Lo scontro fra potenze imperialiste sta infuocando l’Africa. La Russia e la Cina vogliono espandere il loro controllo, la Francia va verso un ridimensionamento. Il governo italiano non vuol rinunciare alla sua parte di bottino.
Il Presidente Biden ha comunicato al Presidente del Consiglio Meloni la propria ammirazione per le recenti imprese africane in Libia, Tunisia e quelle a venire.
In altre parole ha incoraggiato l’iniziativa italiana, implicitamente quella europea, in Africa. Gli imperialisti americani hanno gatte da pelare nel Pacifico, non sono mai stati molto coinvolti in Africa e torna comodo avere alleati che si occupino degli affari correnti nel continente dove l’influenza cinese è aumentata da tempo e quella russa è in rapida crescita.
La Presidente del consiglio ha capito l’antifona e argutamente ha immediatamente dichiarato che l’Africa è un continente tutt’altro che povero, a volte sfruttato da paesi stranieri, a volte senza mezzi d’investimento per poter valorizzare le proprie ricchezze. Un discorso scopertamente colonialista, a la Mattei: la conclusione logica è che l’imperialismo italiano è pronto per l’una e per l’altra bisogna. La lunga esperienza di imprese italiane nel settore energetico e infrastrutturale africano è ora meglio supportata dall’attività diplomatica italiana ed europea giustificata dalla necessità di controllare i migranti ma che alla fine ha il valore di creare una rete di alleati locali per proteggere le linee di approvvigionamento energetico e gli interessi delle aziende italiane/europee operanti in luogo.
Mandare avanti altri, fin che durano. Poi si presenterà il dilemma se intervenire direttamente.
Che l’Africa non sia povera lo sanno tutti, la borghesia africana per prima, tanto che ultimamente si affacciano sulla scena nuovi attori che per mettere le mani su quelle ricchezze non esitano ad estromettere i vecchi ceti dirigenti ingrassati all’ombra delle multinazionali occidentali.
Così si assiste in poco tempo all’affermarsi di colpi di stato militari in tutta la fascia del Sahel, da est a ovest Sudan, Ciad, Niger, Mali, Burkina Faso, Guinea.
E naturalmente, essendo contro gli interessi degli imperialismi occidentali, ricercano la protezione dell’imperialismo russo che è presente sul continente con la Wagner e con un’attività di propaganda capillare paese per paese affiancata da iniziative diplomatiche culminate con le recenti offerte di grano e armamenti della conferenza africana tenuta da Putin a San Pietroburgo. Gli oligarchi russi vogliono essere presenti alla spartizione della torta.
La situazione è più complessa di quanto volesse rappresentare la Primo Ministro italiana: l’organizzazione degli Stati Africani ha dato un ultimatum ai golpisti in Niger che non verrà rispettato. In tal caso come si comporteranno le truppe francesi presenti in loco? Dal paese gli imperialisti francesi con imprese statali estraggono il 10% del fabbisogno di uranio per le loro centrali e i media internazionali hanno cominciato a rincarare la dose per preparare l’opinione pubblica europea scrivendo a promemoria che l’uranio serve per la lotta al cancro. Manifestanti del Niger hanno assaltato l’ambasciata francese sventolando bandiere russe. E se le ambasciate tedesca e italiana fossero assaltate a loro volta, cosa faranno le rispettive truppe presenti nel paese?
Inoltre il ricatto del grano russo/ucraino pesa anche su paesi come Egitto e Algeria che devono aggiustare le loro politica di conseguenza.
L’imperialismo russo vuole espandersi, quello cinese rimane a basso profilo ma è fermo nel mantenere tutte le molteplici attività che ha impiantato ormai da anni in Africa, i capitalisti europei in gruppo o in concorrenza tra di loro a seconda delle situazioni a loro volta proteggono le attività e relazioni che hanno in corso cercando occasioni per estendere la loro presenza.
Le popolazioni locali strette tra siccità, terrorismo, oppressione militare sono le prime a soffrirne, a volersene andare via.
E’ una situazione che prepara un incidente. Che collega l’aggressione all’ Ucraina alla turbolenza africana. Sarà la fine delle chiacchiere sul progetto Mattei.
M. B.
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