IL GRANDE AFFARE DELLE AUTOSTRADE

Il crollo del ponte dell’autostrada, con 43 vittime, doveva produrre una resa dei conti con la gestione pubblica e privata della rete. Niente di tutto questo, Benetton ha fatto lauti guadagni rivendendo allo Stato la stessa società che aveva acquisito a prezzi scontati e col consenso di tutti.
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Il crollo del ponte dell’autostrada, con 43 vittime, doveva produrre una resa dei conti con la gestione pubblica e privata della rete. Niente di tutto questo, Benetton ha fatto lauti guadagni rivendendo allo Stato la stessa società che aveva acquisito a prezzi scontati e col consenso di tutti.

La vicenda della privatizzazione delle autostrade in Italia e del successivo ritorno in mano pubblica, dopo il crollo del ponte Morandi, rappresenta un valido esempio di come funziona la gestione della “cosa pubblica” da parte dello Stato.
Vediamo prima le “risorse” di questa “cosa pubblica”. I soldi apparentemente vengono dalle imposte che tutti i cittadini detentori di un reddito, devono pagare allo Stato. In realtà, essendo tutta la ricchezza sociale prodotta dagli operai, le imposte non sono niente altro che una parte di questa ricchezza derivante dal lavoro non pagato agli operai che, nella spartizione tra le classi improduttive, va allo Stato. Questa ricchezza viene recuperata dallo Stato principalmente dal prelievo impositivo sul lavoro dipendente, l’85%, e gli operai vengono spremuti in questo caso due volte, perché oltre al plusvalore che producono nel tempo di lavoro giornaliero che non gli viene pagato, devono ulteriormente ridurre i loro salari con le imposte da pagare.
Questi soldi dovrebbero servire a far funzionare lo Stato, il cui ruolo, nella propaganda ufficiale, consisterebbe principalmente nella gestione dei “servizi” utili al cittadino, tra cui vengono inclusi anche polizia, esercito, magistratura. Addirittura lo Stato, nelle fantasticherie dei riformisti, dovrebbe essere l’istituzione attraverso cui ridistribuire la ricchezza. In realtà, pochi di questi soldi vanno ai “servizi”, che per buona parte sono ampiamente scadenti, come denotano la situazione della sanità pubblica, o della scuola, per fare qualche esempio. E specificamente, sulla famosa “redistribuzione”, un altro valido esempio è rappresentato dal reddito di cittadinanza, l’elemosina che è stata tolta ai poveri.
Nella realtà, questi soldi, attraverso il giro delle imposte e la gestione dello Stato, dalla “collettività” ritornano agli imprenditori e alle altre classi possidenti. Questo è avvenuto con la cessione delle autostrade italiane alla famiglia Benetton.
70 anni fa, per iniziativa dell’Iri, l’istituto per la Ricostruzione Industriale, nasceva la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.a, che, con soldi “pubblici”, iniziò la costruzione su vasta scala della rete autostradale nazionale. E le autostrade sono rimaste pubbliche, anche se a pedaggio, fino alla riforma del diritto societario nata nel 1999 sotto il governo Prodi e approvata 4 anni dopo con un decreto legislativo del governo Berlusconi che ha inserito in Italia una pratica finanziaria prima vietata, il leveraged buyout. Nessuna invenzione italica, tutto copiato dagli americani, ma il “professor” Prodi, insieme agli altri “rappresentanti dei lavoratori” al governo alla fine degli anni novanta, nella loro svolta “liberista”, poi resa operativa da Berlusconi, coadiuvato dai partiti di riferimento dei vari Salvini e Meloni, Lega e Alleanza nazionale, creano i presupposti per regalare le autostrade a imprenditori privati.
La “riforma” è semplice: immaginiamo di dover comprare una impresa, per esempio la società autostradale, che vale per esempio 1000. L’acquirente, in questo caso i Benetton, costituiscono una società apposta per effettuare l’acquisto, la NewCo28 con un capitale totale di 100. Newco28 contrae un debito sfruttando le banche, pari a 900. Ora ha a disposizione i 1000 per acquisire la società autostradale e la compra. Il debito verso le banche di 900 verrà estinto successivamente attraverso le entrate della società autostradale acquisita.
Fino al 2003 i Benetton controllavano solo il 30% di Autostrade attraverso la holding Schemaventotto che aveva acquisito la partecipazione pagando allo Stato 2,5 miliardi di euro, di cui 1,3 miliardi finanziati con mezzi propri e 1,2 presi a prestito.
Nel 2003, attraverso appunto NewCo28, con esborso di 6,5 miliardi (raccolti facendo ricorso alle banche) acquisiscono il controllo dell’84% del capitale. Così, NewCo28 incorporando Autostrade accolla il debito che aveva contratto per finanziare l’acquisizione alla stessa azienda acquisita, la nuova società Autostrade Spa.
Una cosa semplice, basta essere un borghese e avere gli appoggi giusti nella politica, indifferentemente se sia di sinistra o di destra che, d’altra parte, i Benetton hanno sempre finanziato senza molte distinzioni. In questo caso i Benetton sono stati appoggiati da entrambe le sponde. Il risultato è stato un enorme affare per i Benetton e per le banche che li hanno sostenuti. E i guadagni sono iniziati già nel momento in cui l’impresa autostrade cambia proprietà e viene costituita la nuova società a guida Benetton. Perché, con la costituzione di ogni nuova società, gli azionisti di maggioranza guadagnano una barca di soldi già vendendo le nuove azioni.
La creazione vera e propria della nuova società, intesa come persona giuridica, avviene il 1º luglio 2003. Le attività di concessione autostradale vengono conferite da Autostrade S.p.A. ad Autostrade per l’Italia spa, controllata al 100% da Autostrade S.p.A. (dal 2007, Atlantia).
Autostrade per l’Italia spa, con la vendita delle nuove azioni, realizzò almeno sette miliardi e mezzo di euro di “sovraprezzo azioni”, come risulta dai documenti di bilancio della nuova società nel 2003, ma nella realtà, il guadagno fu molto più alto e quello delle banche fu ancora maggiore.
Con la sola costituzione, i Benetton hanno praticamente recuperato quel poco che pagarono all’IRI guadagnando anche una barca di soldi subito.
Per capire ulteriormente l’intreccio di interessi tra grandi capitalisti e rappresentanti dello Stato, ricordiamo che Gian Maria Gros Pietro e Pietro Ciucci, rispettivamente presidente e direttore dell’Iri, istituto pubblico, che nel 1999 vendono la quota di controllo delle Autostrade di Stato alla società della famiglia Benetton, pochi anni dopo li ritroviamo come presidente delle Autostrade privatizzate (Gros Pietro) e presidente dell’Anas (Ciucci), cioè della società pubblica che affida le strade in concessione ai privati.
Alla fine un vero affare. Una azienda costruita con soldi “pubblici” praticamente regalata ai Benetton che ha fruttato subito enormi guadagni e che nella gestione successiva ha fruttato quasi 9,5 miliardi di utili ufficiali.
Ma la cosa non finisce qui. Dopo il crollo del ponte Morandi, invece di pagare, i Benetton guadagnano ancora perché, costretti ad uscire dall’azienda autostradale, ma avendola in concessione almeno fino al 2038 per legge, la possono solo vendere allo Stato, e lo fanno a “prezzi di mercato”. Le azioni dell’impresa autostradale valgono 8,2 miliardi di euro e questo è quello che pagherà lo Stato per riavere le autostrade italiane fino al prossimo regalo a qualche altro padrone (e non è detto che anche i Benetton non rientrino in gioco).
Secondo la portavoce del comitato delle vittime del ponte Morandi, Egle Possetti, gli 8,2 miliardi di euro dell’operazione sono solo un piccolo acconto rispetto agli esborsi di cui il gestore pubblico dovrà farsi carico per ripristinare una rete autostradale rovinata da anni di incuria sostanziale.
Questo per i soldi. Dal punto di vista penale, dopo cinque anni dal crollo del ponte Morandi, nessuno ha pagato. Men che meno gli azionisti di maggioranza. Ma, come fatto presente da qualche magistrato, incombe ora il rischio prescrizione.
Anche su questo lo Stato denota la sua “imparzialità”. Per piccoli reati, principalmente i poveri finiscono in carcere, addirittura anche se sei malato come il barbone di Napoli che ha dato fuoco alla montagna di stracci di Pistoletto. Pur essendo chiaramente un disabile per problemi mentali, è in galera da più di un mese invece di essere in una clinica psichiatrica per essere curato.
Invece, se crei danni seri alla collettività per realizzare il massimo profitto privato, niente pena. Al contrario, ti danno una montagna di soldi.
F. R.

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