Nasce come due lunghi articoli, diventa poi un libro-opuscolo di risposta alle posizioni di chi, usando un marxismo falsificato, criticava la nostra risposta alla domanda: quale scelta avrebbero dovuto fare gli operai e i lavoratori ucraini di fronte all’invasione dell’imperialismo russo?
Per noi non vi erano dubbi: era nel loro interesse dare un contributo centrale alla guerra di resistenza. Diventando parte attiva nel movimento di liberazione, sarebbero stati in grado di mettere un’ipoteca alla borghesia ucraina, che in quel momento aveva bisogno di loro come forza armata per difendersi dall’aggressione.
I professorini di marxismo ci hanno coperto di contumelie, hanno negato il diritto dell’Ucraina all’autodeterminazione, hanno negato che oggi l’imperialismo possa opprimere popoli e nazioni e che si possano produrre movimenti di liberazione nazionale.
Hanno sostenuto che l’unica politica operaia in Ucraina doveva in sostanza essere quella di cedere senza resistere all’espansionismo del nuovo Zar.
La conseguente scelta di noi operai dell’occidente avrebbe dovuto essere quella dell’equidistanza, negando il giudizio sul tipo di guerra in corso, sul fatto che c’è un aggredito e un aggressore, che ci troviamo di fronte allo scenario descritto da Lenin in cui una nazione imperialista ne opprime una più debole militarmente ed economicamente.
Il grande paravento usato per abbandonare gli operai ucraini al loro destino è stato costruito utilizzando l’aperto sostegno degli imperialisti nostrani al governo ucraino con aiuti economici e militari.
Non è difficile capire che la concorrenza fra i paesi imperialisti avrebbe portato gli stessi a schierarsi in campi opposti sul bottino ucraino ed usare la guerra come mezzo per far soldi con gli armamenti, come veicolo per la propaganda sulla democrazia contro la dittatura e l’elenco diventa interminabile.
Se poi si aggiunge che il potere della nazione oppressa è nelle mani dei borghesi di cui Zelenski è un degno rappresentante, l’equidistanza appare come la strada più percorribile, in realtà è la più opportunista, ad essere concreti e nella tradizione marxista gli operai ucraini potranno forgiare in questa resistenza all’imperialismo russo le armi per la loro liberazione dai borghesi ucraini.
Certo che dovranno fare i conti con i loro sedicenti protettori imperialisti occidentali di oggi.
Ma la storia non è lo schema mentale di qualcuno che si fa realtà, è la realtà stessa che si svolge, dentro la quale si muovono le classi e i loro interessi.
No alla guerra gridano i pacifisti, no alla guerra i preti e gli uomini di buona volontà, contro la guerra i cosiddetti movimenti antagonisti.
Le solite antiche fanfaronate che mai hanno fermato una guerra, che mai hanno saputo indicare agli operai una loro politica indipendente fuori dal moralismo dell’aborrire la violenza negandone la funzione di levatrice della storia, fuori dal sogno del vogliamoci bene dei popoli, togliendo agli schiavi salariati la prospettiva di una loro guerra di liberazione.
Cosa è una rivoluzione se non una guerra sociale?
Se siamo marxisti siamo costretti più di ogni altro a stare con i piedi per terra, a valutare ogni questione con una critica del reale.
Può tutto questo schierarsi dei vari paesi imperialisti pro o contro l’Ucraina cancellare la realtà di un paese invaso da una forza imperialista cento volte superiore, una nazione che, oppressa da un paese imperialista più forte, resiste e che la forza più numerosa di questa resistenza è formata dagli operai, dai contadini e dalla piccola borghesia metropolitana?
Nell’epoca del capitalismo imperialista, per semplificare, ed è qui necessario farlo, si può sostenere che sono possibili tre tipi di guerre. La prima, fra le potenze imperialiste per conquistare mercati, dividersi territori, ripartirsi il mondo. La seconda, le guerre di aggressione dei paesi imperialisti contro nazioni più deboli economicamente e militarmente, che naturalmente possono suscitare guerre di liberazione. La terza: le guerre sociali, le rivoluzioni per la conquista del potere. La realtà ci insegna che in ogni momento l’una può trasformarsi nell’altra, ma confonderle in una generica avversione alla guerra senza capirne la natura è prendere il tavolo per un cavallo e non riuscire da parte operaia ad elaborare e perseguire una politica indipendente.
Potevamo lasciar correre il fatto che in nome del marxismo e dello stesso Lenin si trovassero le pezze giustificative all’intervento dell’imperialismo russo? Non si poteva, ed allora si è deciso di fare un lavoro approfondito, i personaggi che vengono messi in evidenza nello scritto, ormai diventato un libro-opuscolo, sono solo delle figure simboliche che però fra la piccola borghesia che si dice sovversiva hanno tanti seguaci d’opinione. No alla guerra è il loro lamentoso grido, la pace per i loro salotti, il pacifismo delle manifestazioni con i ceri accesi è la loro pratica politica. Dovevamo come operai mettere per iscritto la nostra solidarietà con gli operai ucraini che stanno combattendo armi alla mano contro l’imperialismo russo, dovevamo far luce su tutti i tentativi di nascondere l’essenza dei fatti: nell’epoca dell’imperialismo ci sono ancora guerre di liberazione delle nazioni oppresse e chi le nega serve l’imperialismo mondiale.
Toccherà agli operai ucraini essere la forza più decisa per fermare l’aggressione e toccherà agli operai russi disertare dalle fila dell’esercito invasore, così va la storia.
Se esiste un pensiero unico dei borghesi d’occidente a sostegno dell’Ucraina in concorrenza imperialista con la Russia, esiste anche un pensiero unico dei preti e della piccola borghesia che in nome della pace e contro la guerra vorrebbe la resa degli ucraini allo Zar di Russia per il buon vivere in schiavitù.
Bisognava fare i conti con questa “operazione speciale di propaganda” che viene da una cosiddetta sinistra che giustifica Putin e l’imperialismo russo e lo fa falsificando le posizioni dei grandi capi storici da Marx a Lenin, che qui abbiamo ampiamente richiamato per dare un senso a ciò che va inteso, in queste circostanze, oggi come internazionalismo operaio.
E. A.
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