La definizione di lavoro povero non vale niente. Serve a Brunetta ed ai suoi compari per mischiare le carte: per il padrone il lavoro non è mai povero è sempre fonte di profitto, di arricchimento. Per l’operaio il lavoro sotto padrone produce sempre povertà.
Caro Operai Contro, “Il salario da fame lo chiamano lavoro povero”, era fra i titoli di questo giornale a gennaio 2022. Sempre più spesso si sente parlare di “Lavoro povero”. La Meloni facendosi scudo di questa definizione ha stroncato, prima che arrivasse alla Camera, il dibattito sul disegno di legge delle opposizioni parlamentari sul salario minimo legale (“sml”) . Forte del “parere” negativo del Cnel, il governo lo rispedisce alle Commissioni con tanta voglia di seppellirlo.
“Non è lo strumento adatto a contrastare il lavoro povero”, ha sentenziato la Meloni. Bella scoperta!
Anche la capa del governo come Confindustria, Confcommercio, come Brunetta e la Cisl, come tutti gli amici del governo, abbraccia la tesi del “lavoro povero”, l’insormontabile ostacolo che impedirebbe non solo il “sml” ma pure una rivalutazione dei salari in Italia.
“Lavoro povero” è una definizione che non ha alcun significato, ma poiché fa comodo ai “padroni del vapore” ed al loro governo, l’hanno fatto entrare nel linguaggio dei media, tanto che capita d’imbattersi in articoli del tipo: “L’inflazione colpisce il lavoro povero”.
Una definizione usata per dire che, non sarebbero i padroni responsabili dei salari miserabili, minimi e non, bensì sarebbe colpa del “lavoro povero”, attribuendo in modo surrettizio a questa definizione, il significato di: lavoro con basso margini di guadagno per i padroni, che poverini, andrebbero giustificati nel rivalersi pagando salari da fame. Quando si tratta invece di paghe basse per avidità di un maggior profitto.
Insomma il padrone è padrone, e lo schiavo moderno col salario può anche morire di fame. Questo intendono gli “scienziati” che hanno inventato la definizione “lavoro povero”. Pretendono che gli operai si tirino la zappa sui piedi tralasciando i propri interessi, accantonando lotte e rivendicazioni, per riconoscersi nel profitto che sono costretti a produrre nel rapporto di lavoro salariato.
E’ significativo a questo proposito un passaggio di Brunetta nel presentare il documento del Cnel:
“Se una piccola cooperativa di pulizie, se un piccolo o piccolissimo artigiano non può permettersi la tariffa minima esogenamente data, e non figlia della contrattazione, se non lo si può permettere cosa fa?”. Chi deve sfruttare il lavoro altrui faccia i conti che agli operai deve garantire un minimo di salario legale e che i suoi profitti non si azzereranno per questo. In quasi tutti i paesi europei esiste il salario minimo e le piccole cooperative e i piccoli artigiani non sono spariti anche se sono molto meno di numero, ma questo rappresenta un superiore grado di sviluppo industriale rispetto all’italietta dei “poveri” e piccolissimi padroncini.
Lo dica lui Brunetta a capo del Cnel, – “cosa fa”-. Lo dica la Meloni, con tutti i soldi che a vario titolo regala alle imprese, lo dicano i padroni e i loro reggicoda fautori dei salari bassi, minimi e non, – “cosa fanno”- quelle finte cooperative, quei padroni e padroncini che la “libera concorrenza della domanda e dell’offerta”, spinge ai margini del “libero mercato”.
Il governo giustifica i salari bassi come fossero un fenomeno marginale del “mercato del lavoro”, fingendo che in Italia, non siano la realtà in ogni settore, ridotti da troppo tempo a fanalino di coda dei paesi industrializzati.
“L’alternativa” che propone il Cnel al salario minimo legale, consiste nell’invito a potenziare la “libera contrattazione fra le parti”. Tanto “libera” che i padroni nella loro posizione di forza e spalleggiati dai vari governi, l’hanno usata e la usano per schiacciare i salari non solo i minimi.
Certo che il “sml” da solo non risolve la questione dei salari miserabili in Italia, non c’è bisogno che lo “scopra” la Meloni. Ma è puerile che usi questo pretesto per negare il “sml” con la motivazione che “non contrasta il lavoro povero”. Un chiaro invito ai padroni a continuare sulla strada dei salari da fame.
Come è insopportabile la propaganda del suo governo che dice di aumentare i salari con l’elemosina del taglio dell’Irpef che, di fronte all’aumento vero del carovita, sono solo propaganda politica. In realtà la scelta di difendere i salari dovrebbe essere il primo obiettivo del sindacato, ma da questo lato più che le solite lamentele non si vede niente.
Gli operai muovendosi collettivamente, possono dare nuovo impulso alla lotta e alla mobilitazione contro l’attacco su tutto il fronte della loro condizione: dalla sicurezza sul lavoro, al salario, dai contratti precari, alla tempistica della produttività, dal carovita, alla possibilità di curarsi diventata una chimera, nonostante tutte le “trattenute” in busta paga!
Saluti Oxervator.
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