.
Nel 2022 i fringe benefit subiscono un innalzamento delle soglie di detassazione che dai 258,23 euro passano a 600 euro con il decreto “aiuti bis” e poi a 3.000 euro con il decreto “aiuti quater”. Dunque per il 2022 , l’importo complessivo che non rientra nella formazione da reddito da lavoro dipendente (Irpef) e previdenziale (Inps) è 3200 euro. Da un punto di vista previdenziale è esente per effetto dell’armonizzazione delle basi imponibili stabilita dal D.Lgs.n.314/1997. Con le ultime aggiustatine della Agenzia delle Entrate, arriviamo con l’attuale governo Meloni alla nuova proposta, cioè riproporre in toto le stesse misure adottate dal precedente governo Draghi così riassunte.
Pubblicata in gazzetta ufficiale il DL 5/2023 , è entrato in vigore il 15 gennaio 2023.
1 – Il datore di lavoro ha la possibilità, ma non l’obbligo di erogare ai lavoratori buoni o titoli del valore massimo di 200 euro esenti dalla tassazione alla formazione del reddito e dal punto di vista previdenziale.
2 – Il buono benzina può essere riconosciuto in busta paga anche al singolo lavoratore cioè “ad personam” senza necessità di accordi contrattuali, i quali restano vincolanti quando vengono erogati in sostituzione dei premi di risultato o come voucher.
3 – I destinatari di tale misura sono i lavoratori dipendenti di datori di lavoro privati, con qualsiasi rapporto di lavoro subordinato.
4 – il periodo di riconoscimento va dal 1 gennaio 2023 al 12 gennaio 2024 e possono essere fruiti in un successivo momento .
5 – Per i beni e servizi prestati ai sensi dell’art. 51, comma 3, TUIR, il limite di esenzione è di 258,23 annuo e il buono carburanti è da considerarsi aggiuntivo a questa somma.
Adesso, però, visto che non lo fa con autorità il sindacato, bisogna prendere in seria considerazione i contenuti e le modalità di questi interventi, altrimenti si rischia di scivolare in una forma di apatia, la quale è già stata introdotta tra i salariati con le posizioni sindacali degli ultimi anni.
Già nel punto 1 e nel punto 2 è talmente evidente che è una presa in giro perché , siccome il padrone non ha l’obbligo di erogare, ci saranno condizioni diverse tra azienda e azienda. Poi, anche nella stessa azienda, si possono innescare forme di discriminazione, variando tra gli stessi fruitori, cioè i dipendenti, gli importi da erogare che sono da 0 a 200 euro, dunque il minimo è NIENTE BONUS e il massimo è 200 euro, inserito nella busta paga senza accordi sindacali.
E con questo sono quasi certo che la maggior parte degli operai non avrà nulla, quei pochi che ne beneficeranno dovranno ringraziare il padrone magari barattando il bonus con necessità produttive non consentite nei contratti nazionali ma derogabili in quelli aziendali, e con questo chiudiamo il cerchio dando una nostra interpretazione di cosa siano i buoni welfare.
Con l’introduzione dei buoni welfare si è iniziato un percorso per integrare il pagamento in salario della forza lavoro con buoni-merci, con il risultato di tenere bassi i salari reali monetari e favorire gli “imprenditori” che scambiano direttamente fringe benefit con i servizi che forniscono, il più delle volte legati all’azienda che li utilizza per pagare i propri operai. Una forma di pagamento in natura, cioè in parole povere siamo ritornati al bracciante che viene pagato con i frutti prodotti nei campi dal suo lavoro. Altro che emancipazione stiamo ritornando ai primi del ‘900.
Ci chiediamo, dove sta il sostegno al reddito delle classi operaie più deboli?Possiamo anche chiederci dopo lo sciopero di otto ore del 16 dicembre scorso, che fine hanno fatto i sindacati e le loro proposte?
Se nei congressi sindacali, l’ultimo nei giorni scorsi della Fiom Cgil Lombardia a Erbusco in provincia di Brescia, di fronte a 223 delegati vengono invitati oltre qualche politico mezzo addormentato, anche i padroni a fare propaganda, titolando il successivo dibattito “L’industria e il lavoro nella situazione internazionale: quali ricadute in Lombardia?” ci chiediamo: quale bagaglio di informazioni, soluzioni concrete e anche emozioni i delegati presenti portano ritornando nelle fabbriche?
Parliamo di salari sottodimensionati rispetto ai livelli europei, di casse integrazioni a zero ore gestite come punizioni corporali, di aumenti salariali del contratto firmato l’anno scorso e già evaporati da una inflazione al 20%, di morti sul lavoro dove si passa dalla indignazione alla indifferenza totale. E il tanto osannato salario minimo dove è finito ? Si riempivano tutti la bocca, politici, sindacalisti, giornalisti e cosi via, poi lo hanno abbandonato senza remore. Tutte domande che rimarranno senza risposta.
Anche questa volta siamo partiti con un argomento e finiamo in un altro, però questa volta mi viene proprio da dire: “ma che cazzo di società è questa”?
Comunque questa domanda mi ha permesso alla INNSE di fare la scelta giusta, quella di resistere. E se questa forma di resistenza la portassero avanti migliaia e migliaia di operai nelle fabbriche come reagirebbe questa decadente società?
“Per spezzare la resistenza ci vuole la forza. Ma se la resistenza resiste sarà la forza a spezzarsi”.
A noi operai non conviene riproporre il passato, un passato dove non abbiamo raggiunto l’obiettivo che ci eravamo prefissati, però trovare dei passaggi storici dove i padroni hanno dovuto cedere il passo a una forza operaia aiuta generazioni future a convincersi che non tutto è già scritto ed esistono valide alternative per arrivare al nostro obiettivo.
Un operaio della INNSE
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